Il patrimonio della società può essere soggetto solo a confisca diretta

Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta.

Lo chiarisce la Corte di Cassazione con sentenza n. 42946/19 depositata il 18 ottobre. Il caso. Il rappresentante legale della società adisce la Cassazione impugnando il provvedimento con cui il Tribunale, in sede di riesame, confermava nei suoi confronti l’ordinanza di sequestro preventivo finalizzato alla confisca emessa dal GIP, per il reato di indebita compensazione. Disponibilità patrimoniale della società. Nel dichiarare il ricorso inammissibile, la Cassazione afferma che in tema di reati tributari, il patrimonio della società non può essere soggetto a sequestro per equivalente ma solo a confisca diretta. Costituisce infatti principio giurisprudenziale quello secondo cui quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta . E ciò in quanto i reati tributari non rientrano nella lista di quelli che consentono il sequestro per equivalente nei confronti della persona giuridica. Tuttavia, precisa la Corte, l’impossibilità del sequestro del profitto del reato, detto anche diretto o in forma specifica, può essere anche transitoria, senza che occorra la preventiva ricerca generalizzata dei beni che costituiscono tale profitto. Tanto è vero che la fase della ricerca del profitto diretto si esaurisce inevitabilmente nel periodo coincidente con la fase genetica della cautela reale e subito dopo la sua applicazione, perché il sequestro per equivalente nei confronti dell’autore del reato, e il suo mantenimento, supera la questione della reperibilità del profitto diretto da parte della persona giuridica in quanto l’aggressione dei beni per equivalente postula l’impossibilità genetica o funzionale di ricorrere al sequestro diretto .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 luglio – 18 ottobre 2019, n. 42946 Presidente Rosi – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Bergamo, in sede di riesame dei provvedimenti di sequestro, con ordinanza del 6 settembre 2018 confermava l’ordinanza, di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, nei confronti di A.G. fino alla concorrenza di Euro 1.379.049,00 subordinatamente all’infruttuosità del sequestro diretto nei confronti dei beni della società , del Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Bergamo del 28 giugno 2018 relativamente ai reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, comma 2, perché nella sua qualità di legale rappresentante della Pavimental Costruzioni s.r.l. utilizzando in compensazione ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17 crediti inesistenti, riferiti al periodo di imposta 2011 non versava le somme dovute per gli anni di imposta 2012 per un importo complessivo pari ad Euro 55.2000,00 reato commesso dall’ omissis al omissis - per l’anno di imposta 2013 per un importo complessivo pari ad Euro 1.076.177,05 commesso dal 10 ottobre 2013 al 17 dicembre 2013 - e per l’anno di imposta 2013 per un importo complessivo pari ad Euro 247.672,30 commesso dal 17 febbraio 2014 al 13 marzo 2014 -. 2. Ricorre in cassazione A.G. deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2. 1. Violazione di legge art. 321 c.p.p. . Il Tribunale del riesame sul fumus dei reati in accertamento ha dato credito alla ricostruzione dell’Agenzia delle entrate che aveva rappresentato la presentazione dei mod. F 24 da parte della società amministrata dal ricorrente, anche per l’anno 2011 in cui la società non aveva presentato la dichiarazione. Il Tribunale però non ha adeguatamente considerato l’assoluzione del ricorrente per l’omessa dichiarazione relativa all’anno di imposta 2011. Infatti l’IRES è stata calcolata senza alcuna considerazione del costo dei dipendenti, sconosciuto nel suo preciso ammontare, ma notevole. I gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato non sono stati adeguatamente vagliati, infatti egli aveva assunto la qualifica di amministratore solo dal 24 settembre 2012 e non dalla costituzione della società del 22 giugno 2010. Il solo status giuridico di legale rappresentante non dovrebbe essere sufficiente per la responsabilità penale che è personale. Inoltre la sentenza di assoluzione, per l’omessa dichiarazione per l’anno 2011 configura un vero contrasto di giudicati. 2. 