Lui in carcere, lei pendolare per lavoro: plausibile la concessione dei domiciliari

Riprende vigore la richiesta presentata da un uomo e centrata sulle difficoltà vissute dalla moglie che per ragioni di lavoro è obbligata a lasciare da soli a casa i quattro figli piccoli. Riflettori puntati non solo sul suo turno di lavoro ma anche sulla sua vita da pendolare. Da valutare con attenzione anche le precarie condizioni di salute dei nonni.

Lui sottoposto a custodia cautelare in carcere, lei, la moglie, obbligata a lavorare 8 ore al giorno per mantenere sé e i quattro figli piccoli e messa in forte difficoltà dalla vita da pendolare per raggiungere il luogo di lavoro. In sostanza, emerge che la donna è costretta a lasciare da soli i figli a casa, non solo per l’intero turno di lavoro ma anche per il tempo necessario per compiere il tragitto casa-lavoro-casa. Questa situazione di precarietà, resa più complessa dalla mancanza di aiuti dai familiari e dalla impossibilità di sostenere la spesa necessaria per avvalersi di strutture assistenziali – pubbliche o private –, rende plausibile la richiesta del marito di ottenere la concessione degli arresti domiciliari per poter badare ai figli Cassazione, sentenza n. 45921/19, sez. I Penale, depositata oggi . Lavoro. A respingere la richiesta dell’uomo hanno provveduto prima la Corte d’Assise e poi il Tribunale del riesame, dicendo no” alla sua richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari per stare vicino ai figli e dare così una mano alla moglie. Per i giudici la condizione di impossibilità per la donna di accudire i figli minori per l’esigenza di recarsi dal luogo di residenza a quello di svolgimento della sua attività lavorativa è frutto di un volontario e strumentale trasferimento del domicilio familiare , così da consentire all’uomo, sempre secondo i Giudici, di accedere più facilmente alla misura degli arresti domiciliari . Impossibile, in sostanza, parlare di effettiva necessità familiare, anche tenendo presente, aggiungono i Giudici, il preavviso di licenziamento ricevuto dalla donna . Figli. La visione tracciata dai giudici di merito viene però censurata dalla Cassazione che invece considera plausibile la richiesta avanzata dall’uomo rinchiuso in carcere. Centrale, secondo i giudici del ‘Palazzaccio’, è la vicenda umana e familiare dei soggetti coinvolti, ossia la protratta assenza da casa della madre per un lasso temporale di sette o otto ore al giorno, cui si aggiungono i tempi di trasferimento e la necessità di lasciare soli presso l’abitazione i quattro figli piccoli – età compresa tra un anno e sei anni – in assenza di figure adulte di riferimento in grado di provvedere alle loro esigenze alimentari, di igiene e di movimento, di sorvegliarne l’operato e di risolvere eventuali difficoltà contingenti , senza dimenticare poi l’esigenza cogente per la donna di procurarsi un reddito con cui mantenere sé stessa e i figli . A sostegno di questa visione, poi, anche la documentazione riguardante le precarie condizioni di salute dei nonni, che quindi pare non possano fornire alcuna assistenza nell’accudimento dei nipoti. A margine, infine, la constatazione che il preavviso di licenziamento nei confronti della donna ha prospettato l’evenienza futura in caso di sue reiterate assenze ma non ha interrotto il rapporto, sollevandola dall’obbligo di recarsi quotidianamente sul luogo di prestazione della sua attività . Riprende vigore, quindi, la richiesta presentata dall’uomo, proprio alla luce delle difficoltà sopportate dalla moglie, ma ora sarà necessario comunque un nuovo giudizio in Appello, tenendo presenti però le riflessioni operate dai giudici della Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 ottobre – 12 novembre 2019, n. 45921 Presidente Casa – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 2 luglio 2019 il Tribunale di Roma, sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, rigettava l’appello proposto nell’interesse di S.S. avverso l’ordinanza in data 14 maggio 2018, con la quale la Corte d’assise di Roma aveva respinto la sua richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari. 1.1 A fondamento della decisione rilevava che la dedotta condizione di impossibilità per la madre dei figli minori dell’imputato di accudirli per l’esigenza di recarsi dal luogo di residenza a quello di svolgimento della sua attività lavorativa era dipesa dal volontario e strumentale trasferimento del domicilio familiare in [], ossia in località lontana da quella di commissione del reato contestato al S. in modo da consentirgli di accedere più facilmente alla misura meno gravosa degli arresti domiciliari, quindi non da una situazione di effettiva necessità, di cui difetta anche l’attualità per il preavviso di licenziamento già ricevuto dalla donna che comporterà la cessazione del rapporto di lavoro. 