L’aumento di volumetria va verificato a prescindere dalla percentuale di legge

In tema di reati paesaggistici, deve essere dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, d.lgs. n. 42/2004, nella formulazione risultante all’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 56/2016, proposta in riferimento agli articoli 3 e 27 della Costituzione sotto il profilo della manifesta irragionevolezza, perché la previsione di un limite percentuale assoluto per gli aumenti di volumetria rappresenta la disciplina generale, cui si aggiungono, per realizzare una più penetrante tutela del paesaggio, le ulteriori norme della stessa disposizione, che fissano limiti di cubatura assoluti anche indipendentemente dal superamento di tale percentuale.

Lo ha ribadito la Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40513/19, depositata il 3 ottobre. Reati paesistici e titoli abilitativi. Gli interventi di ristrutturazione edilizia, sia se eseguibili mediante semplice” denuncia di inizio attività ai sensi dell'art. 22 commi 1 e 2 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, sia se eseguibili in base alla cosiddetta super DIA, prevista dal comma 3 della citata disposizione, necessitano del preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Solo per gli interventi di restauro e risanamento conservativo e per quelli di manutenzione straordinaria, non comportanti alterazione dello stato dei luoghi o dell'aspetto esteriore degli edifici, la DIA non deve essere preceduta dall'autorizzazione paesaggistica. In ogni caso, in tema di reati paesaggistici, l'unica sanzione applicabile alle violazioni dell'art. 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 è quella fissata dall'art. 44, comma 1, lett. c d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, qualunque sia la condotta violatrice accertata. Il rilascio postumo dell'autorizzazione paesistica da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo ipotesi diversa dal c.d. accertamento di compatibilità paesaggistica, introdotto per alcuni interventi minori dall'art. 1, comma 36, l. 15 dicembre 2004 n. 308 , non determina l'estinzione del reato paesaggistico art. 181, d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 poiché tale effetto non è espressamente previsto da alcuna disposizione legislativa avente carattere generale, mentre il nulla osta paesaggistico ha l'effetto di escludere l'emissione o l'esecuzione dell'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Le modifiche al Testo Unico dell’Edilizia. Peraltro il Testo Unico dell’Edilizia TUE è stato di recente oggetto di numerose e pregnanti modifiche, attuate con i d.l. n. 69/2013, d.l. n. 133/2014 e – da ultimo – d. lgs. n. 222/2016. Ai sensi del novellato art. 10, lett. c , TUE, sono oggi subordinati al permesso di costruire soltanto gli interventi di ristrutturazione edilizia che 1 portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, mediante modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti 2 nel caso di interventi su immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, soltanto quelli che comportino modificazioni della sagoma. Tale disposizione va letta sinotticamente con il novellato art. 3, lett. d del TUE, il quale, nel caso di immobili sottoposti a vincoli ex d.lgs. n. 42/2004, fa rientrare, nella definizione di ristrutturazione, anche la demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma dell’edificio preesistente, fatte salve – in ogni caso – le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. In caso di demolizione e ricostruzione senza modifica di volumetria e sagoma, il nuovo art. 22, comma 1, lett. c del TUE stabilisce la necessità della sola SCIA. La depenalizzazione degli interventi in aree di notevole interesse pubblico. La sentenza in commento menziona la decisione della Corte costituzionale n. 56 del 23 marzo 2016, la quale, nel dichiarare la parziale incostituzionalità dell'art. 181, comma 1- bis , ha stabilito che integra solo la contravvenzione prevista dal comma primo di detto articolo ogni intervento abusivo su beni vincolati paesaggisticamente, tanto in via provvedimentale che per legge cfr. Cass. sez. III n. 15751/16 . Viceversa, si configura il delitto previsto dal successivo comma 1-bis nella sola ipotesi di lavori che superino i limiti volumetrici ivi indicati lett. b . Orbene, nel caso in cui, dalla stessa descrizione