Folle amore per il fidanzatino della figlia: i rapporti con lui le valgono una condanna per violenza sessuale

Definitiva la sanzione per una donna, punita con quattordici mesi di reclusione per avere spinto un ragazzino, fidanzato della figlia, ad avere rapporti sessuali con lei. Evidenti per i Giudici le responsabilità dell’imputata, che non possono essere escluse dalla sua immaturità e dalla sua labilità emotiva.

Il folle amore di una donna per un ragazzino di 15 – fidanzato per giunta con sua figlia –, concretizzatosi in rapporti intimi completi, vale una condanna per violenza sessuale. Irrilevanti, checché ne dica il difensore, l’immaturità e la fragilità emotiva della donna Cassazione, sentenza n. 46459/19, sez. III Penale, depositata il 15 novembre . Rapporto. Ricostruita la delicata vicenda, la donna, maestra di oltre 30 anni di età, finisce sotto processo per violenza sessuale per i rapporti intimi completi avuti con un ragazzino di 15 anni, fidanzato con sua figlia. E gli elementi probatori a disposizione, ossia le dichiarazioni del ragazzino e della donna, vengono ritenuti sufficienti per una condanna. Concordi giudici di primo e di secondo grado, anche se in Appello la pena viene ridotta a quattordici mesi di reclusione e accompagnata dalla concessione della sospensione condizionale . Il legale della donna contesta comunque la pronuncia di condanna, sostenendo l’esclusione del dolo nel comportamento della sua cliente. A questo proposito, egli pone in evidenza, dinanzi ai giudici della Cassazione, lo stato di profonda immaturità della donna, accertato da una perizia psichiatrica in cui si indica che ella ha una personalità istrionica, caratterizzata da forte insicurezza interiore, labilità emotiva e dipendenza dagli altri . Ampliando la linea difensiva, poi, l’avvocato sostiene anche che manchi la prova che la donna possa aver agito con la volontà di costringere il minore all’atto sessuale attraverso la violenza o la minaccia, né la sua coscienza di attuare la condotta abusando della propria posizione , e quindi aggiunge che la donna avrebbe percepito la relazione col ragazzino come quella tra soggetti alla pari, un fidanzamento vero e proprio , soprattutto alla luce dell’ atteggiamento sessuale sfrontato del minore . Responsabilità. La visione proposta dal legale della donna viene però ritenuta non plausibile dai giudici della Cassazione, che difatti confermano la condanna così come decisa in appello. Evidenti, secondo i magistrati, le responsabilità della donna che, viene ricordato, ha indotto in almeno tre occasioni un ragazzino di 15 anni ad avere rapporti sessuali, assillandolo con continue richieste di andare da lei e usando il ricatto , cioè minacciando di non fargli vedere la figlia e di buttarsi nel fiume qualora non avesse aderito a tali inviti e arrivando addirittura a cercarlo per le vie del paese . La condotta tenuta dalla donna non può essere resa meno grave da una sua presunta immaturità , smentita, osservano i giudici, anche dal fatto che ella è risultata essere una persona normoinserita”, maestra, madre della fidanzata del ragazzo e quindi in grado di percepire la non consensualità del rapporto . E questa visione non muta, aggiungono ancora i giudici, neanche alla luce delle condizioni personali della donna , caratterizzate da immaturità e labilità emotiva che possono portare solo a riconoscere una minore intensità del dolo .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 settembre – 15 novembre 2019, n. 46459 Presidente Izzo - Relatore Semeraro Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 11 gennaio 2018, in parziale riforma di quella del Tribunale di Alessandria del 30 novembre 2016, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis comma 3 cod. pen., ha rideterminato la pena inflitta ad El. Gh. in un anno e due mesi di reclusione per il reato di cui all'art. 609-bis comma 2 n. 1 cod. pen., con la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna. El. Gh. è stata condannata per aver indotto in almeno tre occasioni Ed. To., di anni omissis , ad avere rapporti sessuali con lei, assillandolo con continue richieste di andare da lei, usando il ricatto di non fargli vedere la di lei figlia Gi., di buttarsi dal Po qualora non avesse aderito a tali inviti, arrivando a cercarlo con insistenza per le vie di Sale. Con fatti commessi in Sale nell'agosto del 2008. La penale responsabilità dell'imputata si è fondata sulla testimonianza della persona offesa, sulle dichiarazioni rese dalla ricorrente, che ha ammesso la materialità delle condotte contestando, invece, la mancanza dell'elemento soggettivo del reato. Le perizie psichiatriche hanno confermato, peraltro, la condizione di grave immaturità del minore e la capacità di intendere e di volere dell'imputata. 2. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputata El. Gh 2.1. Con un unico motivo si contestano i vizi di violazione di legge e della motivazione, ex art. 606 lett. b ed e cod. proc. pen. non sussisterebbe l'elemento soggettivo del delitto contestato. La Corte territoriale avrebbe omesso di motivare sulle doglianze difensive sull'impossibilità di configurare il reato contestato. Dopo la parte in diritto sul reato ex art. 609-bis cod. pen., sulle differenze tra la violenza mediante induzione e mediante costrizione, sul concetto di abuso e sul dissenso quale elemento costitutivo del reato, a dolo generico, si afferma che il reato contestato non si è concretizzato. Non vi sarebbe alcun elemento in grado di confortare l'ipotesi accusatoria secondo cui la ricorrente avrebbe agito con dolo. L'esclusione del dolo deriverebbe dal suo stato di profonda immaturità sul piano dell'identità personale e sessuale, che sarebbe stato accertato dalla perizia psichiatrica nella quale si indica che la ricorrente ha una personalità istrionica, caratterizzata