Coniugato con una cittadina dell’Unione Europea presente da anni in Italia: confermata comunque l’espulsione

Respinta l’opposizione di un uomo, di origini albanesi, che si è visto comunicare l’espulsione come sanzione alternativa alla detenzione. Inutile il suo richiamo al contesto familiare presente in Italia. Per i Giudici la norma è chiara il divieto di espulsione vale solo in caso di rapporto coniugale col cittadino italiano.

Sposato con una donna rumena, presente stabilmente in Italia da oltre dieci anni. A completare il quadro familiare anche una figlia piccola, nata in Italia. Ciò nonostante, è legittima l’espulsione del condannato di origini albanesi. Decisiva la considerazione che l’allontanamento dal Paese è vietato solo se lo straniero è coniugato con un cittadino italiano Cassazione, sentenza n. 40129/19, sez. I Penale, depositata il 1° ottobre . Famiglia. Magistrato di sorveglianza e Tribunale di sorveglianza concordano legittima l’espulsione del condannato di origini straniere – un cittadino albanese –, espulsione applicata a titolo di sanzione alternativa alla detenzione . Irrilevante, invece, la presenza in Italia del suo nucleo familiare, costituito dalla moglie – una cittadina rumena, che vive nella Penisola da oltre dieci anni – e da una figlia piccola. Per i Giudici è evidente, normativa alla mano, che il divieto di espulsione opera unicamente nel caso in cui lo straniero sia coniugato con un cittadino italiano, e non anche nell’ipotesi di rapporto di coniugio con il cittadino di uno Stato appartenente all’Unione Europea . Allo stesso tempo, viene anche escluso un diritto della figlia minore, nata in Italia, di fruire in modo continuativo del rapporto con il padre . Divieto. Infruttuosa la decisione dell’uomo di rivolgersi alla Cassazione. Anche nel contesto del ‘Palazzaccio’, difatti, viene confermata la legittimità della sua espulsione dall’Italia. Per i magistrati è corretta la visione adottata dal Tribunale di sorveglianza. In sostanza, è irrilevante il dato relativo al rapporto di coniugio con la cittadina rumena che, pur appartenendo a uno Stato dell’Unione Europea ed essendo presente da anni in Italia, non ha la cittadinanza italiana . Va ribadito, quindi, che il divieto di espulsione dello straniero è possibile esclusivamente in riferimento al rapporto di coniugio con il solo cittadino italiano . Applicata anche in questo caso la linea già tracciata qualche anno fa dalla Corte Costituzionale, che ha sancito la legittimità del paletto normativo che aveva escluso l’ipotesi del divieto di espulsione in favore di stranieri conviventi con parenti o col coniuge già residenti in Italia e regolarmente muniti di permesso di soggiorno ma privi della cittadinanza italiana .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 30 aprile – 1 ottobre 2019, n. 40129 Presidente Boni – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 16/10/2018, il Tribunale di sorveglianza di Trento rigettò l'opposizione proposta nell'interesse di Al. Su. avverso il decreto n. 860/2018 emesso il 28/5/2018 dal Magistrato di sorveglianza di Trento con il quale era stata disposta l'espulsione del condannato a titolo di sanzione alternativa alla detenzione ai sensi dell'art. 16, comma 5, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 cd. Testo unico Immigrazione . Secondo il Tribunale di sorveglianza, infatti, doveva ritenersi irrilevante, diversamente da quanto dedotto in sede di opposizione, che Su. fosse coniugato con una cittadina rumena, presente in Italia da oltre dieci anni, provvista di attività lavorativa, dalla quale egli aveva avuto una figlia, nata nel 2016. Ciò in quanto il divieto di espulsione di cui all'art. 19 D.Lgs. n. 286 del 1998 opera unicamente nel caso in cui lo straniero sia coniugato con un cittadino e non anche nell'ipotesi di rapporto di coniugio con il cittadino di uno Stato appartenente all'Unione Europea e non essendovi un diritto della figlia minore, nata in Italia, di fruire in modo continuativo del rapporto con il padre. 