Madre anziana e affetta da demenza senile: niente permesso per il figlio in carcere

Riconosciuta la gravità della patologia che ha colpito la donna. Ciò nonostante, viene respinta la richiesta dell’uomo di poterle fare visita. Decisiva la constatazione che egli ha usufruito di quattro permessi analoghi in quasi due anni, sempre per stare vicino alla madre.

Irrilevante l’età della madre – che ha superato i 90 anni –, irrilevante la demenza senile che l’ha colpita da tempo va respinta la richiesta del figlio – sottoposto a custodia cautelare in carcere – mirata ad ottenere un permesso per andare a farle visita. Inutile il richiamo fatto dal legale dell’uomo all’importanza della affettività familiare”. Ciò che conta, ribattono i Giudici, è che il figlio abbia usufruito di quattro analoghi permessi in appena due anni, e sempre per poter stare vicino all’anziana madre Cassazione, sentenza n. 41240/19, sez. I Penale, depositata l’8 ottobre . Malattia. Riflettori puntati su un uomo che, rinchiuso in carcere, chiede di poter visitare la madre anziana e malata . L’ipotesi di un permesso ad hoc viene però respinta dai magistrati. In particolare, in appello viene osservato che, pur riconoscendo la severità della patologia che ha colpito la donna, cioè demenza senile , non si può ignorare che l’uomo abbia già usufruito di quattro analoghi permessi in meno di due anni . Questo dato è ritenuto decisivo, poiché, spiegano i giudici, la concessione periodica del permesso, legato all’andamento cronico della malattia della donna, finisce per snaturare la finalità del beneficio e per compromettere le esigenze special-preventive legate allo stato di custodia cautelare del detenuto, cui sono estranee le finalità rieducative proprie invece dell’espiazione della pena . Eccezionalità. Identica posizione assume anche la Cassazione, respingendo il ricorso proposto dal legale dell’uomo, ricorso centrato soprattutto sul diritto fondamentale al mantenimento dell’affettività familiare . A fronte di questo richiamo, i Magistrati ribattono che il c.d. permesso di necessità è un beneficio di eccezionale applicazione, rispondente a finalità di umanizzazione della pena, e non un istituto di natura trattamentale . Ciò comporta che esso può essere concesso esclusivamente al verificarsi di situazione di particolare gravità ridondanti nella sfera personale e familiare del detenuto, ma non anche in funzione dell’esigenza di attenuare il suo isolamento attraverso il mantenimento delle relazioni familiari e sociali . E in questo caso, aggiungono i Giudici, pur essendo evidente la gravità della patologia che ha colpito la madre del detenuto, difetta il requisito della eccezionalità, avendo l’uomo usufruito in meno di due anni di quattro analoghi ‘permessi’, con cadenza pressocché semestrale . Per chiudere il cerchio, infine, viene anche ribadito che le limitazioni alla possibilità di incontrare i familiari, in presenza della facoltà comunque riconosciuta di comunicare a distanza con tramite telefono e per corrispondenza scritta, facoltà in grado di mantenere le relazioni affettive, non possono intendersi quali forme di compressione della libertà del detenuto, non funzionali all’esecuzione della pena detentiva e contrarie al senso di umanità e quindi ai precetti costituzionali che presiedono all’espiazione carceraria .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 4 luglio – 8 ottobre 2019, n. 41240 Presidente Mazzei – Relatore Di Giuro Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza indicata in rubrica la Corte di assise di appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto da Si. Sa. avverso il provvedimento presidenziale di diniego di permesso di necessità ex art. 30 ord. pen., richiesto dal suddetto, imputato di omicidio aggravato ex art. 7 legge n. 203 del 1991, per poter visitare l'anziana madre versante in gravi condizioni di salute pur riconoscendo la severità della patologia evidenziata dal reclamante demenza senile di tipo misto con deficit cognitivo di alto grado, riguardante una persona ultranovantenne , la Corte distrettuale escludeva il requisito dell'eccezionalità dell'evento giustificativo, rilevando che l'interessato aveva usufruito di quattro analoghi permessi in meno di due anni e che la concessione periodica del permesso, legato all'andamento cronico della malattia della madre, finiva per snaturare la finalità dell'istituto e per compromettere le esigenze special preventive legate allo stato di