Detenzione di cocaina a fini di cessione: condanna legittima, ma gli va restituito il denaro

L’uomo sotto processo è stato sanzionato con un anno di reclusione e 3mila euro di multa. In Cassazione, però, vede sancito il diritto a riavere indietro la somma di denaro – 1.685 euro – sequestratagli quando fu beccato in possesso di 2 grammi e mezzo di cocaina. Per i Giudici quella somma non era frutto del reato contestatogli.

Condannato a un anno di reclusione – più 3mila euro di multa – per detenzione di cocaina a fini di cessione . Ciò nonostante, va revocata la confisca di ben 1.685 euro rinvenuti in armadio presente nella stanza data in uso all’uomo e alla compagna. Per i Giudici, difatti, la somma in questione non costituisce il profitto del reato contestato ma di pregresse cessioni di droga, ipoteticamente commesse dall’uomo Cassazione, sentenza n. 42964/2019, Sezione Sesta Penale, depositata il 18 ottobre . Denaro. Centrale nel ricorso proposto in Cassazione dal difensore dell’uomo è proprio la confisca del denaro . A questo proposito, il legale sostiene che la qualificazione del reato a – cioè la detenzione a fini di cessione di 2 grammi e mezzo di cocaina – come fatto di lieve entità” non poteva consentire la confisca del denaro , appartenente anche alla compagna dell’uomo processo, risultata persona estranea al reato . Secondo il Procuratore Generale, però, la confisca decisa dal GIP del Tribunale è da ritenere legittima, alla luce delle modalità di custodia del denaro della composizione e del taglio delle banconote dello stato di disoccupazione dell’uomo e, infine, del mancato svolgimento di attività lavorativa da parte della compagna . E poi, viene aggiunto, vi è anche da annotare la mancata dimostrazione della provenienza lecita del denaro, da ritenere perciò provento di cessione di droga . Profitto. A fare chiarezza provvedono i Giudici della Cassazione. Essi ricordano in premessa che la norma prevede la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato, costituito dal lucro cioè dal vantaggio economico che si ricava, direttamente o indirettamente, dalla commissione del reato . Ciò significa che è certamente consentita la confisca del denaro che costituisca provento del reato di vendita di sostanze stupefacenti . In questa vicenda, però, osservano poi i Giudici, all’uomo sotto processo è stata contestata la mera detenzione a fini di cessione di 2 grammi e mezzo di cocaina, e non la vendita di sostanze stupefacenti . Di conseguenza, si può affermare che la somma rinvenuta in suo possesso non costituisce il profitto del reato contestato, ma di pregresse cessioni di droga, ipoteticamente da lui commesse . Viene meno così il nesso di pertinenzialità tra il reato ascritto all’uomo e la somma rinvenuta nella sua disponibilità , somma che ora gli va restituita, concludono i magistrati.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 2 – 18 ottobre 2019, n. 42964 Presidente Mogini – Relatore Criscuolo Ritenuto in fatto 1. Il difensore di Ve. It. ha proposto ricorso avverso la sentenza in epigrafe con la quale il G.i.p. del Tribunale di Taranto ha applicato all'imputato, su richiesta delle parti, la pena di 1 anno di reclusione e 3 mila Euro di multa in relazione al reato di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. 30990, così qualificato il fatto, previo riconoscimento di attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e con la riduzione per il rito, e ha disposto confisca di quanto sequestro. Ne chiede l'annullamento per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla confisca della somma di 1.685 Euro, in quanto la qualificazione del reato ai sensi del 5 comma dell'art. 73 D.P.R. 309/90 non consentiva la confisca del denaro appartenente a persona estranea al reato infatti, lo stesso giudice dà atto che la maggior parte di quella somma pari a 1.400 Euro era custodita in un armadio della stanza in uso al ricorrente ed alla compagna. La sentenza va annullata sul punto per essere la misura illegittimamente disposta, stante il mancato accertamento della riconducibilità della somma all'imputato. 2. Con requisitoria del 30 luglio 2019 il P.G. ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso, pur trattandosi di questione rimessa alle Sezioni Unite, per genericità del motivo, atteso che la sentenza giustifica la confisca per le modalità di custodia, per la composizione ed il taglio delle banconote, per lo stato di disoccupazione del ricorrente ed il mancato svolgimento di attività di lavoro della compagna e dunque, per mancata dimostrazione della provenienza lecita del denaro, da ritenere provento di cessione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è ammissibile e fondato. Con recentissima decisione del 26/09/2019 è disponibile solo l'informazione provvisoria le Sezioni Unite di questa Corte hanno ritenuto ammissibile, a seguito dell'introduzione della previsione di cui all'art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena con cui si deduca il vizio di motivazione in ordine all'applicazione di misura di sicurezza, personale o patrimoniale, che non abbia formato oggetto dell'accordo delle parti, come nel caso di specie. Per pacifico orientamento giurisprudenziale, in relazione a fatti, qualificati ai sensi del quinto comma dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, è possibile procedere alla confisca del danaro trovato in possesso dell'imputato solo in presenza dei presupposti di cui all'art. 240 cod. pen. e purché il giudice fornisca idonea giustificazione del rapporto di funzionalità strumentale della cosa rispetto al reato. Detta norma prevede la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato, costituito dal lucro cioè dal vantaggio economico che si ricava, direttamente o indirettamente, dalla commissione del reato Sez. Un. 03/07/1996, Chabrui, Rv. 205707 Sez. 3, n. 2444 del 23/10/2014 - dep. 2015, Anibaldi, Rv. 262399 Sez. 2, n. 6618 del 21/01/2014, Fiocco, Rv. 258275 Sez. 2, n. 3247 del 18/09/2013 - dep. 2014, Gannbacorta, Rv. 258546, in cui si afferma che il giudice può sottoporre a confisca facoltativa il denaro, che rappresenta il profitto ricavato dalla cessione di sostanze stupefacenti, trattandosi di cose riferibili direttamente al reato, a condizione che svolga un'adeguata motivazione circa l'esistenza del nesso pertinenziale con l'illecito che impone la sottrazione dei beni alla disponibilità del colpevole per impedire la agevolazione di nuovi fatti criminosi. È pertanto, certamente consentita la confisca del danaro che costituisca provento del reato di vendita di sostanze stupefacenti, quando si proceda per tale reato, ma, nel caso in esame, al Ve. è contestata la mera detenzione, a fini di cessione, di 2,5 grammi di cocaina e non la vendita di sostanze stupefacenti. Ne deriva che la somma rinvenuta in possesso del ricorrente non costituisce il profitto del reato contestato, ma di pregresse cessioni di sostanza stupefacente, ipoteticamente commesse dal Ve., con conseguente mancanza del nesso di pertinenzialità tra il reato ascrittogli e la somma rinvenuta nella sua disponibilità. Per le ragioni esposte la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente alla confisca del denaro, che va restituito all'avente diritto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla confisca del denaro, di cui ordina la restituzione all'avente diritto.