delle opere asseritamente abusive, appaia che tali limiti non risultano superati, il reato de quo non potrà configurarsi. Peraltro tale superamento, oltre a dover esser in origine contestato, deve essere anche provato dal Pubblico Ministero pertanto, dovrebbero essere uno o più testi dell’accusa a confermare che l’edificio trovato in sede di sopralluogo non presentasse le stesse dimensioni e la stessa sagoma di quello oggetto di intervento edilizio in area vincolata. Ne consegue che la violazione di cui al comma 1-bis non è oggi neppure astrattamente configurabile, in mancanza di superamento dei parametri previsti dalla Consulta. La rinnovata valenza del principio di offensività. In tema di reati paesistici, occorre sempre verificare, in base ad una valutazione ex ante , se l’intervento realizzato appare o meno astrattamente inidoneo a provocare un’effettiva messa in pericolo del paesaggio. Ad esempio, l’illecito paesistico deve ritenersi inoffensivo, se nell’istruttoria è emerso che un edificio, oggetto di restauro e risanamento conservativo, non presentava una muratura esterna con mattoni pieni a faccia vista”, giacchè interamente rivestito di intonaco, e che, anche dopo l’intervento, l’intonaco veniva mantenuto, e dunque l’aspetto esteriore dell’edificio restava inalterato. In altre parole, appare chiaro che, a fronte dell’intonacatura dell’edificio rimasta identica , l’impiego di mattoni forati e di una fondazione cementizia non è in sé idoneo ad incidere, neppure in astratto, sul paesaggio tutelato, risultando anzi pienamente confacente allo specifico tessuto urbanistico in cui l’intervento è effettuato. Parimenti, se l’uso del cemento armato ha riguardato unicamente la fondazione, dunque una porzione di edificio che non è visibile dall’esterno, e perciò inidonea – in base ad una valutazione ex ante – ad incidere sul paesaggio e sull’ambiente circostante, il reato paesistico non potrà essere configurato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 maggio – 3 ottobre 2019, n. 40513 Presidente Sarno – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 24 agosto 2018, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Grosseto del 25 gennaio 2018, con la quale - per quanto qui rileva - gli imputati erano stati condannati, alla pena di otto mesi di reclusione, con sospensione condizionale e ordine di rimessione in pristino, per il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-bis, lett. a , per avere eseguito su un immobile dichiarato di notevole interesse pubblico con D.M. 21 febbraio 1958, l’ampliamento della sagoma dell’edificio, con un aumento della volumetria superiore del 30% rispetto quella della costruzione originaria B.E. quale direttore dei lavori, B.R. quale titolare dell’impresa esecutrice, C.d. quale committente. 2. - Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione, tramite il difensore e con unico atto, B.E. e B.R. . 2.1. - Con un primo motivo di doglianza, si lamentano vizio della motivazione, nonché la violazione degli artt. 12 e 14 preleggi e dei principi nazionali ed Europei in materia di interpretazione, contestando l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui, poiché l’immobile oggetto dell’intervento aveva già destinazione abitativa del tutto autonoma, esso non poteva essere considerato come pertinenza e, dunque, l’aumento di volumetria doveva essere calcolato in relazione al solo manufatto ampliato. Secondo la prospettazione difensiva, la soluzione interpretativa adottata dalla Corte territoriale sarebbe irrazionale, perché può verificarsi il caso che colui che realizzi un ampliamento di considerevole volumetria della sua proprietà principale per moltissimi metri quadrati non incorra nell’integrazione della fattispecie delittuosa, qualora la proprietà immobiliare principale, essendo grandissima, consenta un aumento per molti metri quadrati mentre ho stesso soggetto commette il delitto se realizza un modestissimo ampiamento di volumetria di pochi metri quadrati. Nel caso di specie, per i ricorrenti, il fatto che il manufatto fosse dotato di zona cottura e bagno non imprime allo stesso carattere di autonomia, non essendo dotato di una camera e non essendo suscettibile di autonoma destinazione, nè alienabile autonomamente rispetto all’abitazione principale. Dunque, poiché l’opera realizzata avrebbe comportato un aumento della volumetria al di sotto dei parametri stabiliti, inferiore al 30%, il reato andrebbe derubricato nella fattispecie contravvenzionale di cui al comma 1 dello stesso art. 181 e il reato sarebbe prescritto. 