Toccamenti in mare su una 15enne: condannato per violenza sessuale e obbligato a risarcire la ragazza e la madre

Grazie alle parole della ragazza è stato ricostruito nei dettagli l’episodio. Evidente la gravità della condotta tenuta dall’uomo, che prima le ha rivolto degli apprezzamenti fisici e poi l’ha sottoposta in acqua a ripetuti toccamenti, anche in zone erogene. Confermato il diritto della ragazza e della madre ad un adeguato risarcimento impossibile attribuire alla donna una mancata vigilanza sulla figlia.

Lezione d’immersione poco ortodossa l’allieva – una ragazzina di 15 anni – si ritrova toccata troppo spessa dal maestro. L’episodio, come ricostruito dalla giovane, è sufficiente per far condannare l’uomo per il reato di violenza sessuale Cassazione, sentenza n. 43414/19, sez. III Penale, depositata oggi . Mare. Scenario del fattaccio è una spiaggia in Calabria. Lì avviene il contatto tra un uomo – un docente di scuola superiore – e una ragazza e un ragazzo, entrambi di 15 anni. Alla fine, l’insegnante presta una maschera da sub alla ragazza e le propone di andare in acqua per darle alcune indicazioni per immergersi correttamente. Una volta in acqua, però, l’uomo, già resosi protagonista di alcuni ‘complimenti’ sull’aspetto fisico della ragazza, non si limita ai consigli verbali ma inizia a toccarla ripetutamente, anche in zone erogene – soprattutto il seno –, e infine prima le cinge la vita da dietro e poi le stringe le mani sui seni . La ragazza reagisce prontamente, scappa via e si rifugia in spiaggia, dove c’è la madre. Le racconta tutto e quel racconto, confermato anche successivamente, è ritenuto sufficiente per una condanna dell’uomo, ritenuto colpevole, prima in Tribunale e poi in Appello, del reato di violenza sessuale , punito con quattordici mesi di reclusione e obbligato anche a risarcire la ragazza e la madre. Toccamenti. A chiudere la vicenda provvede ora la Cassazione, confermando in toto la pronuncia emessa in secondo grado e ribadendo l’evidente responsabilità dell’uomo. Fondamentali le parole della ragazza, ritenuta pienamente attendibile sui fatti verificatisi ben dodici anni fa. Anche per i Giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, non si può equivocare il significato dei gesti compiuti dal docente, anche perché essi sono stati preceduti da vari apprezzamenti fisici e poi perché i toccamenti, seppur fugaci, sono stati comunque reiterati e invadenti, al punto da spingere la ragazzina a uscire dall’acqua per porre fine a quella situazione . Irrilevante, invece, il fatto che ella in prima battuta abbia fatto confusione sull’identificazione dell’uomo che l’aveva molestata. Per quanto concerne poi il fronte civilistico, i giudici ritengono evidenti le ripercussioni negative subite dalla ragazza e dalla madre, che hanno perciò diritto ad un adeguato risarcimento da liquidare in separata sede . Respinta a questo proposito l’obiezione dell’uomo secondo cui nulla era dovuto alla donna poiché ella non aveva effettuato un’adeguata vigilanza sulla figlia . Su questo fronte i giudici ribattono, in chiusura, che non è ravvisabile, in questa vicenda, alcun difetto di vigilanza da parte del genitore, poiché non si può certo esigere che la madre esercitasse dalla spiaggia un controllo ravvicinato sulla figlia, all’epoca quindicenne, anche quando costei era intenta a fare il bagno in mare .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 giugno – 23 ottobre 2019, n. 43414 Presidente Lapalorcia – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 18 luglio 2018, la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza del 29 aprile 2014, con cui il G.U.P. presso il Tribunale di Crotone aveva condannato, con i doppi benefici di legge, Cl. Fa. alla pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 609 bis cod. pen., riconosciuta l'attenuante della minore gravità, reato a lui contestato per avere, con violenza, costretto Al. Sc. a subire atti sessuali, dapprima cingendole la vita da dietro e, dopo che la predetta era riuscita a divincolarsi, avvicinandosi a lei nuovamente, stringendole le mani sui seni fatto commesso in Crotone il 6 luglio 2007. Con statuizione del Tribunale parimenti confermata nel giudizio di secondo grado, Fa. veniva altresì condannato al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidare in separata sede. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello calabrese, Fa., tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi. Con il primo, la difesa censura la valutazione di attendibilità della persona offesa e, di conseguenza, la formulazione del giudizio di colpevolezza del ricorrente in ordine al reato ascrittogli, osservando che la Corte di appello ha ritenuto credibile il racconto della Sc., nonostante le molteplici incongruenze ravvisabili del suo narrato e i contrasti con gli altri elementi probatori acquisiti, non essendo stato adeguatamente considerato che la minore, in tre occasioni, aveva individuato, con certezza, l'autore dei fatti contestati in Iv. Ia., collega di lavoro di Fa., che si trovava in compagnia di questi il 6 luglio 2017 sulla spiaggia, per poi cambiare versione sull'identità del presunto aggressore a distanza di una settimana dai fatti, dopo che il suo amico Pi. As. aveva riconosciuto, seppur con qualche dubbio, Fa. come l'autore della violenza. Peraltro il teste As. non avrebbe potuto vedere che l'imputato afferrò anche per i fianchi la sua amica, perché egli era tornato poco prima sulla spiaggia. In ogni caso, aggiunge la difesa, alla luce delle incertezze emerse nella ricostruzione della vicenda, non poteva ritenersi sufficientemente provata né la sussistenza del contatto fisico nelle zone erogene del corpo della minore, né tantomeno la volontarietà di un simile contatto, avuto riguardo alla concitazione del momento e alle peculiari circostanze in cui si erano verificati i fatti di causa. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l'inosservanza degli art. 40 comma 2 cod. pen., 192 cod. proc. pen. e 1226 e 1227 cod. civ., nonché la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in ordine al risarcimento del danno riconosciuto in favore delle costituite parti civili, osservando che alcuna somma poteva essere liquidata a loro vantaggio, posto che la madre della minore non aveva effettuato un'adeguata vigilanza sulla figlia, volta a impedire il verificarsi di ipotetici episodi illeciti a suo danno, risultando in ogni caso ostative al riconoscimento di una pretesa risarcitoria in suo favore la dedotta inattendibilità delle Sc. e le già rimarcate lacune probatorie. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente censura l'inosservanza degli art. 132, 133 e 62 bis cod. pen. e la manifesta illogicità della motivazione, sia in relazione alla determinazione della pena irrogata, sia rispetto all'omessa concessione delle attenuanti generiche, lamentando che la Corte di appello non aveva considerato né la condotta precedente, contemporanea e susseguente al reato di Fa., soggetto incensurato, né la circostanza che la vicenda era connotata da insanabili discordanze nelle dichiarazioni non riscontrate della persona offesa. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che, a differenza di quanto dedotto nel ricorso, il giudizio di colpevolezza dell'imputato in ordine al reato ascrittogli non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede. E invero le due conformi sentenze di merito, le cui motivazioni sono destinate a integrarsi per formare un corpus argomentativo unitario, hanno ricostruito i fatti in maniera chiara e puntuale, valorizzando in primo luogo le dichiarazioni della persona offesa, Al. Sc. classe 1992 , la quale ha descritto compiutamente gli episodi verificatisi sulla spiaggia di Crotone il 6 luglio 2007. Intorno alle 13, la minore, all'epoca quindicenne, mentre si trovava in acqua con il suo amico Pi. As., con la madre rimasta in spiaggia, veniva avvicinata da un uomo, poi identificato in Cl. Fa Iv. classe 1953 , il quale si trovava a Crotone con altri due colleghi insegnanti, Sa. De Lu. e Iv. Ia., essendo tutti e tre impegnati quali commissari esterni negli esami di maturità. Tra i due ragazzini e Fa Iv. nasceva quindi una conversazione, al termine della quale, dopo che Pi. As. si era allontanato per rientrare in spiaggia, il docente, che aveva espresso vari apprezzamenti fisici alla ragazzina, si proponeva di insegnarle a immergersi in acqua, prestandole una maschera da sub nell'impartire la lezione, l'uomo tuttavia toccava fugacemente la Sc. in varie parti del corpo, comprese le zone erogene in particolare il seno . Comprese le intenzioni del suo interlocutore, la minore usciva quindi dall'acqua raggiungendo il suo coetaneo e informando la madre dell'accaduto. Orbene, il racconto della persona offesa è stato ritenuto attendibile dai giudici di merito, sia perché spontaneo e lineare, sia perché privo di intenti calunniosi o di forme di gratuita