Valida la notifica al difensore se negli atti non vi è notizia precisa del domicilio dell’imputato

L’impossibilità di effettuare la notificazione dell’atto nel domicilio ritualmente dichiarato comporta la consegna al difensore, ex art. 161, comma 4, c.p.p., nell’ipotesi in cui il mutamento o la revoca della dichiarazione domiciliare non sia avvenuta nelle forme di legge.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 38944/19, depositata il 23 settembre. I fatti. Il difensore dell’imputato ricorre in Cassazione denunciando inosservanza di legge, in particolare degli artt. 161, comma 4, e 182, comma 2, c.p.p. con riguardo alla notificazione dei decreti di citazione a giudizio sia di primo che di secondo grado, effettuate presso il difensore per impossibilità di eseguirle presso il domicilio dichiarato nel luogo di residenza, posto che in atti vi era indicato altro domicilio dell’imputato. Inoltre si denuncia mancata notificazione a mani dell’imputato dell’avviso di deposito con estratto della sentenza contumaciale resa in primo grado. La validità della notificazione. Laddove la notifica risulti impossibile nel domicilio dichiarato per essersi trasferito il destinatario, l’ufficiale giudiziario incaricato della notifica stessa non ha l’onere di effettuare ricerche e può fare la consegna al difensore secondo quanto disposto dall’art. 161, comma 4, c.p.p E nel caso in esame, non era presente negli atti notizia precisa del domicilio dell’imputato diverso da quello del medesimo eletto, non potendo ritenere che tale fosse la dimora di fatto dello stesso allorquando, anni prima, fu redatto verbale di perquisizione personale e sequestro e fu dichiarato domicilio presso l’abitazione di residenza. Del resto, l’impossibilità di effettuare la notificazione dell’atto nel domicilio ritualmente dichiarato comporta la consegna al difensore nell’ipotesi in cui il mutamento o la revoca della dichiarazione domiciliare non sia avvenuta nelle forme di legge, ancorché risulta dagli atti la nuova residenza indicata dall’imputato. Per quanto detto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 maggio – 23 settembre 2019, n. 38944 Presidente Lapalorcia – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 20 luglio 2018 la Corte d’appello di Bologna, dichiarando l’intervenuta prescrizione di due reati, concedendo in regime di equivalenza le circostanze attenuanti generiche e riducendo conseguentemente la pena, ha per il resto confermato la condanna dell’odierno ricorrente alle pene di legge per il reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione commesso con riguardo a diverse donne. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il difensore dell’imputato deducendo, con i primi tre motivi, l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, tempestivamente eccepite ed erroneamente disattese dalla Corte territoriale ed in particolare con il primo ed il terzo motivo, dell’art. 161 c.p., comma 4 e art. 182 c.p.p., comma 2, con riguardo alla notificazione, rispettivamente, del decreto che aveva disposto il giudizio di primo grado e del decreto di citazione a giudizio in grado d’appello, effettuate presso il difensore per ritenuta impossibilità di eseguirla presso il domicilio dichiarato nel luogo di residenza, ancorché vi fosse in atti notizia di altro domicilio dell’imputato con il secondo motivo, dell’art. 548 c.p.p., comma 3 e art. 171 c.p.p. per mancata notificazione a mani dell’imputato dell’avviso di deposito con estratto della sentenza contumaciale resa in primo grado. 3. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 267 c.p.p. per non essere stata dichiarata l’inutilizzabilità - già eccepita in primo grado, diversamente da quanto rilevato in sentenza - delle conversazioni telefoniche addotte quali prove decisive per l’affermazione di responsabilità, stante la mancanza di motivazione dei relativi decreti autorizzativi del 1 e del 29 luglio 2005 . Contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, le motivazioni dei predetti decreti non potrebbero essere considerate sufficienti se lette per relationem ai risultati investigativi ed alle richieste del pubblico ministero, non emergendo che vi sia stato un effettivo vaglio critico degli stessi da parte del g.i.p. e non essendo individuabile l’iter cognitivo e valutativo seguito dal decidente. 4. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta il vizio di motivazione con riguardo al travisamento del contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate ed all’omessa valutazione di due deposizioni testimoniali, prove che non dimostrerebbero che il reato era stato commesso in danno di più persone, sicché, dovendosi escludere la circostanza aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4, n. 7 , il delitto si sarebbe dovuto dichiarare prescritto. In particolare, in alcune conversazioni tra l’imputato e tale M. si parlerebbe di più ragazze straniere che sarebbero dovute giungere in Italia, emergendo tuttavia la prova della partenza di una sola di esse, mentre dalle telefonate tra il prevenuto e F.R. non emergerebbe che le donne da coinvolgere nell’attività di prostituzione fossero più d’una, posto che non tutte le ragazze che lavoravano presso il night-club erano dedite al meretricio, come ricavabile da due deposizioni testimoniali. 5. Con memoria contenente motivi aggiunti al quarto dedotto in ricorso, depositata il 13 maggio u.s., il difensore, ha ulteriormente argomentato l’inutilizzabilità delle conversazioni intercettate sull’utenza in uso all’imputato e richiamate nella sentenza impugnata in memoria specificate , sul rilievo che i due decreti autorizzativi citati in ricorso 1 e 20 luglio 2005 concedessero una proroga rispetto a precedenti decreti la cui efficacia sarebbe scaduta, in entrambi i casi, dopo 10 giorni e che anche altri due decreti - quelli del 16 giugno e 14 luglio 2005, censurati con i motivi d’appello ma non con il ricorso per cassazione, ben potendo tuttavia la Corte di legittimità rilevare il vizio ai sensi dell’art. 609 c.p.p., comma 2, - presentavano questa criticità, con conseguente inutilizzabilità per mancato rispetto del necessario requisito della proroga degli ascolti per periodi successivi ovvero per mancanza di correlazione tra il momento valutativo ed il periodo temporale rispetto al quale esso è stato esercitato. Si censura specificamente, inoltre, il decreto del 14 luglio 2005 per apparenza della motivazione. Considerato in diritto 1. Il primo ed il terzo motivo di ricorso - che riguardano identica questione di diritto - sono inammissibili per manifesta infondatezza. La decisione di legittimità richiamata in ricorso - secondo cui la disposizione contenuta nell’art. 161 c.p.p., comma 4, che consente la notifica degli atti mediante consegna al difensore, trova un temperamento, nella sua rigida applicazione, quando si abbia aliunde notizia precisa del luogo in cui il destinatario abbia trasferito la sua residenza o la dimora, perché in tal caso la notifica deve essere disposta ed effettuata nel nuovo domicilio, in modo da assicurargli l’effettiva e non meramente presunta conoscenza dell’atto Sez. 4, n. 41998 del 20/09/2016, De Novi, Rv. 268040, che ha ritenuto valida la notificazione effettuata a mani di persona convivente presso il nuovo domicilio di fatto, noto all’organo notificante - afferma che, laddove la notificazione risulti impossibile nel domicilio dichiarato per essersi il destinatario trasferito, l’ufficiale giudiziario incaricato della notifica non ha l’onere di effettuare ricerche e può effettuare la consegna al difensore ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4. Nel caso di specie, al momento della notificazione del decreto con cui era stato disposto il giudizio in primo grado febbraio 2011 e del decreto citazione a giudizio in grado d’appello 2018 , non v’era certo in atti notizia precisa del domicilio dell’imputato diverso da quello dal medesimo eletto, non potendosi ritenere che tale fosse la dimora di fatto che l’imputato aveva allorquando, molti anni prima, nel 2006, fu redatto il verbale di perquisizione personale e sequestro e fu dichiarato domicilio presso l’abitazione di residenza di OMISSIS . In ogni caso, il Collegio reputa corretto il maggioritario orientamento giustamente seguito dai giudici di merito e anche di recente ribadito - secondo cui l’impossibilità di effettuare la notifica dell’atto nel domicilio ritualmente dichiarato comporta la consegna al difensore, eseguita ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, nel caso in cui il mutamento o la revoca della detta dichiarazione domiciliare non sia avvenuta nelle forme di legge, ancorché dagli atti risulti la nuova residenza indicata dall’imputato Sez. 7, ord. n. 24515 del 23/01/2018, Pizzighello, Rv. 272824 Sez. 5, n. 51613 del 11/10/2017, Pescatore, Rv. 271627 Sez. 5, n. 31641 del 01/06/2016, Leonardi, Rv. 267428 . Del resto, nel caso di specie non si è trattato di un trasferimento di residenza o di domicilio intervenuto successivamente alla dichiarazione di elezione, ma di una scelta del luogo ove ricevere gli atti processuali consapevolmente effettuata presso la residenza anagrafica quando il domicilio di fatto dell’interessato era un altro cfr. verbale di identificazione e contestuale elezione di domicilio del 14 dicembre 2006, mai modificato e allegato al ricorso, ove il dichiarante dichiarava di essere di fatto domiciliato in OMISSIS , capanno n. 10, un indirizzo, che, facendo riferimento ad un capanno , appariva del resto precario . 