2.2. - In secondo luogo, si deducono vizi della motivazione in relazione alla condanna alla rimessione in pristino, trattandosi di soggetti che, come l’esecutore e il direttore di lavori, non hanno la disponibilità dell’opera realizzata. 3. - La sentenza è stata impugnata anche nell’interesse dell’imputato C.d. . 3.1. - Con una prima censura, si lamenta l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice e del D.P.R. n. 31 del 2017, art. 2, per la mancata considerazione del fatto che l’aumento di volume in questione è stato integralmente realizzato scavando all’interno edificio seminterrato, al di sotto del piano di campagna, senza alterazione dell’aspetto esteriore dell’edificio cosicché non sarebbe necessaria alcuna autorizzazione, non essendoci alcuna incidenza sull’aspetto paesaggistico. 3.2. - In via subordinata, si deducono l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice e l’illegittimità costituzionale della stessa, in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., essendosi trattato di un ampliamento di soli 37,81 m3. Il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-bis, sarebbe irragionevole laddove applica la stessa reazione sanzionatoria sia per opere di modestissimo impatto ambientale sia per ampliamenti superiori a 750 m3 o nuove costruzioni superiori a 1000 m3. La derubricazione della fattispecie ai sensi dell’art. 181, comma 1, consentirebbe di ritenere prescritto il reato. 3.3. - Sempre in via subordinata, si sostiene che l’ampliamento realizzato insiste su un immobile che costituisce pertinenza dell’edificio principale e che, dunque, sommando il volume originario dei due edifici, il contestato ampliamento si troverebbe al di sotto del 30%, con conseguente configurabilità della fattispecie contravvenzionale. Del resto, la pertinenza avrebbe destinazione abitativa pur non essendo autonoma rispetto all’edificio principale e, per le sue dimensioni, sarebbe insuscettibile di utilizzazione e destinazione autonoma, avendo una superficie inferiore a 28 m2 superficie che rappresenta il minimo per un alloggio destinato una persona, ai sensi del D.M. del Ministero della Sanità 5 luglio 1975. 3.4. - In ulteriore subordine, si sostiene che, anche a voler prendere in esame il solo manufatto secondario, l’aumento di volume rilevante non supera comunque il 30%, essendovi scavi all’interno del manufatto preesistente. Considerato in diritto 4. - I ricorsi di B.E. e B.R. sono fondati limitatamente al secondo motivo. Il ricorso di C.D. è infondato. Deve premettersi che, a seguito dell’intervenuta pronuncia della Corte costituzionale, n. 56 del 26 marzo 2016, rientrano oggi nel D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-bis, unicamente i lavori che abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi . La condotta contestata nella specie è stata ricondotta, dunque, all’interno del comma 1-bis della medesima disposizione, essendo stato computato l’aumento di volumetria, in relazione al manufatto al quale afferisce, ritenuto autonomo e distinto rispetto ad altro più grande manufatto presente nell’area, come superiore al trenta per cento della costruzione originaria . 4.1. - Quanto a tale computo, la sentenza impugnata contiene una motivazione pienamente sufficiente, laddove valorizza le testimonianze dei soggetti che avevano effettuato misurazioni e - con affermazioni non puntualmente contestate dalle difese nei ricorsi per cassazione - evidenzia che vi era effettivamente una originaria destinazione pertinenziale dell’immobile al quale l’aumento di volumetria afferisce, ma che tale destinazione si era già persa da molto tempo, in quanto lo stesso aveva un’autonoma funzione abitativa, essendo completo di zona cottura e bagno e risultando dalla d.i.a. presentata che lo stesso sarebbe stato modificato con opere tese a migliorare la possibile adattabilità alle persone con ridotta capacità motoria. Nè possono essere prese considerazione in senso contrario le generiche affermazioni dei ricorrenti relative all’inutilizzabilità autonoma dell’immobile e alla sua inalienabilità come unità separata, trattandosi di valutazioni di fatto, che non possono essere prese in considerazione in questa sede. Del pari generiche risultano le prospettazioni difensive secondo cui l’ampliamento sarebbe stato realizzato attraverso uno scavo e sarebbe, dunque, irrilevante ai fini paesaggistici, trattandosi, anche in questo caso, di pure affermazioni, del tutto sganciate da riferimenti agli atti di causa, da cui emerge, anzi, la piena visibilità all’esterno dell’opere realizzate. Ne deriva l’infondatezza dei motivi sub 2.1., 3.1., 3.3., 3.4., riferiti alla consistenza dell’ampliamento. 