La Suprema Corte conferma la condanna per autolesioni nell’ambito di una frode assicurativa

Ai sensi dell’art. 5 c.c., gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati qualora comportino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o quando siano contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. Quando invece il consenso della vittima alle lesioni personali è fornito non validamente, cioè in presenza di un divieto di legge, esso non ha capacità scriminante.

Sul punto la sentenza della Cassazione n. 46895/19, depositata il 19 novembre. Il caso. Il Tribunale, in funzione di giudice del riesame, rigettava la richiesta presentata nell’interesse dell’imputato avverso l’ordinanza del GIP del medesimo Tribunale con cui era stata applicata la custodia cautelare in carcere per concorso nel reato di lesioni personali pluriaggravate nei confronti di altro soggetto, sostituendola con gli arresti domiciliari. Per i Giudici le lesioni erano state inflitte alla vittima consenziente in vista di una frode assicurativa. L’imputato ricorre così in Cassazione, denunciando vizio di motivazione con riguardo all’esclusione dell’esimente del consenso dell’avente diritto. Gli atti di disposizione del proprio corpo. C’è da dire che il Tribunale del riesame ha escluso tale rilevanza scriminante dell’ipotizzato consenso della vittima a norma dell’art. 5 c.c. in quanto, al di là dell’assenza di conseguenze invalidanti derivanti dalle lesioni gravi, ha ritenuto che il suddetto consenso prestato in cambio di un corrispettivo economico, col fine di realizzare un programma criminoso dell’associazione e commettere il reato di cui all’art. 642 c.p., non possa avere efficacia scriminate per contrarietà all’ordine pubblico interno e perché in violazione degli articolo 2 e 3 della Costituzione . Infatti, il problema degli atti di disposizione del proprio corpo deve essere impostato nei termini di una vera e propria libertà di disporre di sé, assumendo così particolare importanza la funzione sociale ed economicamente disinteressata della menomazione fisica che rappresenta la ragione che giustifica la libertà dispositiva del proprio corpo. E rifacendosi al caso in esame, la Suprema Corte sottolinea come è da escludere, così come ha correttamente fatto il Tribunale del riesame, la rilevanza scriminate del consenso prestato dalla vittima alla grave lesione personale inflittagli allo scopo di fondare l’associazione, poiché il consenso stesso è stato fornito non in maniera valida, cioè in presenza di un divieto di legge e, dunque, non ha capacità scriminante. Da qui il rigetto del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 2 ottobre – 19 novembre 2019, n. 46895 Presidente Mazzei – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Palermo, in funzione di tribunale del riesame, ha rigettato la richiesta di riesame presentata nell’interesse di G.A. avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo del 18 aprile 2019 con la quale era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere per il concorso nel delitto di lesioni personali pluriaggravate in danno di B.S. , sostituendola con quella degli arresti domiciliari. I giudici della fase cautelare hanno ritenuto sussistente la gravità indiziaria per il delitto di concorso, quale esecutore materiale, nelle lesioni personali aggravate, perché superiori a 40 giorni di prognosi, inflitte alla vittima consenziente in vista di una frode assicurativa. 2. Ricorre G.A. , a mezzo del difensore avv. Massimo Spoto, che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, denunciando - la violazione di legge, in riferimento all’art. 50 c.p., e art. 273 c.p.p., e il vizio della motivazione con riguardo alla esclusione della esimente del consenso dell’avente diritto, risultando erroneo il richiamo all’art. 5 c.c., poiché le lesioni non hanno avuto esiti permanenti e perché, d’altra parte, l’eventuale sussistenza del diverso delitto di cui all’art. 642 c.p., comma 2, non determina l’impossibilità di applicare la causa di giustificazione anche perché la vittima avrebbe potuto auto-infliggersi le lesioni, sicché il fatto non sarebbe punibile. Del resto, la vittima, che già si era prestata in precedenza a porre in essere una analoga truffa ai danni dell’assicurazione, era ben consapevole delle conseguenze cui si esponeva facendosi colpire dal ricorrente, sicché deve escludersi che sia comunque venuto meno il consenso primo motivo - la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria perché gli elementi indicati dal tribunale del riesame non sono affatto convergenti secondo motivo - la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla attualità e concretezza delle esigenze cautelari e alla sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio terzo motivo . Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato per le ragioni che saranno esposte. 2. Sono inammissibili perché estranei al devolutum il secondo e il terzo motivo di ricorso. 2.1. Il tribunale del riesame di Palermo ha dato atto che la richiesta di riesame non ha riguardato la gravità indiziaria, essendosi contestata unicamente la portata dell’efficacia scriminante del consenso dell’avente diritto, sicché è inammissibile il secondo motivo di ricorso che, senza dedurre l’inesatta ricapitolazione dell’impugnazione cautelare, contesta genericamente la gravità indiziaria. 2.2. È del pari inammissibile anche il terzo motivo di ricorso perché il tribunale del riesame ha dato atto che la richiesta di riesame era rivolta in via subordinata ad ottenere l’applicazione di una misura cautelare meno afflittiva rispetto a quella della custodia in carcere richiesta, peraltro, accolta , sicché ogni questione relativa alla concretezza e alla attualità delle esigenze cautelari, come pure in merito all’inquinamento probatorio, è inammissibile perché estranea al devolutum. 3. Il primo motivo di ricorso è infondato laddove contesta le conclusioni cui è giunto il tribunale del riesame con riguardo alla causa di giustificazione di cui all’art. 50 c.p., invocata dalla difesa sotto il profilo del consenso prestato dalla vittima alle lesioni personali materialmente causate dal ricorrente che la colpiva con una mazza di ferro alla caviglia, determinando la frattura scomposta del malleolo e del perone, con una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a giorni 40. Il tribunale del riesame ha escluso la rilevanza scriminante dell’ipotizzato consenso a norma dell’art. 5 c.c., perché, al di là dell’assenza di conseguenze invalidanti derivanti dalle lesioni ancorché gravi, ha ritenuto che il consenso prestato in cambio di un corrispettivo economico, al preciso fine di realizzare un programma criminoso dell’associazione e di commettere il delitto di cui all’art. 642 c.p., non possa avere efficacia scriminante per contrarietà all’ordine pubblico interno e perché in violazione degli artt. 2 e 3 Cost 3.1. È bene ricordare che a norma dell’art. 5 c.c. gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume . A seguito dell’approvazione della Carta costituzionale, il tradizionale approccio normativo, che conduceva a fare del corpo un oggetto di diritti , in quanto attributo della persona ed espressione della personalità, è stato abbandonato a favore di una visione sociale e funzionale dell’essere umano, sulla base dei principi ricavabili dagli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost Il punto di partenza di tale percorso è rappresentato, infatti, dalla parallela espansione del concetto di salute , che si differenzia dalla mera integrità fisica, e di quello di libertà personale la salute dell’uomo, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Preambolo della Costituzione OMS-WHO approvato in data 22 luglio 1946, recepito con D.Lgs. n. C.p.S. n. 1068 del 1947 , è una condizione di perfetto benessere fisico, mentale e sociale e non significa soltanto assenza di malattia, sicché una disciplina che presuppone la coincidenza tra integrità fisica e salute risulta non più adeguata a proteggere l’individuo nel suo diritto fondamentale. In questo senso, del diritto alla salute, che trova nel rispetto della persona umana il suo limite e fine, può apprezzarsi tanto un contenuto negativo come non intrusione da parte di terzi nella propria sfera corporea , quanto l’aspetto positivo inteso come diritto di libertà che trova riconoscimento specifico nell’attribuzione al singolo del potere di disporre del proprio corpo. 3.2. Non meno rilevante appare, con specifico riguardo agli atti dispositivi, il contributo offerto dalla Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina, sottoscritta ad Oviedo il 4 aprile 1997 ratificata con L. n. 145 del 2001 , che conduce a una ridefinizione dello statuto del corpo l’art. 21 di detta Convenzione pone un generale divieto di fare del corpo umano o delle parti che lo compongono una fonte di profitto lo stesso precetto si trova poi riprodotto all’art. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali, sottoscritta dal Consiglio d’Europa a Nizza il 7 dicembre 2000, il cui valore normativo è stato riconosciuto nel Trattato dell’Unione Europea art. 1, punto 8, del Trattato di Lisbona , ove, in via generale, si afferma il diritto di ogni individuo all’integrità fisica e psichica della propria persona. 3.3. In conclusione, si può affermare che, in forza dei richiamati principi, il problema degli atti di disposizione del proprio corpo non può essere impostato nei termini di un potere di disporre, bensì quale libertà di disporre di sé e sul presupposto del valore unitario e inscindibile della persona. Si rende perciò necessaria una rilettura costituzionalmente orientata dell’art. 5 c.c., che ha condotto la dottrina e la giurisprudenza a mettere in disparte quelle diminuzioni permanenti dell’integrità fisica finalizzate al mantenimento o al ristoro della salute mutamento di sesso , all’autodeterminazione procreativa sterilizzazione o di solidarietà disinteressata donazioni di organi e tessuti , intesa quale benessere complessivo dell’individuo. In definitiva, assume particolare rilievo la funzione sociale e economicamente disinteressata dalla menomazione fisica che costituisce la ragione giustificatrice della libertà dispositiva in una visione costituzionalmente orientata. Infatti, una parte della dottrina ha evidenziato, con riguardo all’ipotesi di auto-lesione, che tali atti dovrebbero considerarsi illeciti quantomeno nel caso in cui vadano a ledere gli interessi di terzi estranei, come ad esempio accade nel caso di auto-lesione procuratasi per evitare il servizio militare o per frodare un’assicurazione contro gli infortuni. In tale ottica, la dottrina ha ricordato che l’ordine pubblico richiamato dall’art. 5 c.c., rappresenta una clausola generale soggetta a continue evoluzioni e condizionamenti storici e quindi avente contenuto relativo, tanto che è proprio tale elasticità che ne fa uno strumento in grado di garantire l’ordinata e coerente forza di coesione che unisce diversi istituti di uno stesso ordinamento giuridico in funzione dei generali e fondamentali interessi della collettività. Pur non rinvenendosi particolari riflessioni sul punto in dottrina e giurisprudenza, si deve concludere per l’affermazione di una versione mite della predetta clausola generale che, perciò, non pone limiti ai diritti fondamentali dell’individuo in funzione delle superiori esigenze dello Stato, ma pone limiti all’autonomia dei privati per il rispetto di diritti fondamentali dell’individuo e del consesso sociale. L’art. 5 c.c., - che, in ottica costituzionale, fa assurgere al rango di libertà il potere di disporre del proprio corpo - diviene espressione, in ragione della funzione sociale dell’individuo e della necessità di tutelare i fondamentali diritti costituzionali della libertà personale e della salute, del generale divieto dell’abuso del diritto, tanto che la clausola dell’ordine pubblico, insieme a quella del buon costume, operano come ostacolo a quegli atti dispositivi che risultino inaccettabili dal punto di vista dei parametri costituzionali perché mercificano il corpo umano, mediante la promessa o la corresponsione di denaro per la menomazione fisica, ovvero di tale corpo abusano per un fine di illecito vantaggio, essendo, dunque, la menomazione finalizzata a compiere un atto illecito e fraudolento. 4. Così chiariti i limiti propri del diritto di libertà di disporre del proprio corpo ex art. 5 c.c., non resta che escludere, così come ha correttamente fatto il tribunale del riesame, la rilevanza scriminante del consenso prestato ex art. 50 c.p., da B.S. alla grave lesione personale infertagli allo scopo di frodare l’assicurazione. Il consenso è stato fornito non validamente, cioè in presenza di un divieto di legge, sicché non ha capacità scriminante, nè può l’agente essere ritenuto in errore circa l’efficacia del consenso eventualmente prestato dalla vittima perché gli era ben nota la complessiva illiceità del progetto fraudolento in cui tale consenso s’inseriva. 5. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.