Sulla richiesta di informazioni da parte dell’Ispettorato del lavoro al legale rappresentante della ditta

La formale richiesta di informazioni da parte dell’Ispettorato del lavoro deve essere portata a conoscenza o dell’impresa o comunque del datore di lavoro, poiché si tratta del presupposto fattuale da cui poi scaturisce la rimproverabilità della condotta al soggetto rimasto inadempiente in caso di omessa risposta.

Così la Cassazione con sentenza n. 44286/19, depositata il 30 ottobre. Il caso. Nei primi gradi di giudizio l’imputata veniva condannata alla pena di giustizia, ritenuta colpevole per non aver fornito, in qualità di legale rappresentante di una ditta individuale, le notizie richieste legalmente dall’ispettorato del lavoro territorialmente competente, a seguito di visita ispettiva presso la sede della ditta medesima. Avverso tale decisione, l’imputata stessa ricorre per cassazione. La richiesta di informazioni. Ai sensi dell’art. 4, comma 7, l. n. 628/1961, sono sanzionati coloro che, dopo la legale richiesta da parte dell’Ispettorato del lavoro di fornire notizie secondo le modalità indicate dalla stessa legge, non le forniscano o le diano errate o incomplete. Per quanto riguarda poi la forma di inoltro della richiesta, i Giudici di legittimità hanno precisato che il reato di omessa risposta alla richiesta dell’ispettorato di fornire notizie si configura anche nel caso in cui la richiesta sia spedita mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, non essendone necessaria la notifica nelle forme previste dagli artt. 157 e ss. c.p.p. tale reato sussiste anche qualora la richiesta di informazioni non sia stata rivolta al datore di lavoro personalmente, poiché è sufficiente che essa venga notificata alla sede della ditta affinché sia conoscibile dal legale rappresentante della stessa. Ebbene, nel caso di specie, tale presupposto non può ritenersi adeguatamente provato, risultando dal fascicolo che la richiesta di informazioni era stata inoltrata all’imputata a mezzo posta, il che era legittimo, ma non vi sono prove che tale richiesta sia pervenuta effettivamente alla destinataria. Alla stregua di ciò, il S.C. annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 28 maggio – 30 ottobre 2019, n. 44286 Presidente Izzo – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17 gennaio 2018, il Tribunale di Treviso condannava D.T.V. alla pena di Euro 100 di ammenda, in quanto ritenuta colpevole del reato di cui alla L. n. 628 del 1961, art. 4, comma 7, a lei contestato per non aver fornito, in qualità di legale rappresentante della ditta individuale D.T.V. , le notizie richieste legalmente dall’Ispettorato del Lavoro di Treviso, a seguito di visita ispettiva presso la sede della ditta prima indicata fatto accertato in omissis . 2. Avverso la sentenza del Tribunale veneto, il difensore di D.T. ha proposto appello, poi convertito in ricorso per cassazione, sollevando sei motivi. Con il primo, la difesa deduce la carenza delle condizioni di procedibilità dell’azione penale, evidenziando l’incertezza circa l’avvenuta notifica del verbale di mancata ottemperanza alla prescrizione, avendo il teste M.A. , riferito che la missiva inviata alla D.T. nell’aprile 2015, era stata restituita al mittente per irreperibilità, essendovi analoga incertezza anche sulla ritualità della notifica della prescrizione e della mancata ottemperanza ex D.Lgs. n. 758 del 1994, non potendo il giudice giungere a una pronuncia nel merito, se prima non abbia accertato che vi sia la prova dell’effettiva notificazione delle prescrizioni imposte al contravventore dall’organo di vigilanza, dell’omessa eliminazione delle violazioni nel tempo e secondo le modalità indicate, nonché del mancato pagamento dell’eventuale sanzione amministrativa. Con il secondo motivo, la ricorrente eccepisce la genericità del capo d’imputazione, nel quale non sarebbero state specificate quali fossero le notizie richieste dagli ispettori, nè eventuali obblighi successivi imposti nella visita ispettiva, con compromissione del diritto della difesa costituzionalmente tutelato. Con il terzo motivo, oggetto di doglianza è l’attribuzione di rilevanza penale al fatto contestato, osservandosi in proposito che la L. n. 628 del 1961, art. 4, comma 7 sanziona i soggetti, diversi dal datore di lavoro e comunque dalla persona che subisce il controllo ispettivo che, in quanto titolari di una pubblica funzione o esercenti un’attività di rilevanza pubblica, hanno documenti o notizie che possono essere utili a fini ispettivi, mentre, per il semplice datore di lavoro ed i soggetti che lo rappresentano, è prevista la sola sanzione amministrativa di cui al D.L. n. 463 del 1983, art. 3, comma 3, convertito dalla L. n. 638 del 1983, in caso di violazione dell’obbligo di fornire agli ispettori del lavoro notizie relative alla sussistenza di rapporti di lavoro, alle retribuzioni, agli adempimenti assicurativi e