1.2 Il Tribunale riscontrava l’assenza dei presupposti per superare la presunzione di pericolosità, stabilita dall’art. 275 c.p.p., comma 3, in relazione al titolo del reato, art. 416-bis c.p., per cui si procede. 2. Ricorre per cassazione l’imputato per il tramite dei suoi difensori, che chiedono l’annullamento del provvedimento impugnato per erronea interpretazione dell’art. 275 c.p.p., comma 4 e dell’art. 31 Cost., per contraddittorietà di motivazione quanto alla valutazione dei motivi posti a base della richiesta di applicazione della misura cautelare domiciliare e per travisamento del fatto. Secondo la difesa, il Tribunale non ha considerato che la richiesta era stata avanzata ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 4, per le esigenze di assistenza ai figli minori infraseienni dell’imputato, mentre è stata vagliata la insussistenza di eccezionali esigenze cautelari ed erroneamente è stato ritenuto strumentale il trasferimento della residenza in [] per creare la situazione di difficoltà nella cura della prole che consentisse di superare la presunzione di adeguatezza della sola misura custodiale. In ogni caso con l’istanza era stato rappresentato che al S. non è contestato di avere rivestito il ruolo apicale dell’organizzazione, è incensurato e ha beneficiato di provvedimenti favorevoli di restituzione della somma di denaro rinvenuta presso la sua abitazione e dell’assoluzione in separato processo dagli addebiti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. L’esigenza della moglie del ricorrente di svolgere attività lavorativa per percepire un reddito col quale mantenere se stessa ed i quattro figli infraseienni implica la sua assenza da casa per almeno otto ore giornaliere, oltre ai tempi necessari per i trasferimenti dall’abitazione al luogo di lavoro, con la conseguenza di dover lasciare i figli da soli, non potendo fare ricorso all’aiuto di congiunti, nè avvalersi di strutture pubbliche per l’impossibilità di sostenerne la spesa. Il Tribunale ha errato anche nel valutare il preavviso di licenziamento, che prospetta il futuro licenziamento nel caso di protrazione dell’assenza dal lavoro per esigenze familiari, ma non lo determina e non ha considerato che due dei minori presentano problematiche di tipo psicologico, legate all’allontanamento forzato dal padre. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e merita dunque accoglimento. 1. Questa Corte di legittimità ha sempre ritenuto che l’art. 275 c.p.p., comma 4, in coerenza con la formulazione testuale e con la ratio della disposizione, vada interpretato nel senso che il divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di genitore di prole di età inferiore ai sei anni, costituisce norma eccezionale, non applicabile estensivamente ad ipotesi non espressamente contemplate Cass. sez. 4, n. 23268 del 19/04/2019, Rao, rv. 276366 sez. 6, n. 19784 del 26/02/2019, Gioffrè, rv. 275680 sez. 6, n. 18851 del 06/03/2018, Gioffrè, rv. 273382 sez. 6, n. 27967 del 03/06/2016, Scordo, rv. 267364 sez. 1, n. 36344 del 23/07/2015, Casesa, rv. 264540 . Ed è stato altresì deciso che, in tema di misure cautelari personali, il mantenimento della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’indagato padre di prole infraseienne, sussistendo l’impossibilità assoluta della madre di prestare assistenza al minore per l’impedimento dovuto a morte, stato di malattia, oppure a necessità di svolgere attività lavorativa per provvedere al mantenimento del nucleo familiare, pretende una valutazione, da condurre al momento della decisione, che ponga in bilanciamento le esigenze socialpreventive e quelle di accudimento genitoriale nell’interesse della prole ad un adeguato percorso educativo e di crescita sez. 6, n. 35806 del 23/06/2015, Pepe, rv. 264725 . In altri termini, è richiesta la verifica giudiziale, diretta ad accertare se la mancata presenza di entrambi i genitori possa determinare una irreversibile compromissione del processo evolutivo-educativo dei minori, che riceve tutela costituzionale nell’art. 31 Cost Quando poi sia dedotta la necessità per la madre di dedicarsi ad impegno lavorativo da svolgere al di fuori dell’ambiente domestico, perché siffatto impedimento sia assoluto e comporti un pregiudizio alle esigenze di assistenza dei figli minori, devono essere riscontrate l’assenza, oltre che delle figure genitoriali, anche di altri familiari in grado di accudirli e l’impossibilità di avvalersi di strutture assistenziali, pubbliche o private. Il riscontro positivo delle situazioni integranti un impedimento assoluto per la madre di provvedere ai