Notifica al difensore per temporanea assenza dell’imputato: non servono indagini sull’irreperibilità

L’impossibilità della notificazione al domicilio dichiarato o eletto, che ne legittima l’esecuzione presso il difensore ex art. 161, comma 4, c.p.p., è integrata anche dalla temporanea assenza dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale di Polizia, non occorrendo alcuna indagine che attesti l’irreperibilità dell’imputato, che invece è doverosa quando non sia stato possibile eseguire la notifica ai sensi dell’art. 157 c.p.p

Così la Cassazione con sentenza n. 45520/19, depositata l’8 novembre. Il caso. Avverso la sentenza di secondo grado che dichiarava gli imputati colpevoli per il reato di cui agli artt. 110 e 353 c.p., questi propongono ricorso per cassazione denunciando violazione degli artt. 157 e 161, comma 4, c.p.p Era successo che la Polizia non aveva potuto effettuare la notifica presso il domicilio dichiarato dagli imputati, nonostante esso fosse effettivo. Inoltre, i ricorrenti eccepiscono che il difensore, presso cui era stata effettuata poi la notifica, aveva reso in atti di non voler ricevere le notificazioni nell’interesse dei propri assistiti. Notificazione al difensore ex art. 161, comma 4, c.p.p In realtà, come risulta dagli atti, il difensore aveva dato prova sia della notifica dell’avviso di deposito della sentenza di primo grado presso i domicili degli assistiti, sia della ricezione di atti di posta ordinaria. Ma ciò che i ricorrenti lamentano principalmente è la non completezza degli accertamenti svolti dall’ufficiale notificatore per verificare l’inidoneità della dichiarazione e consentire l’effettuazione di quella sostitutiva al difensore. Sul punto occorre richiamare un ormai noto orientamento giurisprudenziale secondo cui l’impossibilità della notificazione al domicilio dichiarato o eletto, che ne legittima l’esecuzione presso il difensore ex art. 161, comma 4, c.p.p., è integrata anche dalla temporanea assenza dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale di Polizia, non occorrendo alcuna indagine che attesti l’irreperibilità dell’imputato, che invece è doverosa quando non sia stato possibile eseguire la notifica ai sensi dell’art. 157 c.p.p Pertanto, nel caso in esame, in cui gli imputati avevano dichiarato domicilio, la loro doglianza circa l’esistenza di una dichiarazione del proprio difensore ai sensi dell’art. 157, comma 8- bis , c.p.p, appare ininfluente. È legittima la notificazione eseguita ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p. nel caso in esame e, quindi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 2 ottobre – 8 novembre 2019n. 45520 Presidente Mongini – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Lecce ha confermato quella del Tribunale di Lecce del 13/10/2016 che aveva dichiarato M.A. e Mu.An. responsabili del reato di cui agli artt. 110, 353 c.p., condannando entrambi alla pena di nove mesi di reclusione ed Euro 300,00 di multa. 2. Avverso la sentenza hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione gli imputati, che con un primo motivo deducono la nullità della sentenza per violazione dell’art. 157 c.p.p., e art. 161 c.p.p., comma 4, e vizio di motivazione sul punto. In particolare, allegano che dinanzi alla Corte territoriale è stata tempestivamente eccepita la nullità della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza di appello, poiché la stessa avvenuta a mani del difensore ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4. La Polizia Municipale di [], incaricata dell’esecuzione della notifica, non è stata, infatti, in grado di procedervi presso il domicilio dichiarato dagli imputati, nonostante l’effettività del domicilio stesso, l’avvenuta ricezione della posta pochi giorni prima del tentativo nonché la già avvenuta notifica dell’avviso di deposito della sentenza di primo grado. I ricorrenti eccepiscono, inoltre, che il difensore ha reso e versato in atti, unitamente alla nomina di fiducia conferitagli, la dichiarazione di cui all’art. 157, comma 8 bis, di non voler ricevere notificazioni nell’interesse dei propri assistiti. Deducono, inoltre, che per poter ritenere impossibile la notifica non è sufficiente - come accaduto nella specie - la semplice attestazione da parte dello agente notificatore di non avere reperito l’imputato, occorrendo un quid pluris consistente in un accertamento da eseguire in loco e solo a seguito del quale, ove l’elezione di domicilio sia mancante o insufficiente o l’imputato siasi trasferito altrove, diventa possibile attivare la fase della procedura di notificazione ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, presso il difensore. Come già poi anticipato, l’ordinanza della Corte di merito che ha respinto l’eccezione, ha violato anche l’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, attesa l’espressa manifestazione di volontà da parte del difensore di non accettare la notificazione nell’interesse dei suoi assistiti. Con un secondo motivo, deducono violazione ed erronea applicazione dell’art. 353 c.p., e vizi congiunti di motivazione in ordine alla ribadita affermazione di responsabilità per il reato in addebito. Con un terzo motivo, deducono violazione degli artt. 62 bis e 133 c.p., e vizi congiunti di motivazione in ordine all’entità della pena irrogata. Con un quarto motivo, deducono violazione dell’art. 163 c.p., e vizi congiunti di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale all’imputato Mu.An. , in maniera asseritamente immotivata e fondata unicamente sulla presenza di precedenti penali. Con un quinto e ultimo motivo, deducono violazione dell’art. 131 bis c.p., e vizi congiunti di motivazione sul punto, dolendosi della mancata applicazione della speciale causa di non punibilità per essere il fatto di particolare tenuità. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono manifestamente infondati e debbono come tali essere dichiarati inammissibili. 2. Dato anche l’evidente carattere pregiudiziale, s’impone in via preliminare l’esame del primo motivo di ricorso di natura squisitamente procedurale. Dal fascicolo processuale risulta che, incaricati della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza del giudizio di appello, agenti del Corpo della Polizia Municipale di [] si recarono presso i contigui domicili rispettivamente dichiarati dagli imputati, ivi non reperendo nessuno dei due, del fatto dando attestazione in apposito verbale. Dal suo canto, il difensore ha allegato al ricorso prova della notifica dell’avviso di deposito della sentenza di primo grado esattamente presso i citati domicili, evento che risale, tuttavia, alla fine dell’anno 2016 nonché prova della ricezione di atti di posta ordinaria nel mese novembre del 2018, mentre l’accertamento della Polizia Municipale avveniva nel successivo mese di dicembre 2018. Agli atti, invece, non è stata rinvenuta prova dell’avvenuta dichiarazione del difensore di cui all’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, ma l’assenza appare irrilevante per quanto oltre si dirà. I ricorrenti sostengono, dunque, la tesi dell’insufficienza della semplice attestazione da parte dell’agente notificatore di non avere reperito l’imputato, occorrendo a loro avviso un quid pluris consistente in un accertamento da eseguire in loco e solo a seguito del quale, ove l’elezione di domicilio sia mancante o insufficiente o l’imputato siasi trasferito altrove, diventa possibile attivare la fase della procedura di notificazione ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, presso il difensore, citando a sostegno una recente decisione di questa Corte di legittimità Sez. 5 sent. n. 3993/19 del 06/12/2018, Giambattista . Il Collegio reputa che le conclusioni cui è pervenuta la decisione citata, seppur dichiaratamente assunta nel solco della sentenza Sez U n. 58120 del 22/06/2017 Tuppi, Rv. 271772 non siano condivisibili, implicando un’indebita commistione tra procedure e vale a dire di quella di cui all’art. 157 c.p.p., concernente la prima notificazione all’imputato non detenuto con quella di cui all’art. 161 c.p.p., riguardante l’imputato che abbia, invece, dichiarato, eletto o determinato domicilio per le notificazioni. Va in primo luogo rilevato che nessuno dei ricorrenti ha formulato censure sul fatto che, dopo avere dichiarato domicilio, sussistessero effettivamente le condizioni di cui all’art. 161, comma 1 - in particolare l’intervenuto avvertimento dell’obbligo di comunicare le variazioni del domicilio stresso - per poter procedere alla notificazione al difensore ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4. La censura riguarda, piuttosto, la completezza degli accertamenti svolti dallo ufficiale notificatore al fine di verificare l’inidoneità di quella dichiarazione e consentire, quindi, l’effettuazione di quella sostitutiva al difensore. Ora su tale aspetto è noto che la citata decisione delle Sezioni Unite ha composto un contrasto sul tema insorto nella giurisprudenza di questa Corte di Cassazione. Un primo orientamento, infatti, postulava la nullità della notifica eseguita, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, mediante consegna al difensore, ove non fossero stati svolti particolari accertamenti da parte dell’ufficiale notificatore verifica della presenza in loco o presenza di persone in grado di ricevere la notifica per conto dell’interessato secondo Sez. 5, sent. n. 51111 del 17/10/2017, Gueye, Rv. 271819 conformi, tra le altre Sez. 6, sent. n. 50016 del 10/12/2015, B, Rv. 265693 Sez. 5, sent. n. 35724 del 10/06/2015, L, Rv. 265872 . A detto orientamento se ne è contrapposto altro affermante la tesi che non è, per contro, necessario procedere non solo ad una verifica di vera e propria irreperibilità, ma neppure agli adempimenti stabiliti dall’art. 157, comma 7 c.p.p. Sez. 3, sent. n. 12909 del 20/01/2016, Pinto, Rv. 268158 conf. Sez. 6, sent. n. 24864 del 19/04/2017, Ciolan, Rv. 270031 . Il contrasto è stato, come anzidetto, almeno in parte composto da Sez. U, sent. n. 58120 del 22/06/2017, Tuppi, Rv. 271772 che ha stabilito il principio che l’impossibilità della notificazione al domicilio dichiarato o eletto, che ne legittima l’esecuzione presso il difensore secondo la procedura prevista dall’art. 161 c.p.p., comma 4, è integrata anche dalla temporanea assenza dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale notificatore o dalla non agevole individuazione dello specifico luogo, non occorrendo alcuna indagine che attesti l’irreperibilità dell’imputato, doverosa invece qualora non sia stato possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall’art. 157 c.p.p.”