Frasi offensive verso due poliziotti: il contesto fa presumere la presenza di altre persone

Donna condannata per oltraggio a pubblico ufficiale. Respinta l’obiezione difensiva finalizzata a mettere in discussione la visione tracciata in appello. Per i Giudici della Cassazione, invece, il contesto dell’episodio è sufficiente per presumere che altre persone abbiano assistito all’episodio.

Contesto decisivo per ritenere che le frasi offensive rivolte da una donna a due poliziotti siano catalogabili come oltraggio”. Per i giudici il fatto che l’episodio si sia svolto in un pomeriggio estivo e in una piazza, piena di panchine, a pochi passi dal centro della città, può logicamente far desumere che ad esso abbiano assistito altre persone, oltre ai ‘protagonisti’ Cassazione, sentenza n. 44599/19, sez. VI Penale, depositata oggi . Presenza. Una volta ricostruito l’episodio, la donna sotto processo viene condannata, prima in Tribunale e poi in appello, per i delitti di resistenza ed oltraggio nei confronti di due sottufficiali della Polizia di Stato e per rifiuto di indicazioni sulla propria identità . Centrale in Cassazione diventa il capitolo relativo alla ipotesi di oltraggio a pubblico ufficiale . Su questo fronte l’avvocato della donna osserva che il requisito della pubblicità dell’oltraggio è frutto della mera presunzione della presenza di altre persone . Per il legale va messa in discussione la solidità del capitolo accusatorio riguardante l’oltraggio. I giudici della Cassazione ribattono definendo corretta la visione tracciata in Appello, laddove si è osservato che l’episodio è avvenuto in un pomeriggio estivo, all’interno di una piazza con varie panchine e su cui si affacciano numerosi esercizi pubblici e posta a pochi minuti di cammino dal centro della città . Ragionevole quindi dedurre la presenza di altre persone ad assistere all’episodio incriminato, concludono i Giudici.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 luglio – 31 ottobre 2019, n. 44599 Presidente Di Stefano – Relatore Rosati Ritenuto in fatto 1. Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello di Trieste ha confermato quella emessa il 28 giugno 2017 dal Tribunale di Pordenone, che ha condannato Se. Bo. El Ha. Kh. per i delitti di resistenza ed oltraggio nei confronti dei sottufficiali della Polizia di Stato Gr. e Ve., di lesioni in danno di quest'ultimo e di rifiuto d'indicazioni sulla propria identità. 2. Ricorrendo per cassazione, il difensore di costei chiede di annullare tale sentenza per i seguenti motivi 2.1. nullità della stessa, conseguente all'inosservanza degli artt. 178, lett. c , 179, 598, 599, cod. proc. pen., e degli artt. 24 e 111, Cost., per violazione del diritto dell'imputata a prendere parte al processo, essendo ella detenuta per altra causa alla data dell'udienza e non avendo potuto chiedere di esservi tradotta, in quanto ignara della celebrazione della stessa, poiché il relativo avviso era stato notificato solo al suo difensore domiciliatario, diverso da quello che l'assisteva nel procedimento per cui era stata tratta in arresto 2.2. violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione a all'erronea valutazione degli elementi di prova, ed in particolare della testimonianza di Ni. Mi. e della documentazione sanitaria, da cui si evincerebbe, invece, che l'imputata abbia agito per legittima difesa o, comunque, per legittima reazione ad un'attività arbitraria compiuta in suo danno da quei poliziotti, poggiando l'accusa soltanto sull'interessata rappresentazione dei fatti operata da costoro nei loro atti b all'illogica deduzione del requisito della pubblicità dell'oltraggio sulla base di una mera presunzione della presenza di altre persone, tuttavia smentita dalla mancanza, in atti, di sommarie informazioni da parte di persone presenti, salvo a ritenere - chiosa la difesa - che ciò sia stato il prodotto di una scelta interessata degli stessi operatori di polizia, indirettamente confermativa, come tale, della tesi difensiva c all'omessa risposta alle censure avanzate con l'atto d'appello sulla configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 651, cod. pen. 2.3. vizio di motivazione con riferimento al diniego di attenuanti generiche, giustificato con mero richiamo di stile ai precedenti dell'imputata, trascurando che questi si riferiscono tutti a reati commessi, come nel caso in esame, contro operatori di Polizia in servizio a Pordenone. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Per allegazione della stessa difesa, la notifica del decreto di citazione a giudizio in appello all'imputata è avvenuta regolarmente, in quanto effettuata presso il suo difensore domiciliatario, e nessuno ha rappresentato alla Corte il sopravvenuto stato detentivo di costei per altro procedimento. Né su quel giudice gravava l'onere di provvedere d'ufficio al relativo accertamento, in assenza di una comunicazione proveniente dall'interessata o dal suo difensore Sez. 5, n. 48911 del 01/10/2018, Rv. 274160 Sez. 2, n. 17810 del 09/04/2015, Rv. 263532 . 2. Il secondo motivo è infondato, sotto tutti i differenti profili con esso rappresentati. 2.1. In merito al delitto di resistenza a pubblico ufficiale, il ricorso si limita a riproporre la versione alternativa degli accadimenti già rassegnata con l'atto d'appello, senza replicare criticamente alle logiche osservazioni contenute nella sentenza impugnata, che si è soffermata specificamente sulle ragioni dell'inattendibilità dell'anziano teste Mi., delineandone il coinvolgimento emotivo nella vicenda ed evidenziando le omissioni del suo racconto e le contraddizioni con altre emergenze istruttorie pag. 5 . La lettura difensiva della documentazione sanitaria acquisita agli atti, invece, costituisce soltanto un'interpretazione soggettiva di tale dato istruttorio, meno probabile rispetto a quella ritenuta in sentenza e, comunque, certamente non idonea a scalfirne la complessiva coerenza logica, alla cui verifica è limitato il sindacato del giudice di legittimità. 2.2. Analoghe considerazioni valgono per quanto riguarda il delitto di oltraggio. La Corte d'appello ha posto in evidenza plurime circostanze di fatto, non controverse, dalle quali ha desunto il dato oggetto di discussione la presenza di più persone e la possibilità che queste percepissero il comportamento oltraggioso. Si legge in sentenza, infatti, che l'episodio è avvenuto in un pomeriggio estivo, all'interno di una piazza posta a pochi minuti di cammino dal centro della città, sulla quale sono situate varie panchine e si affacciano numerosi esercizi pubblici la deduzione della presenza di altre persone che abbiano assistito ai fatti, pertanto, si presenta più che ragionevole. La difesa, dal suo canto, non offre elementi tali da smentire le anzidette circostanze di fatto o da rendere illogica l'inferenza compiuta da giudici di merito, limitandosi a prospettare l'ipotesi dell'infedele comportamento degli agenti di polizia, tuttavia sfornita di alcun supporto logico-fattuale. 2.3. Con riferimento, infine, alla contravvenzione di cui all'art. 651, cod. pen., il ricorso è meramente enunciativo dell'omissione di motivazione, non consentendo perciò di apprezzare specifiche doglianze e la ricaduta di esse sulla complessiva tenuta logica della sentenza impugnata. 3. Il terzo motivo è manifestamente infondato. In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133, cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione. Tale onere motivazionale deve ritenersi adeguatamente assolto, in particolare, attraverso il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato tra moltissime altre Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826 Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244 . Tanto è avvenuto nel caso specifico, senza che l'argomentazione spesa dalla difesa a confutazione - ovvero che le condotte oggetto dei precedenti specifici valorizzati dai giudici di merito fossero state tutte dirette, come quella in giudizio, verso agenti della Polizia della stessa città - possa reputarsi idonea a rendere illogica la valutazione compiuta da quei giudici, prestandosi essa, anzi, ad una lettura di segno opposto, quale espressione, cioè, di un dolo più intenso. 4. Il ricorso, dunque, dev'essere respinto. Al rigetto consegue obbligatoriamente - ai sensi dell'art. 616, cod. proc. pen. - la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.