da forte insicurezza interiore, labilità emotiva e dipendenza dagli altri. Dunque, mancherebbe la prova che la ricorrente possa aver agito con la volontà di costringere il minore persona offesa all'atto sessuale attraverso violenza o minaccia, né la sua coscienza di attuare la condotta abusando della propria posizione. L'imputata avrebbe percepito la relazione con la persona offesa come quella tra soggetti alla pari, un fidanzamento vero e proprio, e l'atteggiamento sessuale sfrontato del minore avrebbe certamente confuso la ricorrente la quale non si sarebbe resa conto che il minore si trovava in uno stato di inferiorità psichica. Si contesta la perizia medica che avrebbe valutato la maturità del minore, all'epoca dei fatti, come corrispondente a quella di un bambino di circa sette anni, in virtù, invece, di un atteggiamento spavaldo e disinibito del ragazzo che si vantava con gli amici di avere dei rapporti sessuali con una donna più grande. Si richiama, peraltro, la intervalla insaniae, stato in cui il minore persona offesa, pur psichicamente immaturo, se si volesse dar adito al responso psichiatrico, avrebbe riacquistato per intero il pieno possesso delle proprie capacità e, avrebbe prestato validamente il proprio consenso all'atto sessuale nel corso del richiamato lucido intervallo. 2.2. Segue la contestazione della sentenza impugnata sotto il profilo della motivazione. Vi sarebbe la mancata assunzione di una prova decisiva, ossia la diagnosi del perito Vi. che avrebbe ravvisato nell'imputata una forma di psicosi maniaco-depressiva. Vi sarebbe, dunque, una manifesta illogicità e contraddittorietà, dettata anche da evidenti travisamenti del fatto, perché la Corte di appello avrebbe omesso di motivare in un quadro unitario la vicenda contestata, specie sulla presenza o meno dell'elemento soggettivo del reato. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è inammissibile ai sensi dell'articolo 606 comma 3 cod. proc. pen. trattandosi di violazione di legge non dedotta con i motivi di appello con i quali, come emerge dallo stesso ricorso, si era contestata solo la valutazione delle prove assunte in primo grado. 1.1. Manifestamente infondato è il motivo con il quale si deduce il vizio della motivazione. Dopo la parte in diritto, con il ricorso propone esclusivamente una interpretazione alternativa dell'esito della perizia e della consulenza tecnica per sostenere la tesi della mancanza dell'elemento soggettivo del reato. 1.2. Quanto all'omessa valutazione della immaturità della ricorrente, ritenuta tale dalla difesa da far venir meno il dolo, deve rilevarsi che la corte di appello ha ritenuto, in base ad altri elementi di prova, che la ricorrente fosse una persona normoinserita, educatrice di scuola materna, madre della ragazza frequentata dalla persona offesa, quindi in grado di percepire la non consensualità del rapporto. La corte territoriale ha poi ritenuto che le condizioni personali della ricorrente, immaturità e la labilità emotiva, fossero solo espressione di una minore intensità del dolo. Orbene, con tale articolata motivazione il ricorso non si confronta, riproponendo la tesi esposta con l'appello il ricorso sul punto è pertanto inammissibile per il difetto della specificità estrinseca. 1.3. Il motivo poi prosegue esclusivamente proponendo la lettura alternativa delle prove già effettuata in primo grado. Va ricordato che è intangibile la valutazione nel merito del risultato probatorio. Infatti, pur in presenza della possibilità di dedurre il travisamento della prova, non muta la natura del sindacato di legittimità, che rimane limitato alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento impugnato e non può comportare una diversa lettura del materiale probatorio, anche se plausibile, sicché, per la rilevazione dei vizi della motivazione, occorre che gli elementi probatori indicati in ricorso siano decisivi e dotati di una forza esplicativa tale da vanificare l'intero ragionamento del giudice del merito. Si è infatti ribadito che è inammissibile il motivo di ricorso che sottopone al giudice di legittimità atti processuali per verificare l'adeguatezza dell'apprezzamento probatorio ad essi relativo compiuto dal giudice di merito ed ottenerne una diversa valutazione, perché lo stesso costituisce censura non riconducibile alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge cfr. Cass. Sez. 7, ordinanza n. 12406 del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948 . Esula dai poteri della Corte di cassazione la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, e non integra il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Cass. Sez. Unite, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 . 1.4. Il motivo sul travisamento della prova è generico perché l'omissione non si riferirebbe a specifiche prove ma alla loro valutazione complessiva. Inoltre, ci si lamenta della errata interpretazione delle perizie dunque, si pone una questione relativa alla valutazione della prova laddove il cd. travisamento della prova si realizza nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Va poi osservato che la corte di appello ha riportato stralci della perizia, dimostrando così di averla valutata. 1.5. Del tutto infondato è poi il richiamo alla mancata assunzione di una prova decisiva anche in tal caso, ci si lamenta della valutazione della prova. 2. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. si condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, si condanna altresì la ricorrente al pagamento della somma di Euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende. Si condanna altresì la ricorrente alla rifusione delle spese sostenute della parte civile che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute della parte civile che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.