enfatizzazione, sia ancora perché confermato, quantomeno nella ricostruzione delle fasi iniziali dell'approccio, dal suo amico Pi. As In ogni caso, le lievi discrasie tra le dichiarazioni di As. e quelle della Sc. sono state ragionevolmente ritenute non significative, sia perché relative ad aspetti marginali della vicenda, sia perché giustificate dalla concitazione dei fatti, fermo restando che proprio l'esistenza di talune piccoli imprecisioni ha costituito l'indiretta conferma di una mancata preordinazione in danno dell'imputato. La circostanza poi che, inizialmente, la Sc. abbia fatto confusione nella identificazione dell'imputato, scambiandolo per uno dei suoi colleghi, è stata ritenuta poco significativa dai giudici di merito, in ragione del fatto che era stato lo stesso imputato ad ammettere di essersi avvicinato alla ragazzina offrendole la maschera da sub, mentre i suoi due colleghi erano in quel momento lontani. Sia il G.U.P. che la Corte di appello hanno inoltre escluso che la persona offesa possa aver equivocato il significato dei gesti del prof. Fa., non solo perché gli stessi sono stati preceduti da vari apprezzamenti fisici, ma soprattutto perché i toccamenti, seppur fugaci, sono stati comunque reiterati e invadenti, al punto da spingere la ragazzina a uscire dall'acqua per porre fine a quella situazione. In definitiva, il giudizio sull'attendibilità della persona offesa, in quanto sorretto da argomentazioni razionali e in ogni caso saldamente ancorate alle fonti dimostrative acquisite, resiste alle obiezioni difensive, che invero si articolano nella sostanziale riproposizione di una lettura alternativa del materiale probatorio, non consentita in questa sede, anche perché fondata su una disamina frammentaria di singoli passaggi fattuali dell'intera vicenda. 2. Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alle statuizioni civilistiche, è infondato, avendo i giudici di merito evidenziato, con motivazione non illogica, che la condotta illecita dell'imputato ha avuto ripercussioni negative sia per Al. Sc., destinataria diretta delle avances di Fa., sia per sua madre Gi. Cu., sebbene in quest'ultimo caso in via mediata, non apparendo ravvisabile in capo a quest'ultima un difetto di vigilanza della figlia ostativo al riconoscimento della pretesa risarcitoria, non potendosi certo esigere che la madre, dalla spiaggia, esercitasse un controllo ravvicinato sulla figlia all'epoca quindicenne, anche quando costei era intenta a fare il bagno a mare. Di qui l'infondatezza della doglianza difensiva. 3. Alla medesima conclusioni deve pervenirsi rispetto al terzo motivo. Al riguardo occorre richiamare il costante orientamento di questa Corte cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 , secondo cui, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione. È stato in tal senso precisato cfr. ex multis Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899 che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione. Orbene, in applicazione di tale premessa interpretativa, deve escludersi il vizio motivazionale evocato dalla difesa, avendo i giudici di merito rimarcato, in senso ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche, la reiterazione degli atti invasivi della altrui libertà sessuale e la giovane età della vittima, aspetti questi a fronte dei quali la condizione di incensurato di Fa Iv. è rimasta ragionevolmente sulla sfondo, in assenza di altri elementi meritevoli di positiva considerazione. Non può sottacersi, comunque, che in favore dell'imputato è stata riconosciuta l'attenuante della minore gravità, peraltro applicata quasi nella misura massima consentita, e che il G.U.P. ha concesso al ricorrente sia la sospensione condizionale della pena che il beneficio della non menzione, per cui, avuto riguardo alla pena finale irrogata anni 1 e mesi 2 , non può affermarsi che il trattamento sanzionatorio sia stato ispirato da criteri di particolare rigore. 4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso di Fa. deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Infine, ai sensi dell'art. 154 ter norme di attuazione cod. proc. pen., si dispone che copia del presente dispositivo sia comunicata all'Amministrazione di appartenenza dell'imputato, ovvero il M.I.U.R. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 154 ter norme di attuazione cod. proc. pen., dispone che copia del presente dispositivo sia comunicata all'Amministrazione di appartenenza dell'imputato, M.I.U.R.