custodia cautelare del detenuto, cui erano estranee le finalità rieducative proprie invece dell'espiazione della pena. 2. Ricorre per cassazione Si. Sa., a mezzo del difensore, deducendo due motivi di doglianza, coi quali lamenta violazione di legge in relazione al requisito dell'eccezionalità di cui all'art. 30 ord. pen., rilevando la incomprimibilità del diritto fondamentale al mantenimento dell'affettività familiare violazione di legge in relazione alle esigenze di special-prevenzione di cui al medesimo art. 30 ord. pen., rilevandone l'incidenza solo sulle modalità esecutive del permesso, includenti l'imposizione della scorta, e deducendo la puntuale osservanza delle prescrizioni imposte al Si. in occasione dei permessi precedenti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. Il provvedimento impugnato è difatti esente dai vizi denunciati. Invero, in tema di ordinamento penitenziario, il permesso di necessità è un beneficio di eccezionale applicazione rispondente a finalità di umanizzazione della pena e non un istituto di natura trattamentale pertanto può essere concesso esclusivamente al verificarsi di situazioni di particolare gravità ridondanti nella sfera personale e familiare del detenuto, ma non anche in funzione dell'esigenza di attenuare l'isolamento del medesimo attraverso il mantenimento delle relazioni familiari e sociali Sez. 1, n. 57813 del 04/10/2017, Graviano, Rv. 272400 . In motivazione detta pronuncia evidenzia che resta infine valida l'osservazione per la quale le limitazioni alla possibilità di incontrare i familiari, in presenza della facoltà comunque riconosciuta di comunicare a distanza con comunicazioni telefoniche e con la corrispondenza scritta, in grado di mantenere le relazioni affettive, non possono intendersi quali forme di compressione della libertà del detenuto, non funzionali all'esecuzione della pena detentiva e contrarie al senso di umanità, quindi ai precetti costituzionali che presiedono all'espiazione carceraria. L'ordinanza impugnata esclude in punto di fatto la sussistenza dei presupposti indicati dall'art. 30 della legge n. 354 del 1975 imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente , ai sensi del comma primo, ovvero eccezionali eventi familiari di particolare gravità , ai sensi del comma secondo . Rileva, invero, come ai fini della concessione del permesso di necessità previsto dall'art. 30, comma 2, della suddetta legge, debbano sussistere i tre requisiti, della eccezionalità della concessione, della particolare gravità dell'evento giustificativo e della correlazione dello stesso con la vita familiare eventi familiari , e come il relativo accertamento debba essere compiuto tenendo conto dell'idoneità del fatto ad incidere nella vicenda umana del detenuto secondo gli insegnamenti di Sez. 1, n. 46035 del 21/10/2014 dep. 06/11/2014, P.M. in proc. Di Costanzo, Rv. 261274, in cui la Corte, ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva concesso il permesso di cui all'art. 30, comma secondo, ord. pen., in ragione della necessità del detenuto di recarsi a trovare la madre gravemente ammalata . Sottolinea come nel caso in esame, pure sussistendo la gravità dell'evento giustificativo patologia severa della madre ultranovantenne , difetti il requisito della eccezionalità, avendo il detenuto usufruito in meno di due anni di quattro analoghi permessi, con cadenza pressoché semestrale e come pertanto la concessione periodica del permesso -legato all'andamento cronico della patologia snaturi del tutto l'istituto. Rileva, infine, come a ciò si aggiunga il carattere eccentrico rispetto all'istituto cautelare della finalità rieducativa in vista del reinserimento sociale del detenuto, sottesa alla disciplina dei permessi, poiché essa è più propriamente riferibile alla fase di espiazione della pena definitiva e come al contrario le esigenze di special-prevenzione, particolarmente avvertite nei confronti del Si. imputato di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 7 legge n. 203 del 1991 e gravato da precedenti penali e molteplici pendenze giudiziarie , risulterebbero oltremodo frustrate da un frequente ricorso alla concessione dei permessi. A fronte di tali argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici, anzi come visto conformi al costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte, nel ricorso non sono proposti argomenti idonei a superarle. 2. Al rigetto consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.