2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per genericità la sentenza impugnata attesta che l’estratto contumaciale è stato notificato e il ricorrente si limita a sostenere che esso non è mai stato notificato nelle mani del prevenuto la notifica a mani non era necessaria, bene potendo la stessa essere effettuata ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, dopo che era stata senza esito tentata a mezzo posta presso il domicilio dichiarato per trasferimento del destinatario cfr. attestazione dell’ufficiale postale del 20 marzo 2012 . 3. Il quarto motivo è inammissibile per manifesta infondatezza. Premesso che in tema di intercettazioni, l’inutilizzabilità degli esiti delle operazioni captative derivante dalla mancanza di motivazione dei decreti di autorizzazione e di proroga può essere dedotta dalle parti, per la prima volta, nel giudizio di cassazione e rilevata d’ufficio anche dal giudice di legittimità ai sensi dell’art. 609 c.p.p., comma 2, Sez. 4, n. 47803 del 09/10/2018, B., Rv. 274034 - sicché non rileverebbe l’eventuale mancata eccezione effettuata in primo grado peraltro avvenuta, come attestato dall’ordinanza di cui all’allegato 9 al ricorso - la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del consolidato principio secondo cui in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, è legittima la motivazione per relationem dei decreti autorizzativi quando in essi il giudice faccia richiamo alle richieste del pubblico ministero ed alle relazioni di servizio della polizia giudiziaria, ponendo così in evidenza, per il fatto d’averle prese in esame e fatte proprie, l’”iter cognitivo e valutativo seguito per giustificare l’adozione del particolare mezzo di ricerca della prova Sez. 5, n. 36913 del 05/06/2017, Tipa e aa., Rv. 270758 Sez. 5, n. 24661 del 11/12/2013, dep. 2014, Adelfio e aa., Rv. 259867 Sez. 6, n. 46056 del 14/11/2008, Montella, Rv. 242233 . La lettura dei due decreti conferma la correttezza della valutazione della Corte - quello del 1 luglio 2005 è diffusamente motivato con riguardo al reato di usura per il quale in allora si procedeva e la doglianza proposta in ricorso è ictu oculi infondata, precisando il decreto che l’assoluta indispensabilità delle intercettazioni dipendeva dal fatto che gli incontri e gli abboccamenti destinati alle illecite transazioni si sarebbero potuti organizzare con modalità estemporanee e quindi con l’uso del telefono - il decreto del successivo 29 luglio, letto con riguardo agli atti in esso richiamati, contiene obiettivamente una motivazione meno articolata, ma, trattandosi di decreto di proroga delle intercettazioni, vale il principio, da tempo consolidato, secondo cui la motivazione può in tal caso essere ispirata anche a criteri di minore specificità rispetto alle motivazioni del decreto di autorizzazione, potendosi anche risolvere nel dare atto della constatata plausibilità delle ragioni esposte nella richiesta del pubblico ministero Sez. 4, n. 16430 del 19/03/2015, Caratozzolo, Rv. 263401 Sez. 4, n. 32924 del 14/05/2004, Belforte e aa., Rv. 229105 Sez. 3, n. 2778 del 03/09/1999, Pasimeni, Rv. 214791 in ogni caso, con riguardo a tale secondo decreto, il ricorrente lamenta soltanto che in forza del medesimo erano state captate - e utilizzate in sentenza - le conversazioni n. 2196 e 2201 del 4 agosto 2005, trascurando, tuttavia, di considerare che le stesse, avvenute sull’utenza OMISSIS in uso all’imputato, erano state comunque legittimamente intercettate in forza del precedente decreto di autorizzazione non fatto oggetto di doglianza in ricorso , che sarebbe scaduto soltanto il 9 agosto 2005, come si ricava dall’allegato 7 al ricorso. 4. Il quinto motivo di ricorso è del pari inammissibile, in parte per la preclusione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 3, u.p., ed in parte per genericità e manifesta infondatezza. 