Riparazione per ingiusta detenzione: quale condotta costituisce dolo ostativo al riconoscimento del diritto?

In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condotta dolosa di cui all’art. 314 c.p.p. è condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione solo se sussiste il collegamento causale tra il comportamento del soggetto e l’ordinanza di custodia cautelare, poiché non può ritenersi che una mera condotta sospetta costituisca di per sé la colpa grave ostativa alla riparazione.

Questo è il principio affermato dalla Cassazione con sentenza n. 42941/19, depositata il 18 ottobre. La vicenda processuale. La Corte d’Appello, in sede di rinvio, rigettava la richiesta di riparazione presentata dall’imputato per ingiusta detenzione subita in regime di arresti domiciliari per 386 giorni perché accusato di violenza sessuale a danno di una minorenne. L’istanza veniva rigettata, vista la sussistenza della causa ostativa prevista dall’art. 314, comma 1, c.p.p., per aver il richiedente concorso a dare causa alla misura con dolo. Quest’ultimo ricorre così in Cassazione, denunciando travisamento della prova. Il nesso causale. In tema di riparazione per ingiusta detenzione, la Suprema Corte ribadisce che la condotta dolosa, o di colpa grave, di cui all’art. citato 314 c.p.p., costituisce una condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione solamente se sussiste un apprezzabile collegamento causale tra la condotta e il provvedimento che ha dato luogo alla restrizione cautelare. Ebbene, nel caso in esame, gli elementi utilizzati dalla Corte di merito per ritenere sussistente il dolo, o comunque una colpa grave, ostativo al riconoscimento dell’equa riparazione non risultano causalmente collegati alla custodia cautelare subita per il reato in oggetto. L’ordinanza, dunque, non motiva in modo adeguato il nesso causale tra i fatti accertati e gli errori dell’organo giudicante nell’applicazione della custodia cautelare, ma si limita ad un elenco di fatti non causalmente collegati con il provvedimento di custodia cautelare. I Giudici di legittimità affermano quindi che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condotta dolosa di cui all’art. 314 c.p.p. è condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione solo se sussiste il suddetto collegamento causale tra il comportamento del soggetto e l’ordinanza di custodia cautelare, poiché non può ritenersi che una mera condotta sospetta costituisca di per sé la colpa grave ostativa alla riparazione, posto che i sospetti non autorizzavano e non autorizzano – a maggior ragione nella vigenza del nuovo codice di procedura penale che esige la gravità degli indizi di colpevolezza – la misura cautelare . Sulla base dell’anzidetto principio di diritto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte distrettuale per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 maggio – 18 ottobre 2019, n. 42941 Presidente Rosi – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Milano, in sede di rinvio, per annullamento della precedente decisione con la sentenza della Cassazione, sez. 4, n. 22072/2018, con ordinanza resa all’udienza camerale del giorno 13 dicembre 2018 rigettava l’istanza di riparazione presentata da H.A. , per ingiusta detenzione subita in regime di arresti domiciliari per complessivi 386 giorni perché accusato di violenza sessuale nei confronti di una minorenne, con l’assoluzione da parte del Tribunale di Varese con sentenza dell’8 luglio del 2014. Il rigetto dell’istanza era motivata in base alla sussistenza della causa ostativa prevista dall’art. 314 c.p.p., comma 1, per avere il richiedente concorso a dare causa alla misura con dolo, o quanto meno con colpa grave, soprattutto in base agli elementi emergenti dalla stessa sentenza di assoluzione consistenti nel passaggio in macchina dato alla parte offesa, nell’aver detto alla stessa di fare la brava e nell’avere consigliato il padre della minore di controllare la figlia perché la aveva vista con un ragazzo. 2. Ricorre in cassazione H.A. , tramite il difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2. 