2. Violazione di legge art. 321 c.p.p., comma 2 relativamente alla insussistenza del periculum in mora. Il sequestro delle cose confiscabili non presuppone alcuna prognosi di pericolosità connessa alla libera disponibilità di quanto sequestrato. I beni sequestrati sono di scarso rilievo economico conto corrente con un saldo di Euro 554,11, tre carte poste-pay, e una carta prepagata con modestissimi saldi attivi e senza alcun legame con i fatti di cui all’imputazione. La società Pavimental Costruzioni s.r.l. è stata sciolta nel 2015. Mancano pertanto i presupposti della concretezza ed attualità della misura cautelare. Nessun riferimento al comportamento delittuoso possono avere i modesti beni sequestrati al ricorrente. Infine nessuna offensività potevano avere i modesti beni in sequestro. Nessun collegamento al profitto del reato è stato dimostrato. Ha chiesto pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato. Considerato in diritto 4. il ricorso è inammissibile in quanto proposto con motivi manifestamente infondati, in fatto e reiterativi dei motivi del riesame. Il ricorrente, infatti, ripropone gli stessi motivi del riesame, senza adeguate critiche alla decisione del Tribunale del riesame. L’ordinanza impugnata, con motivazione adeguata e immune da contraddizioni o vizi logici manifesti, ritiene sussistenti sia il fumus del reato del resto non contestato quanto alla realizzazione dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater e sia i presupposti normativi per il sequestro preventivo finalizzato alla confisca a carico del ricorrente. Per i beni personali del ricorrente è legittimo il sequestro, come ritenuto da questa Corte di Cassazione Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015 - dep. 26/10/2015, Klein, Rv. 265158 . Nel nostro caso nessuna prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica è stata fornita dal ricorrente, sia davanti ai giudici di merito e sia sotto il profilo dell’allegazione di elementi contenuti negli atti e non valutati dai giudici della cautela nel ricorso in cassazione nel ricorso ci si limita a richiamare la giurisprudenza della Corte, richiamando le tesi sostenute davanti al Tribunale del riesame. Infatti nell’ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca con riferimento ai reati fiscali, il sequestro a carico del rappresentante della persona giuridica, indagato è legittimo se l’indagato non fornisce prova della concreta esistenza dei beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta e, in sede di legittimità è necessario indicare specificamente gli atti processuali dai quali risultava reperibile presso la persona giuridica il profitto del reato vedi espressamente Cass., 3 sez. n. 2242/2017 . Cosa diversa, e del resto irrilevante, è la disponibilità patrimoniale della società. Infatti i beni della società devono riguardare la confisca diretta, non essendo possibile relativamente al patrimonio della società il sequestro per equivalente. Su quest’aspetto la decisione impugnata con motivazione adeguata, immune da contraddizioni e da manifeste illogicità, e con applicazione corretta delle decisioni di questa Corte di Cassazione rileva, come correttamente il G.I.P. per la fondata ipotesi dell’incapienza della società - in liquidazione dal gennaio 2015 - aveva autorizzato il sequestro per equivalente sui beni del ricorrente, rappresentante legale della società. Nel ricorso in cassazione nulla si contesta su questi punti nessuna indicazione specifica della presenza presso la società del denaro o di altri beni fungibili o altri beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario in accertamento confisca diretta e non per equivalente, vedi proprio per i reati di indebita compensazione Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018 - dep. 15/10/2018, CARRIERO MARTINO, Rv. 27456103 . 4. 1. Infatti nei confronti della società solo la confisca diretta risulta possibile Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015 - dep. 26/10/2015, Klein, Rv. 26515801 nello stesso senso vedi anche Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016 - dep. 28/09/2016, D’Agostino, Rv. 26858701. In senso parzialmente diverso vedi Sez. 3, n. 35330 del 21/06/2016 - dep. 23/08/2016, Nardelli, Rv. 26764901 . Ciò in quanto l’art. 322-ter c.p., richiamato dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, stabilisce che, per procedere, nel corso del procedimento penale, al sequestro finalizzato alla confisca di altri beni di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente a quello del profitto del reato, è necessario l’accertamento del presupposto costituito dalla impossibilità di sequestrare in via diretta i beni che costituiscono il profitto del reato stesso, quindi si può procedere a porre il vincolo preventivo, su beni diversi per un valore corrispondente, solo ove sia impossibile sottoporre a sequestro i beni che si identificano con il prezzo o il profitto