Certificato medico e reato di falso ideologico in atto pubblico

La Cassazione chiarisce che integra il reato di falsità ideologica commesso da pubblico ufficiale la condotta del medico che redige un atto pubblico fidefacente contenente false attestazioni.

Così con sentenza n. 45146/19 depositata il 6 novembre. Reato di falso ideologico. La Corte d’Appello di Lecce confermava la sentenza con cui il Tribunale di Brindisi aveva dichiarato l’imputato, appartenente alla Polizia Penitenziaria, responsabile per il reato di falso ideologico in atto pubblico, in concorso un medico dell’ASL in servizio presso la Casa Circondariale. Nel dettaglio, l’imputato aveva utilizzato falsi certificati prodotti dal medico attestanti patologie inesistenti, utilizzati dall’imputato per giustificare le assenze dal lavoro. Avverso la decisione della Corte territoriale ha proposto ricorso in Cassazione l’imputato, lamentando che i giudici di secondo grado abbiano considerato come atto pubblico quella parte del certificato afferente all’asserita ma non compiuta visita medica, posto che egli aveva chiesto al medico il rilascio della certificazione indicando l’esistenza di sintomi di una patologia non verificata dalla visita medica e dunque il falso certificato rientra nella fattispecie di cui all’art. 480 c.p La condotta. La Suprema Corte, ritenendo infondato il motivo di ricorso, richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza secondo cui integra il reato di falsità ideologica commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefacente, la condotta del medico che redige un certificato con false attestazioni. Infatti, l’atto pubblico fidefacente è caratterizzato dall’attestazione dei fatti appartenenti all’attività di pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione e dalla circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova e cioè precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio della sua specifica funzione certificatrice . Da questo, specificano i Giudici, deriva che la diagnosi risultante dal certificato ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una situazione che assume un rilievo giuridico esterno alla mera indicazione sanitaria o terapeutica. Per questo motivo la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 settembre – 6 novembre 2019, n. 45146 Presidente De Gregorio – Relatore Caputo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza deliberata il 29/10/2018, la Corte di appello di Lecce ha confermato - salvo che per il trattamento sanzionatorio, riformato in melius - la sentenza del 04/06/2015 con la quale, all’esito del giudizio abbreviato, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brindisi, per quanto è qui di interesse, aveva dichiarato P.S. , appartenente alla Polizia Penitenziaria, responsabile del reato di falso ideologico in atto pubblico, per avere, in concorso con D.C.C.G. , medico di base convenzionato con la A.S.L. e medico in servizio presso la Casa Circondariale, formato certificati medici attestanti falsamente patologie del P. , che utilizzava detti certificati per giustificare le assenze dal lavoro tra il 09/07/2013 e 13/10/2013 . 2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Lecce ha proposto ricorso per cassazione P.S. , attraverso il difensore Avv. Orazio Vesco, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 270 e 125 c.p.p., nonché vizi di motivazione, in relazione alla ritenuta utilizzabilità delle conversazioni intercettate in un diverso procedimento relativo a fatti di droga , ossia a violazioni della disciplina di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, e, dunque, in relazione a soggetti, luoghi e tempi del tutto diversi, non essendo pertinenti i riferimenti della sentenza impugnata alla giurisprudenza concernente l’ipotesi di intercettazione di cui non era stata richiesta la trascrizione. Le intercettazioni acquisite nel presente processo sono inutilizzabili ai fini della prova circa la responsabilità penale dell’imputato, in quanto, elise dette intercettazioni dal compendio investigativo, nulla più milita in tal senso. 2.2. Il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizi di motivazione. La giurisprudenza di legittimità considera atto pubblico quella parte del certificato afferente all’asserita, ma non compiuta visita medica ed è questa la medesima fattispecie concreta in esame, posto che l’odierno appellante recte, ricorrente richiedeva al medico il rilascio di una certificazione medica indicando l’esistenza di sintomi di una patologia non verificata dalla visita medica, sicché il certificato rientra nella fattispecie di cui all’art. 480 c.p Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità. Secondo l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416 nel caso di specie, il ricorso non offre alcuna specifica indicazione circa l’incidenza delle intercettazioni di cui si assume l’inutilizzabilità sul complessivo compendio conoscitivo, tanto più che detto compendio, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non si esauriva nei risultati delle intercettazioni, ma, come si desume dalla sentenza di primo grado, che si integra con quella sul punto conforme di appello Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145 , comprendeva anche le dichiarazioni rese dal medico - coimputato - autore dei certificati. 3. Il secondo motivo è manifestamente infondato al lume del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui integra il delitto di falsità ideologica commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefacente, la condotta del medico che rediga un certificato con false attestazioni, in quanto ciò che caratterizza l’atto pubblico fidefacente, anche in virtù del disposto di cui all’art. 2699 c.c. è - oltre all’attestazione di fatti appartenenti all’attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione - la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova e cioè precostituito a garanzie della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice ne deriva che la diagnosi riportata nel certificato ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una situazione - caduta nella sfera conoscitiva del p.u. - che assume anche un rilievo giuridico esterno alla mera indicazione sanitaria o terapeutica Sez. 5, n. 12213 del 13/02/2014, Amoroso, Rv. 260208 conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 12401 del 01/12/2010 - dep. 2011, Langella, Rv. 249633 . 4. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.