contributivi, nonché di consentire l’accesso in azienda e di esibire tutti i documenti necessari per l’ispezione, essendo altresì punite, sempre in via amministrativa, la mancata esibizione o l’indicazione di dati errati o incompleti, per cui il fatto contestato all’imputata era privo di rilievo penale, fermo restando che la citata L. n. 628 del 1961, art. 4, comma 7 sanzionerebbe la sola condotta di non fornire notizie, non anche quella di non esibire documenti. Con il quarto motivo, la ricorrente contesta la qualificazione giuridica del fatto, non avendo il Tribunale considerato che il Ministero del Lavoro, con nota n. 12065 del 2012, ha chiarito che la mancata esibizione dei documenti deve essere qualificata come intralcio e non come impedimento all’attività di vigilanza, ammonendo il personale ispettivo nel senso di sanzionare in via amministrativa e non penale la mancata esibizione di documentazione da parte delle aziende. Con il quinto motivo, viene censurata l’erronea valutazione delle prove, dolendosi la difesa della mancata produzione e acquisizione, nella fase dibattimentale, del primo verbale ispettivo il cui esame, nella fase istruttoria, sarebbe stato fondamentale per comprendere gli adempimenti imposti alla D.T. e, di conseguenza, le violazioni delle prescrizioni su di essa gravanti. Si obietta inoltre che le informazioni societarie richieste dagli ispettori del lavoro in realtà o erano già a loro conoscenza, o comunque erano facilmente acquisibili sia presso la Camera di commercio sia presso altre pubbliche amministrazioni. Con il sesto motivo, infine, la difesa lamenta la determinazione della pena, evidenziando che la pena da irrogare alla D.T. poteva essere contenuta nell’ambito dei minimi edittali, previa concessione della circostanza attenuante legata alla tenuità del danno presuntivamente arrecato alla persona offesa. Considerato in diritto È fondato e assorbente il primo motivo di ricorso, dal cui accoglimento consegue l’annullamento della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. 1. Occorre premettere che la L. n. 628 del 1961, art. 4, comma 7, sanziona coloro che, legalmente richiesti dall’Ispettorato del Lavoro di fornire notizie secondo le modalità indicate dai precedenti commi della norma incriminatrice, non le forniscano o le diano scientemente errate e incomplete. Circa le forme di inoltro della richiesta, è stato precisato dalla giurisprudenza di legittimità che il reato di omessa risposta alla richiesta dell’Ispettorato del lavoro di fornire notizie e documenti è configurabile anche nel caso in cui la richiesta sia spedita mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, non essendone necessaria la notifica nelle forme previste dagli artt. 157 c.p.p. e ss. Sez. 3, n. 2337 del 14/12/2010, dep. 2011, Rv. 249314 , configurandosi il reato anche qualora la richiesta di informazioni non sia stata rivolta al datore di lavoro personalmente, essendo sufficiente che la richiesta venga notificata alla sede della ditta perché sia comunque conoscibile dal legale rappresentante di essa Sez. 3, n. 28701 del 25/05/2004, Rv. 229432 . Ciò che è pacifico, in ogni caso, è che una formale richiesta di informazioni deve essere portata a conoscenza o dell’impresa o comunque del datore di lavoro, trattandosi del presupposto fattuale da cui poi scaturisce, in caso di omessa risposta, la rimproverabilità della condotta al soggetto rimasto inadempiente. Orbene, tale presupposto nel caso di specie non può ritenersi adeguatamente comprovato, risultando dalla disamina del fascicolo processuale, consentita dalla tipologia della doglianza formulata, che la richiesta di informazioni dell’Ispettorato fu inoltrata a mezzo posta all’imputata, il che era legittimo, ma non vi è prova che tale richiesta sia effettivamente pervenuta alla destinataria. Agli atti risulta invero una relata del 29 dicembre 2014 che dà solo atto del mancato ritiro del plico, che tuttavia era stato notificato in un luogo omissis diverso sia dalla sede legale della ditta Treviso, via Canizzano n. 37 , sia dal luogo di residenza dell’imputata dichiarato nell’ambito del presente procedimento penale omissis , per cui, in presenza di una situazione di incertezza circa l’effettiva conoscenza da parte dell’imputata dell’esistenza della richiesta di informazioni da parte dell’Ispettorato del lavoro, il reato contestato non può ritenersi configurabile, difettandone il presupposto essenziale, essendo cioè indispensabile, ai fini della ascrivibilità della condotta omissiva sanzionata dal legislatore, che il soggetto attivo abbia consapevolezza di dover dare risposta a una richiesta informativa proveniente da un ente qualificato nell’ambito dei suoi poteri di vigilanza. 2. Alla stregua di tali considerazioni e risultando in ciò assorbita ogni altra sollecitazione delle parti circa gli ulteriori profili di merito sollevati, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.