4.1. Quanto alla contestazione circa l’omessa motivazione sull’integrazione della circostanza aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4, n. 7, con riguardo al fatto che lo sfruttamento sarebbe avvenuto ai danni di più persone, va innanzitutto osservato come si tratti - stando alla sentenza impugnata - di doglianza che non era stata specificamente dedotta con il gravame. Richiamando consolidati principi affermati con riguardo alla causa di inammissibilità di cui all’art. 606 c.p.p., comma 3, u.p., deve ribadirsi che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l’atto d’appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627 Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066 . Nella specie ciò non è stato fatto e per ciò solo il ricorso sarebbe inammissibile per genericità. Deve aggiungersi che l’esame dell’atto d’appello ha consentito al Collegio di verificare che la questione sulla sussistenza della richiamata circostanza aggravante non era stata specificamente dedotta, sicché non può sul punto prospettarsi il vizio di motivazione, ricavandosi peraltro dal disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 3 il principio secondo cui è precluso dedurre per la prima volta in sede di legittimità questioni di cui il giudice dell’impugnazione sul merito non era stato investito cfr. Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013, dep. 2014, Palmas e aa., Rv. 258553 . 4.2. In ogni caso la motivazione della sentenza impugnata, in uno con la conforme sentenza di primo grado - che dall’analisi del contenuto delle conversazioni dettagliatamente riportate nella sentenza di primo grado hanno tratto il convincimento che l’imputato facesse arrivare dalla Romania ragazze da destinare, non solo al lavoro di intrattenimento in un locale notturno di OMISSIS , ma anche all’attività di prostituzione - non è certo manifestamente illogica, nè vi è travisamento della prova. Il fatto che talune conversazioni abbiano ad oggetto l’arrivo di una ragazza in Italia non vale certo ad escludere che le altre ragazze - del cui avvio alla prostituzione si parla in numerose, ulteriori, conversazioni - non siano parimenti giunte, posto che dal tenore dei dialoghi si comprende come l’attività di reclutamento, favoreggiamento e sfruttamento svolta dall’imputato riguardasse un certo numero di donne, ciò che trova ulteriore conferma - nota la sentenza impugnata - nel sequestro di ben 1.700 profilattici presso l’abitazione dell’imputato. In ogni caso, nella sentenza di primo grado pag. 49 e 50 si attesta che l’attività illecita era stata certamente commessa in danno di tale A.S.I. donna peraltro conosciuta dall’imputato nel OMISSIS e, dunque, diversa da quella che lo stesso ricorrente ammette essere giunta in Romania per l’esercizio della prostituzione , in altra conversazione si parla di una prostituta chiamata S. pag. 44 , in altra ancora di una prostituta di nome L. . La sentenza impugnata attesta inoltre che la prostituzione delle ragazze organizzate dall’imputato veniva svolta in appartamento, dopo il passaggio, stabile o meno, nel night come entraineuses, sicché lo svolgimento nel locale delle mansioni di figuranti di sala da parte di alcune ragazze - del quale la sentenza impugnata dà atto - non esclude in alcun modo l’esercizio, altrove, del meretricio quale risultante dalle conversazioni nessun travisamento per omissione vi è dunque stato con riguardo alle dichiarazioni al proposito rese da qualche ragazza interessata e dall’ispettore del lavoro che eseguì nel locale un accertamento. 5. Quanto ai motivi nuovi contenuti nella memoria successivamente depositata, la loro ammissibilità dipende da quella dell’impugnazione a cui i medesimi accedono, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 4, u.p Ritenuta, per quanto sopra detto, l’inammissibilità dei ricorso, la stessa non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, in quanto si trasmette a questi ultimi il vizio radicale da cui sono inficiati i motivi originari per l’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi Sez. 6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 2019, Montante, Rv. 275158 . 6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, che - a tutela dei diritti o della dignità degli interessati - sia apposta a cura della cancelleria, sull’originale della sentenza, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.