figli minori rientrati nei predetti limiti di età comporta la prevalenza della disciplina di favore, stabilita dal citato art. 275 c.p.p., sulle esigenze cautelari, sebbene la misura sia applicata per uno dei reati che, a norma del suo comma 3, comportano l’operatività della duplice presunzione relativa di pericolosità e di adeguatezza della sola misura custodiale con l’unica eccezione ammessa della ricorrenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza sez. 4, n. 23268 del 19/04/2019, Rao, rv. 276366 sez. 1, n. 15911 del 19/03/2015, Caporrimo, rv. 263088 sez. 2, n. 11714 del 16/03/2012, Ruoppolo, rv. 252534 2. Tanto premesso in linea generale sulle coordinate ermeneutiche di riferimento, ritiene il Collegio che non sia ultroneo, nè eccedente i limiti della devoluzione operata con l’istanza originaria, la trattazione da parte del Tribunale del riesame del tema della sussistenza o meno di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, posto che, per quanto riportato nello stesso ricorso, si tratta di questione sollevata con la stessa richiesta per ottenere il relativo accertamento negativo e poi con l’impugnazione mediante l’illustrazione della specifica posizione processuale del S. e delle pronunce che l’avevano sino al momento riguardato. 3. Quanto all’aspetto più specifico dell’apprezzamento delle condizioni di vita della moglie e dei figli del ricorrente, il Tribunale pare avere concentrato la propria disamina sull’avvenuto volontario trasferimento dell’abitazione familiare da omissis con il conseguente prolungamento del tragitto che la E.B. deve percorrere per raggiungere il luogo di lavoro, scelta che avrebbe intenzionalmente reso più difficoltosa la conciliazione dell’impegno occupazionale con l’assolvimento dei doveri genitoriali. Ha però ignorato il nodo essenziale della vicenda umana e familiare dei soggetti coinvolti, ossia la protratta assenza da casa della madre per un lasso temporale di sette o otto ore al giorno, cui si aggiungono i tempi di trasferimento, e la necessità di lasciare soli presso l’abitazione quattro minori di età compresa tra uno e sei anni in assenza di figure adulte di riferimento in grado di provvedere alle loro esigenze alimentari, di igiene è di movimento, di sorvegliarne l’operato e di risolvere eventuali difficoltà contingenti, nonché la esigenza cogente per la donna di procurare un reddito con il quale mantenere se stessa ed i figli. Nessun accenno vi è nell’ordinanza impugnata, nè alla protrazione temporale dell’assenza da casa della E.B. , nè alla sua situazione parentale e finanziaria per verificare la possibilità per la stessa di fare ricorso all’aiuto di congiunti, vicini, oppure ad altre forme di assistenza in grado di accudire i minori presso l’abitazione o in altro luogo idoneo e per poter affermare che la prospettata attività lavorativa costituisca, non un impedimento assoluto, ma una scelta volontaria, cui non può farsi fronte con una diversa modulazione della misura coercitiva imposta al coniuge. 3.1 Difetta in particolare qualsiasi disamina della certificazione allegata all’istanza di sostituzione della misura, attestante le compromesse condizioni di salute del padre della donna, invalido civile, affetto da parkinson e pregresso ictus cerebrale col riconoscimento della condizione di handicap grave e delle esigenze di assistenza, nonché dello stato morboso che affligge anche la madre del ricorrente, colpita da malattia tumorale nel febbraio 2018 col conseguente stato di invalidità. 3.2 Sotto diverso aspetto, la motivazione dell’ordinanza impugnata presenta criticità logiche laddove considera non attuale l’impegno lavorativo per avere la moglie del ricorrente ricevuto il preavviso di licenziamento, i cui effetti sono stimati idonei a rescindere immediatamente il rapporto di lavoro subordinato così non è, dal momento che il documento ha prospettato l’evenienza futura in caso di reiterate assenze della lavoratrice, ma non ha interrotto il rapporto, sollevandola dall’obbligo di recarsi quotidianamente sul luogo di prestazione della sua attività. L’ordinanza impugnata, affetta da violazione di legge e da vizio di motivazione, deve essere annullata, affinché il Tribunale di Roma, in diversa composizione, proceda a nuovo esame della vicenda nel rispetto dei principi sopra enunciati e colmando le lacune argomentative riscontrate mediante una completa disamina di tutte le emergenze probatorie, in modo tale da verificare se la mancata presenza di entrambi i genitori possa determinare una irreversibile compromissione del processo evolutivo-educativo dei minori. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale del riesame di Roma. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.