1. Contraddittorietà della motivazione. La motivazione del provvedimento impugnato è in palese contrasto con gli accertamenti processuali, con un travisamento della prova. La Corte territoriale in un primo passaggio rilevava come il Tribunale di Varese non aveva confutato la versione dei fatti riferita dalla minore e, in un secondo momento in palese contraddizione , rilevava come il Tribunale di Vicenza non aveva ritenuto attendibile il racconto della minore parte offesa. La persona offesa o è ritenuta attendibile o non è ritenuta attendibile. Anche le dichiarazioni del padre sono state ritenute determinanti per la colpa grave del ricorrente il padre aveva riferito solo le cose a lui dette dalla figlia. La Corte di appello ha omesso di motivare perché le dichiarazioni della persona offesa e del padre siano così persuasive da andare oltre alla sentenza di assoluzione sentenza di assoluzione, del resto, basata sulle stesse dichiarazioni. Per la Corte di appello il passaggio dato in macchina alla minore sarebbe confermato dalla dichiarazioni del padre della ragazza. Il passaggio in macchina collocato in una data indefinita non è suffragato da altri elementi. Il padre lo avrebbe saputo dalla stessa figlia, ritenuta però inattendibile. Non è neanche certo, quindi, che ci fu il passaggio in macchina. Se la minore è inattendibile anche il padre risulta tale, in quanto ha riferito solo quanto saputo dalla ragazza. Del resto, se l’episodio del passaggio in macchina - unico - fosse stato ritenuto veritiero il ricorrente sarebbe stato condannato e non assolto, dal Tribunale di Varese. Anche la banale frase rivolta dal ricorrente alla minore fai la brava non può costituire nessuna colpa grave si tratta di una frase neutra rivolta senza intenti diversi o toni minacciosi. La Corte di appello ha ritenuto che tra le due famiglie non vi fosse una conoscenza, come emergerebbe dalla sentenza di assoluzione. Invece le due famiglie si conoscevano e si frequentavano per la stessa origine etnica e per l’iscrizione dei figli nella stessa scuola. Ciò emerge dalla stessa denuncia della ragazza e dal suo esame, nonché dalle s.i.t. e dall’esame di A.M. e H.S. , oltre che dall’esame dell’imputato. La ragazza più volte si era recata a casa dell’imputato a mangiare e la figlia dell’imputato, a sua volta, si era recata a mangiare a casa dell’amica di scuola, parte offesa. Lo stesso padre della minore ha dichiarato che il ricorrente gli fece anche un prestito di denaro per l’acquisto di carne. La Corte di appello, quindi, erra travisando i fatti, sulla effettiva conoscenza delle famiglie, rilevando da una mancata conoscenza una colpa grave ostativa alla riparazione nella circostanza che il ricorrente aveva invitato e suggerito al padre della minore di controllarla perché la aveva vista con un ragazzo. Ha chiesto pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata. 3. La Procura Generale della Corte di Cassazione, Sostituto Procuratore Generale Mario Pinelli, ha chiesto di annullare con rinvio l’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 4. Il ricorso è fondato e deve quindi annullarsi l’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Milano per nuovo esame. In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condotta dolosa o di colpa grave di cui all’art. 314 c.p.p. costituisce una condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione solo qualora sussista un apprezzabile collegamento causale tra la condotta stessa e il provvedimento che ha dato luogo alla restrizione cautelare. Sez. 4, n. 43457 del 29/09/2015 - dep. 28/10/2015, Singh, Rv. 264680 vedi anche Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013 - dep. 24/12/2013, Nicosia, Rv. 257606 . Tutti gli elementi che la Corte di appello ha utilizzato per ritenere una colpa o un dolo ostativo al riconoscimento dell’equa riparazione non risultano causalmente collegati alla custodia cautelare subita per il reato in accertamento ovvero non è chiarito con motivazione adeguata, logica e non contraddittoria il nesso causale. L’ordinanza elenca alcuni elementi di mero sospetto, quali il passaggio in macchina che l’imputato avrebbe dato alla ragazza circostanza peraltro contestata dalla difesa , la raccomandazione che l’imputato avrebbe rivolto alla ragazza di fare la brava e il