del reato. In proposito, va ricordato come la Corte, a sezioni Unite, abbia ribadito che il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264436 e che, qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, il sequestro delle somme, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificato come sequestro cd. diretto e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto del vincolo preventivo e il reato. Le Sezioni Unite della Corte hanno in precedenza anche affermato come sia consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto o beni direttamente riconducibili al profitto sia rimasto nella disponibilità della persona giuridica. In siffatto caso, ossia solo quando sia possibile nei confronti della società il sequestro cd. diretto del profitto di reato tributario, non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi a vantaggio della società, che non può considerarsi, in questo caso, terza estranea al reato Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647 . Ne deriva che, quando il sequestro cd. diretto del profitto del reato tributario non è possibile nei confronti della società, non è di conseguenza consentito nei confronti dell’ente collettivo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, salvo che la persona giuridica costituisca uno schermo fittizio sempre Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258646 . La ragione di ciò scaturisce dal fatto che i reati tributari non sono ricompresi ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 nella lista di quelli che consentono il sequestro per equivalente nei confronti di una persona giuridica. Tuttavia l’impossibilità del sequestro del profitto del reato sequestro cd. diretto o in forma specifica può essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato. È stato anche sottolineato che la fase della ricerca del profitto cd. diretto si esaurisce inevitabilmente nel periodo coincidente con la fase genetica della cautela reale ed immediatamente dopo la sua applicazione, perché il sequestro per equivalente nei confronti dell’autore del reato, e soprattutto il suo mantenimento, supera la questione della reperibilità del profitto diretto da parte della persona giuridica in quanto l’aggressione dei beni per equivalente postula l’impossibilità genetica o funzionale, quantunque in ipotesi transitoria, di ricorrere al sequestro diretto. 4. 2. Inoltre l’ordinanza impugnata valuta, sotto il profilo del fumus, la sentenza di assoluzione del ricorrente dal reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, per l’anno di imposta 2001 per la mancanza di prova sul superamento della soglia di punibilità del reato ritenendo ininfluente tale decisione per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater indebite compensazioni anche in considerazione dell’assenza di contestazioni sul fatto delle indebite compensazioni per importi considerevoli. Le indebite compensazioni, del resto, non risentono dei costi del personale come in via del tutto generica prospetta il ricorrente nel ricorso in cassazione Il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater, è configurabile, alla luce dell’ampliamento delle ipotesi di compensazione previste dalle norme tributarie disposto dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, sia nel caso di compensazione verticale, riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa. In motivazione la Corte ha precisato che la struttura asimmetrica del reato, in virtù della quale è incriminata l’artificiosa diminuzione dell’entità dell’imposta da versare, qualunque tributo o contributo sia opposto in compensazione, è del tutto compatibile con la ratio del D.Lgs. n. 74 del 2000, che è diretto a sanzionare le violazioni, sia in materia di Iva, sia in tema di imposte sui redditi Sez. 3, n. 8689 del 30/10/2018 - dep. 28/02/2019, DALLA TORRE DINO, Rv. 27501501 . 5. Nel sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente inoltre non è necessario accertare il periculum in mora o la pertinenzialità dei beni al reato In caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, spetta al giudice il solo compito di verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, essendo, invece, irrilevante sia la valutazione del periculum in mora - che attiene ai requisiti del sequestro preventivo impeditivo di cui all’art. 321 c.p.p., comma 1 - sia quella inerente alla pertinenzialità dei beni Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015 - dep. 20/05/2015, Aumenta, Rv. 26340801 . 6. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 c.p.p P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.