2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione lo stesso Su., per mezzo del difensore di fiducia, avv. Emanuele Luppi, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 19, comma 2, lett. c , D.Lgs. n. 286/98, dell'art. 10 Cost. in ordine alla mancata applicazione della Direttiva 2004/38 CE, nonché dell'art. 8 CEDU. In particolare, il ricorrente censura, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., che l'art. 19 del D.Lgs. n. 286/98 sia stato ritenuto non ostativo nel caso di coniugio con il cittadino di uno Stato appartenente all'Unione Europea. Invero, tale interpretazione si porrebbe in conflitto con la normativa interna ed Europea che tutela i legami familiari dei cittadini Europei, atteso che l'espulsione determinerebbe la rottura dei legami familiari e, in particolare, un grave pregiudizio allo sviluppo psico-fisico della minore, la quale, tenuto conto dell'età, sarebbe costretta a crescere senza la figura paterna, con conseguente violazione dell'art. 31 D.Lgs. n. 286/98, della direttiva 2004/38/CE e dell'art. 8 della CEDU. Quanto alla direttiva menzionata, essa tutelerebbe, all'art. 3, qualsiasi cittadino dell'unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché [a]i suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, punto 2 che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo , in particolare stabilendo che il cittadino di un paese terzo, coniuge di un cittadino dell'Unione che soggiorna in uno Stato membro di cui non ha la cittadinanza, il quale accompagni o raggiunga il detto cittadino dell'Unione, benefici delle disposizione della detta direttiva, a prescindere dal luogo e della data del loro matrimonio e delle modalità secondo la quale il detto cittadino di un paese terzo ha fatto ingresso nella Stato membro ospitante cfr. sentenza della Grande Sezione della Corte 25/7/2008, in proc. C-127/08 . La stessa Corte CEDU, inoltre, avrebbe ritenuto contraria all'art. 8 CEDU l'espulsione di un immigrato dal Belgio, in considerazione del fatto che egli risiedeva stabilmente, dall'età di un anno, in quel Paese, nel quale viveva, altresì, tutta la sua famiglia e dove egli manteneva l'insieme dei propri legami sociali cfr. Moustaqulim c. Belgio 18 febbraio 1991 . 3. In data 11/2/2019, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto. 2. Secondo la giurisprudenza di legittimità, le cause ostative all'applicazione dell'espulsione come sanzione alternativa alla detenzione ai sensi dell'art. 16, comma 5, D.Lgs. n. 286 del 1998, indicate ai commi 1 e 2 del successivo art. 19, non hanno natura tassativa, in quanto vanno integrate attraverso l'analisi delle fonti sovranazionali - quali la Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, la Carta di Nizza e le Direttive U.E. sul tema - tese a fornire tutela ai soggetti cui spetta il riconoscimento non solo dello status di rifugiato, ma anche della cd. protezione sussidiaria , spettante anche nell'ipotesi di minaccia grave alla vita di un civile derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale Sez. 1, n. 41949 del 4/4/2018, S, Rv. 273973 . Muovendo da tale premessa si è, ad esempio, ritenuto che il provvedimento di espulsione non possa essere eseguito qualora dall'esecuzione derivi un irreparabile pregiudizio per la salute dell'individuo, così come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 252 del 2001 sicché nel caso di seria patologia cronica del condannato, il giudice è tenuto a verificare, in concreto, esercitando i poteri istruttori di cui dispone, se e con quali effetti l'espulsione possa privare il predetto di cure irrinunciabili, pur diverse da quelle di pronto soccorso e di medicina di urgenza Sez. 1, n. 16383 del 15/3/2019, Mlouki Hamed, Rv. 275245 , eventualmente ledendo il nucleo irriducibile del diritto alla salute garantito dall'art. 32 Cost. Sez. 1, n. 38041 del 26/5/2017, Mokaadi, Rv. 270975 . Tuttavia, non può condividersi, nel caso di specie, la prospettata integrazione delle ipotesi contemplate dall'art. 19 del D.Lgs. n. 286/98, volta ad estendere l'ostatività anche al rapporto di coniugio con il soggetto che, pur appartenendo a uno Stato dell'Unione Europea, non abbia, tuttavia, la cittadinanza italiana. Ciò in quanto il disposto dell'art. 19, comma 2, lett. c del citato decreto contiene un chiarissimo riferimento, quale condizione ostativa alla espulsione, al rapporto di coniugio con il solo cittadino italiano. Pertanto, l'inevitabile conflitto esistente tra l'interesse pubblico sotteso all'espulsione - costituito dall'esigenza di ridurre la condizione di sovraffollamento penitenziario nei confronti dei soggetti ritenuti, in ragione del titolo di reato, di minore pericolosità sociale - e quello connesso alle relazioni familiari e ai diritti dei componenti del nucleo è stato già risolto, nell'esercizio di una non irragionevole scelta di politica giudiziaria, dallo stesso legislatore interno, che ha definito specificamente le condizioni in presenza delle quali l'interesse all'adozione del provvedimento di espulsione può ritenersi recessivo. Né può ritenersi che la scelta legislativa sia in contrasto con le norme costituzionali e sovranazionali dettate a tutela della unità familiare e dell'interesse del minore, avuto riguardo alla consolidata giurisprudenza