Detenuto disabile ed effettiva possibilità di somministrazione delle cure in carcere

La permanenza in carcere può essere deliberata se il giudice accerta che esistano istituti in relazione ai quali possa formularsi un giudizio di compatibilità tra le condizioni di salute del condannato e il regime carcerario e tale accertamento deve avvenire prima della decisione.

Lo ha ribadito la sentenza della Suprema Corte n. 41410/19, depositata il 9 ottobre. Il caso. Il Tribunale di sorveglianza rigettava la richiesta volta al differimento facoltativo dell’esecuzione della pena in favore del condannato affetto da grave infermità fisica e dichiarato l’inammissibilità delle istanze di affidamento in prova al servizio sociale. Si registrava un peggioramento, nell’ultimo periodo di detenzione, della deambulazione del condannato, tanto da render necessario l’utilizzo della sedia a rotelle. Ciò nonostante, il Tribunale dichiarava che l’uomo non aveva necessità di cure non praticabili in ambiente carcerario. Il condannato ricorre così in Cassazione sostenendo che il Tribunale di sorveglianza ha erroneamente vagliato la gravità delle sue condizioni di salute. Il compito del giudice. La permanenza in carcere può essere deliberata se il giudice accerta che esistano istituti in relazione ai quali possa formularsi un giudizio di compatibilità tra le condizioni di salute del soggetto e il regime carcerario e tale accertamento deve rappresentare un momento primario” rispetto alla decisione e non una modalità esecutiva della stessa, rimessa all’autorità amministrativa. Ora, nel caso in esame, la decisione del Tribunale di sorveglianza risulta essere viziata nella parte in cui affida all’autorità amministrativa il compito di individuare un’altra struttura idonea , senza prima verificare se esiste o meno la concreta possibilità di un sollecito trasferimento del detenuto verso struttura idonea e in quale misura la forzata protrazione della collocazione dell’individuo in un ambiente non consono ai suoi bisogni si sia tradotta in un’incompatibilità con la restrizione carceraria. Per tali ragioni, la S.C. annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di sorveglianza per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 giugno – 9 ottobre 2019, n. 41410 Presidente Tardio – Relatore Cappuccio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 9 ottobre 2018 il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha rigettato la richiesta, presentata nell’interesse di E.R. , volta al differimento facoltativo dell’esecuzione della pena, previsto dall’art. 147 c.p., comma 1, n. 2 , in favore del condannato affetto da grave infermità fisica, e dichiarato l’inammissibilità delle istanze di affidamento in prova al servizio sociale L. 26 luglio 1975, n. 354, ex art. 47, e di esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare ai sensi della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, comma 1-ter. Premesso che le istanze di affidamento in prova al servizio sociale e detenzione domiciliare sono inammissibili, rispettivamente, per essere la pena residua superiore a quattro anni di reclusione ed il condannato in espiazione di reato ostativo, ha esposto, quanto al differimento della pena, che la relazione del Responsabile dell’U.O. di Medicina Penitenziaria della Casa Circondariale di Chieti dell’11 settembre 2018 attesta che E. risulta affetto da esiti di poliomielite arto inferiore sinistro, epatopatia cronica BPTO da tabagismo, ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica post-infartuale, sindrome ansioso-depressiva , patologie che non determinano incompatibilità assoluta con il regime detentivo carcerario, non essendo stata formulata una prognosi infausta a medio termine e considerato che il detenuto è costantemente monitorato e sottoposto a visita. Dalla medesima relazione, continua il Tribunale di sorveglianza, si evince che nell’ultimo periodo è stato registrato un peggioramento della deambulazione, tanto da rendere necessario l’uso di sedia a rotelle che è stato richiesto il trasferimento presso altro istituto privo di barriere architettoniche, anche al fine di assicurare ad E. la possibilità di partecipare alle attività trattamentali, allo stato preclusa che, a corredo del percorso diagnostico, è stato segnalato che in data 3 settembre 2018 il detenuto ha rifiutato di essere sottoposto a colonscopia riferendo un generico malessere, per il quale è stato trasportato presso l’Ospedale di Chieti, dal quale è stato dimesso con la diagnosi di cefalea aspecifica . Il Tribunale, ritenuto che E. , pur essendo invalido e bisognoso di ausilio nell’espletamento delle attività quotidiane, non abbia necessità di cure o interventi chirurgici non praticabili in ambiente carcerario o mediante ricovero L. 26 luglio 1975, n. 354, ex art. 11, ha concluso nel senso che la descritta situazione sanitaria non integra le condizioni che legittimano la sospensione della pena, atteso, peraltro, che lo stato morboso del detenuto non comporta una prognosi infausta quoad vitam. Ha aggiunto che le pur evidenti limitazioni nei movimenti non determinano uno scadimento non tollerabile delle condizioni generali di salute sotto il profilo del senso di umanità della detenzione, e che il futuro trasferimento in istituto idoneo potrà consentire la collocazione del detenuto in ambiente strutturato in modo più adeguato alle sue attuali condizioni. Ha, altresì, disatteso l’istanza finalizzata all’esecuzione di apposito accertamento peritale, reso superfluo, ha rilevato, dalla. complete ed esaurienti relazioni in atti e dall’assenza, nella memoria difensiva, di significativi elementi di novità, atteso, in specie, che il paventato rischio di morte improvvisa, connesso alla depressione che affligge E. , non trova riscontro nelle citate relazioni sanitarie, ove si indica una mera sindrome ansioso-depressiva, con regolare controllo psichiatrico e farmacologico ove necessario. 