. Ciò premesso, è indubbio che anche la pronuncia delle Sezioni Unite, al di là dell’affermazione del principio della non necessità di procedere ad una verifica compiuta di irreperibilità, lascia adito a margini interpretativi, ma a parere del Collegio deve restare ferma la netta distinzione tra adempimenti che s’impongono all’ufficiale notificatore ai sensi dell’art. 157 c.p.p., e quelli che, invece, gli si richiedono quando l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio, assumendo gli obblighi imposti dalla legge e segnatamente quello di comunicare ogni variazione intervenuta successivamente alla dichiarazione o alla elezione, rese all’avvio della vicenda processuale. Si vuole con ciò significare che una volta avvenuta la dichiarazione di domicilio e una volta ammessa la concreta possibilità nella specie incontestata della notifica in via sostitutiva al difensore, non v’è spazio per imporre, nel silenzio della legge art. 161, comma 4, prima parte, Se la notificazione nel domicilio determinato a norma del comma 2, diviene impossibile , alcun particolare adempimento all’organo notificatore, che inevitabilmente andrebbe reperito tra uno di quelli previsti dall’art. 157 c.p.p La radicale diversità del regime di notificazione di cui all’art. 157, con quello di cui all’art. 161 c.p.p., rende, inoltre, irrilevante la dichiarazione del difensore di fiducia di non voler ricevere le notificazioni per conto del proprio assistito. Alla notificazione di cui all’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, si può, infatti, ricorrere quando la prima, eseguita ai sensi dei precedenti commi dello stesso art. 157, sia andata a buon fine e l’imputato abbia nominato un difensore di fiducia, senza avere, però, nè dichiarato nè eletto domicilio presso di lui o presso altra persona. Ad attenuare gli effetti dell’onere di ricevere la notificazione successiva alla prima imposto dalla legge al difensore di fiducia non domiciliatario sta, invece, la possibilità per questi di dichiarare immediatamente all’autorità procedente di non accettare la notificazione stessa. Tali previsioni non vengono, però, minimamente in rilievo quando l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio, talché, vale ripeterlo, la doglianza formulata dai ricorrenti circa l’esistenza di una dichiarazione del proprio difensore ai sensi del citato art. 157, comma 8 bis, appare del tutto ininfluente. A conclusione di tale excursus va, dunque, affermata la legittimità della notificazione eseguita ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, e dichiarata manifestamente infondata la censura sul punto. 3. Anche gli altri motivi vanno dichiarati inammissibili o perché non consentiti ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3, o perché manifestamente infondati. Riguarda propriamente il merito del giudizio il secondo motivo di censura, con cui i ricorrenti si dolgono in sostanza della ribadita affermazione di responsabilità, contestando l’attendibilità delle dichiarazioni dei testimoni oculari del fatto l’interruzione dell’asta in atto nei locali di loro proprietà dagli stessi imputati provocata ed invocando indebitamente da parte del giudice di legittimità una revisione di valutazioni spettanti in via esclusiva ai giudici del merito. Devono parimenti ritenersi non consentiti i motivi in ordine alla congruità del trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, poiché finiscono per contestare l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito su entrambi i profili, esercizio che nella specie risulta corroborato da argomentazioni congrue ed insuscettibili di sindacato sul piano logico v. pag. 5 sent. impugnata . Risulta, infine, manifestamente infondata la doglianza in ordine alla mancata applicazione dell’art. 131 bis c.p Deducono i ricorrenti che la Corte di Appello avrebbe potuto, anche di ufficio, applicare la suddetta causa di esclusione della punibilità viso che per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno provocato, l’offesa deve sicuramente ritenersi di particolare tenuità pagg. 15-16 ricorso . Il fatto è, invece, che la Corte di merito non ha affatto ritenuto di particolare tenuità la condotta contestata e ritenuta in sentenza - consistita nell’interruzione dell’asta e nell’allontanamento dell’Ufficiale di Riscossione dai locali dove essa si stava svolgendo con modi quanto meno inurbani - tant’è che non ha riconosciuto agli imputati nè le attenuanti generiche nè ha concesso loro il beneficio di cui all’art. 163 c.p., sicché non sussiste ragione di ordine logico per sindacare la congruità della mancata applicazione della causa di non punibilità. 4. Alla dichiarazione d’inammissibilità segue, come per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento ciascuno di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che stimasi equo quantificare in Euro 2.000,00 duemila . P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.