costituzionale che rimette, in questa materia, alla valutazione del legislatore interno i limiti e le condizioni del pur necessario bilanciamento tra interessi confliggenti, rispetto alla quale l'unico limite rinvenibile è quello della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute, nella specie non ravvisabile. Invero, il regime dell'espulsione del condannato cittadino straniero, come risultante dal combinato disposto degli artt. 16, comma 5 e 19 D.Lgs. n. 286/98, è stato ritenuto coerente con le disposizioni dell'art. 8 CEDU come interpretato alla giurisprudenza comunitaria, che salvaguarda l'unità familiare, intesa quale vincolo tra genitori e figli o tra parenti legati da consanguineità e convivenza effettiva e che impone allo Stato di contenere le limitazioni all'esercizio del diritto alla famiglia e ai rapporti familiari, potendole stabilire soltanto in presenza delle condizioni di cui al paragrafo 2 dell'art. 8, ossia in forza di una disposizione di legge, nei limiti di quanto imposto per assicurare la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale o la protezione dei diritti e delle libertà altrui e se proporzionate al fine legittimo perseguito. Al riguardo, la Corte di Strasburgo, nella sentenza El Boujaidi c. Francia, 26 settembre 1997 nonché nelle successive, tra cui, 30 giugno 2005, Bove c. Italia 7 aprile 2009, Cherif ed altri c. Italia 12 gennaio 2010 Khan A.W c. Regno Unito , ha precisato che, nel garantire l'ordine pubblico e nell'esercitare il controllo dei flussi in ingresso e il soggiorno degli stranieri, gli Stati hanno diritto di espellere coloro, tra questi, che commettono reati, dovendo rispettare, quando tale misura incida su diritto protetto dall'art. 8 CEDU, il principio di proporzione con lo scopo che intendono perseguire e valutare comparativamente i contrapposti interessi, quello collettivo e quello personale dello straniero, bilanciamento che, per quanto già esposto, è riscontrabile nelle disposizioni di legge del T.U. sull'immigrazione per tale puntuale ricostruzione v. Sez. 1, n. 48684 del 29/9/2015, Bachtragga, Rv. 265387 negli stessi termini, nella giurisprudenza penale cfr. Sez. 3, n. 18527 del 3/2/2010, Nabil, Rv. 246974 e, in quella civile, Cass. civ., Sez. 1, n. 23134 del 10/12/2004, Florea Paoletti contro Pref. Udine ed altro, Rv. 578692 . Né potrebbe riscontrarsi alcun contrasto tra l'interpretazione qui accolta e i principi generali dettati dagli artt. 2 e 29 della Costituzione. Invero, la Corte costituzionale, con ordinanza n. 361 del 26 settembre 2007, si è già occupata dell'argomento, che ha risolto, dichiarando manifestamente infondato l'incidente di incostituzionalità relativo all'art. 19 D.Lgs. n. 286/98 nella parte in cui dispone il divieto di espulsione esclusivamente in favore degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado - oggi entro il secondo grado - o con il coniuge di nazionalità italiana , escludendo analogo divieto in favore degli stranieri conviventi con parenti o con il coniuge già residenti in Italia e regolarmente muniti di permesso di soggiorno, ma privi della cittadinanza italiana. Richiamando la precedente decisione su identica questione, contenuta nell'ordinanza n. 158 del 2006, la Consulta ha riconosciuto che il legislatore può legittimamente porre dei limiti all'accesso degli stranieri nel territorio nazionale effettuando un corretto bilanciamento dei valori in gioco, esistendo in materia un'ampia discrezionalità legislativa, limitata soltanto dal vincolo che le scelte non risultino manifestamente irragionevoli , profilo già comunque escluso, nella materia, dalla sentenza n. 353 del 1997. Inoltre, nella richiamata ordinanza n. 158 del 2006 la stessa Corte costituzionale ha rilevato come il D.Lgs. n. 286 del 1998 appresti, agli artt. 28 e seguenti, una specifica tutela del diritto dello straniero, regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, a mantenere l'unità del suo nucleo familiare, prevedendo la possibilità del ricongiungimento, nella sussistenza delle condizioni di cui all'art. 29, a favore del coniuge e dei figli minori a carico, mentre la pronuncia di incostituzionalità sollecitata avrebbe finito per vanificare i fini sottesi alla legge per il ricongiungimento familiare, dal momento che avrebbe consentito in ogni caso allo straniero coniugato e convivente con altro straniero di aggirare le norme in materia di ingresso e soggiorno, con evidente sacrificio degli altri interessi, ritenuti meritevoli di tutela e considerati dal D.Lgs. n. 286 del 1998 così, ancora, Sez. 1, n. 48684 del 29/9/2015, Bachtragga, citata . 4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.