colloquio con il padre della ragazza nel quale raccomandava di tenere sotto controllo la figlia perché la aveva vista con un ragazzo. Anche se fossero comprovati i suddetti comportamenti di per sé neutri non sarebbero comunque idonei a ritenere una colpa ostativa alla riparazione. I comportamenti in oggetto, come emerge dalla stessa decisione impugnata, non sono causalmente collegati alla custodia cautelare. Nell’ordinanza di custodia cautelare del 15 giugno 2013 i gravi indizi di colpevolezza vengono desunti dall’attendibilità del narrato della persona offesa che aveva denunciato una violenza sessuale dell’uomo sull’auto in una zona boschiva . Il Tribunale di Varese con la sentenza di assoluzione metteva in risalto la inattendibilità del narrato della persona offesa in relazione all’epoca del fatto e all’assenza di riscontri sugli orari di lavoro dell’imputato e nei tabulati telefonici acquisiti, nè nella testimonianza dell’amica R. che il Tribunale qualifica so4erta parzialmente non sì aderente alle accuse della ragazza. Infine la lunga detenzione 386 giorni subita comporta una specifica motivazione sulla colpa rilevante causalmente, anche per il mantenimento della custodia, e non solo per il momento iniziale. 5. L’ordinanza pertanto non motiva adeguatamente sul nesso tra i fatti accertati e gli errori dei giudicanti nell’applicazione della custodia cautelare si limita, ad un elenco di fatti, di per sé neutri, senza collegarli causalmente con l’ordinanza di custodia cautelare e con il mantenimento della detenzione. Deve essere chiaro il collegamento causale tra i fatti e il momento genetico e di mantenimento della custodia cautelare invero l’ordinanza di custodia cautelare dovrebbe essere quantomeno in parte determinante stata emessa proprio per quei fatti e non per altro, o solo per altro. Analisi questa del tutto assente nell’ordinanza impugnata. 5. 1. In sostanza una semplice condotta sospetta non può ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, poiché sia nel vecchio che nel nuovo codice di rito il provvedimento di custodia cautelare postulava e postula l’esistenza di indizi, e poiché la colpa grave di cui all’art. 314 c.p. che esclude il diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita va rapportata agli indizi cui non si deve dare adito per grave imprudenza, non si può esigere che la condotta non sia sospetta, posto che i sospetti non autorizzavano e non autorizzano - a maggior ragione nella vigenza del nuovo codice di procedura penale che esige la gravità degli indizi di colpevolezza - la misura cautelare. Nella specie la S.C. ha annullato l’ordinanza della Corte di merito che aveva rigettato la domanda di riparazione, osservando che il richiedente aveva dato causa alla custodia cautelare poiché, allontanandosi repentinamente dall’interno di una delle tre autovetture di provenienza furtiva alla vista degli agenti della polizia di stato, aveva tenuto una condotta sospetta, tale da legittimare la probabilità che egli fosse il responsabile della detenzione illecita del compendio delittuoso . Sez. 4, n. 1870 del 22/11/1994 - dep. 12/12/1994, Di Torna, Rv. 200942 vedi anche Cass. sez. 3, 12 maggio 2016 / 9 novembre 2016, n. 46899, Polimeni . Può conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condotta dolosa o di colpa grave di cui all’art. 314 c.p.p. costituisce una condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione solo qualora sussista un apprezzabile collegamento causale tra la condotta stessa e il provvedimento che ha dato luogo alla restrizione cautelare, e poi al mantenimento della custodia cautelare, e la colpa grave deve essere rapportata agli indizi cui non si deve dare adito per grave imprudenza, non può ritenersi, infatti, che una condotta sospetta nella specie telefonate e frequentazioni con uno spacciatore costituisca di per sé la colpa grave ostativa alla riparazione, posto che i sospetti non autorizzavano e non autorizzano - a maggior ragione nella vigenza del nuovo codice di procedura penale che esige la gravità degli indizi di colpevolezza - la misura cautelare . P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Milano. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.