4.2. - Le considerazioni svolte con i motivi sub 2.1. e 3.2., relativamente all’interpretazione della disposizione incriminatrice e alla sua prospettata illegittimità costituzionale, per violazione del principio di ragionevolezza, sono manifestamente infondate. Deve rilevarsi, sul punto, che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto di punire come delitto, non solo tutte le condotte che provocano un ampliamento della volumetria preesistente superiore al 30%, ma anche quelle che, a prescindere dal dato percentuale, comportano la realizzazione in aumento di una cubatura superiore a 750 m3 o la nuova realizzazione di una cubatura superiore a 1000 m3. Nell’ambito di tale sistema, la regola è rappresentata dalla disposizione che fa riferimento al dato percentuale, cui si aggiungono le altre disposizioni, dettate, evidentemente, allo scopo di evitare che, mantenendosi al di sotto della percentuale consentita, si realizzino in edifici molto grandi aumenti di volumetria molto rilevanti o si realizzino ex novo interventi edilizi anch’essi molto rilevanti. Tali ultime disposizioni non possono dunque essere prese quali tertia comparationis in un giudizio di ragionevolezza della prima, perché sono dettate dalla necessità di stabilire un ulteriore tetto, applicabile al di fuori del caso in cui gli aumenti di volume siamo superiori al 30%. E nessuna irrazionalità emerge da tale sistema, diretto a realizzare una tutela effettiva di un bene di rilevanza costituzionale, qual è il paesaggio, attraverso la sottoposizione ad autorizzazione delle sue trasformazioni più rilevanti. Dunque, deve essere dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-bis, nella formulazione risultante all’esito della sentenza della Corte costituzionale, n. 56 del 26 marzo 2016, proposta in riferimento agli art. 3 e 27 Cost. sotto il profilo della manifesta irragionevolezza, perché la previsione di un limite percentuale assoluto per gli aumenti di volumetria rappresenta la disciplina generale, cui si aggiungono, per realizzare una più penetrante tutela del paesaggio, le ulteriori norme della stessa disposizione, che fissano limiti di cubatura assoluti anche indipendentemente dal superamento di tale percentuale. 4.3. - È invece fondato il motivo sub 2.2., con cui si deducono vizi della motivazione in relazione alla condanna alla rimessione in pristino dell’esecutore e del direttore di lavori, in quanto privi della disponibilità dell’opera realizzata. Deve infatti ricordarsi, quanto affermato da questa Corte in tema di reati edilizi, nel senso che il giudice, nel disporre la condanna dell’esecutore e/o del direttore dei lavori per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, non può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla effettiva eliminazione delle opere abusive, in quanto solo il proprietario, ai sensi dell’art. 31 del citato D.P.R., può ritenersi soggetto passivamente legittimato rispetto all’ordine di demolizione Sez. 3, n. 41051 del 15/09/2015, Rv. 264976 - 01 Sez. 3, n. 17991 del 21/01/2014, Rv. 261497 - 01 . Tale principio, formulato in relazione all’ordine di demolizione per l’abuso edilizio, trova evidentemente applicazione anche in relazione all’obbligo di rimessione in pristino previsto per le violazioni paesaggistiche, trattandosi di rimedi analoghi, entrambi finalizzati a realizzare in concreto la tutela del bene interesse protetto attraverso la rimozione degli effetti negativi del reato. 5. - Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di B.E. e B.R. , limitatamente all’ordine di rimessione in pristino, che deve essere eliminato, con rigetto il resto dei ricorsi dei predetti. Il ricorso di C.d. deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di B.E. e B.R. , limitatamente all’ordine di rimessione in pristino, che elimina, e rigetto il resto i ricorsi. Rigetta il ricorso di C.d. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.