2. E.R. propone, con il ministero dell’avv. Ciro Russo, ricorso per cassazione affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , violazione di legge penale con riferimento all’art. 147 c.p Lamenta, al riguardo, che il Tribunale di sorveglianza ha erroneamente vagliato la gravità delle condizioni di salute di E. , ottimisticamente prefigurando la possibilità di un trasferimento in altro istituto, soluzione che, di fatto, non è stata attuata perché, nell’arco di un anno, nessuna struttura ha manifestato disponibilità. Eccepisce che la perizia invocata avrebbe dovuto essere disposta in ragione delle conclusioni esposte dal consulente di parte di E. in ordine all’idoneità delle cure in atto garantitegli per le gravissime patologie che lo affliggono ed al rischio di morte, connesso sia al progressivo deterioramento delle condizioni di salute fisica che alla persistente e profonda depressione, potenzialmente generatrice di propositi autolesivi. 2.2. Con il secondo ed ultimo motivo deduce nuovamente, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , violazione di legge penale con riferimento all’art. 147 c.p. sul rilievo che la mancata disponibilità di una sedia ortopedica comporta l’esposizione di E. , peraltro costretto ad essere assistito da altri detenuti persino nel compimento di atti personali e riservati, ad un trattamento contrario al carattere di umanità della pena. 3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. La Corte di cassazione ha avuto modo di chiarire, in tema di incompatibilità tra le condizioni di salute del detenuto ed il regime carcerario, che la relativa valutazione deve essere effettuata sia in astratto, con riferimento ai parametri stabiliti dalla legge, sia in concreto, con riferimento alla possibilità di effettiva somministrazione nel circuito penitenziario delle terapie di cui egli necessita Sez. 6, n. 58421 del 07/11/2018, Loiero, Rv. 275039 Sez. 6, n. 4117 del 10/01/2018, Cali, Rv. 272184 Sez. 6, n. 34433 del 15/07/2010, Forastefano, Rv. 248166 . Ne consegue che, da un lato, la permanenza nel sistema penitenziario può essere deliberata se il giudice accerta che esistano istituti in relazione ai quali possa formularsi un giudizio di compatibilità, dall’altro, che tale accertamento deve rappresentare un prius rispetto alla decisione e non una mera modalità esecutiva della stessa, rimessa all’autorità amministrativa Sez. 1, 24709 del 01/02/2018, Latella, non massimata Sez. 6, n. 25706 del 15/06/2011, E. , Rv. 250509 . 3. Nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza ha fondato il rigetto della richiesta di differimento della pena, oltre che sul fatto che le limitazioni dei movimenti di E. non determinano uno scadimento non tollerabile delle sue condizioni di salute sotto il profilo della contrarietà al senso di umanità della detenzione, sulla possibilità di collocare il detenuto in ambiente strutturato in modo più adeguato rispetto alle sue condizioni attuali, ovvero in un istituto penitenziario privo di barriere architettoniche, ove egli potrebbe, tra l’altro, partecipare alle attività trattamentali, in atto a lui precluse. Così facendo, ha contravvenuto alle indicazioni, sopra riportate, provenienti dalla giurisprudenza di legittimità rimettendo, in sostanza, alle autonome determinazioni dell’autorità amministrativa il superamento della condizione in cui l’odierno ricorrente versa a causa della restrizione in un ambiente penitenziario privo dei presidi necessari a consentirgli, in costanza di detenzione, un’esistenza dignitosa. Nè può dirsi, come dedotto dal Procuratore generale nella requisitoria scritta, che il protrarsi della descritta situazione costituisca conseguenza delle scelte del detenuto, cui si ascrive di avere opposto un netto rifiuto . ad essere ospitato in altra struttura priva di barriere architettoniche , posto che, dalla relazione di sintesi aggiornata al 26 settembre 2018 - con la quale, peraltro, è stato valutato con favore l’eventuale differimento della pena - emerge, al contrario, che il detenuto ha accettato il trasferimento, che non è stato eseguito per assenza, dovuta al sovraffollamento, di una struttura disponibile ad accoglierlo. Il percorso argomentativo seguito dal Tribunale è, pertanto, da ritenersi viziato nella parte in cui, a fronte della sicura inadeguatezza dell’offerta specifica presso la Casa circondariale di Chieti - aspetto che determina sul piano oggettivo un aggravamento delle, già severe, condizioni complessive del recluso affida all’autorità amministrativa il compito di individuare altra struttura idonea, senza preliminarmente verificare, se del caso anche attraverso apposito accertamento peritale, se, da un canto, esiste o meno la concreta possibilità di un sollecito trasferimento del detenuto verso struttura idonea e, dall’altro, in quale misura la forzata protrazione della collocazione del condannato in un ambiente non consono ai suoi bisogni, in termini di terapie, cure ed assistenza, si sia tradotta in una franca incompatibilità con la restrizione carceraria e/o in un trattamento contrario al senso di umanità. 4. Le superiori considerazioni impongono, in conclusione, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di L’Aquila per e nuovo esame che, libero nell’esito, si attenga ai principi sopra enunciati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di L’Aquila.