Uccide la sorellastra perché testimone dell’omicidio della madre: esclusa l’aggravante del motivo abietto

La Corte di Cassazione chiarisce in base a quali valutazioni e parametri il movente del delitto commesso può qualificarsi come motivo abietto.

Questo il contenuto della sentenza della Suprema Corte n. 38208/19, depositata il 16 settembre. Il caso. Il GUP del Tribunale di Verona condannava l’imputato per avere ucciso la madre e la sorellastra minorenne, reati aggravati dal rispettivo rapporto di parentela e dai motivi abietti. A seguito di impugnazione, la Corte di Assise di appello riformava parzialmente la decisione, riconoscendo all’imputato le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla prima aggravante contestata riducendo conseguentemente la pena e confermando nel resto la pronuncia del GUP. A questo punto, l’imputato propone ricorso per cassazione, contestando, tra i diversi motivi, la ritenuta sussistenza dell’aggravante dei motivi abietti ai sensi dell’art. 61, n. 1, c.p. nell’omicidio della sorellastra, sostenendo di avere commesso il delitto per sottrarre la stessa da un futuro di sfruttamento della prostituzione. I motivi abietti. La Suprema Corte dichiara fondato il motivo di ricorso prospettato dal ricorrente, evidenziando che in base alla ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di primo e secondo grado egli avrebbe ucciso la sorellastra poiché testimone scomoda del delitto commesso nei confronti della madre. La doglianza del ricorrente, dunque, mirerebbe a corroborare una diversa ricostruzione dei fatti, inammissibile in sede di giudizio di legittimità. Tuttavia, gli Ermellini rilevano che il motivo che ha spinto il ricorrente a commettere il delitto ai danni della sorellastra non può dirsi abietto, poiché in base alla giurisprudenza consolidata può essere qualificato come tale, in base a parametro etico, un motivo che sia turpe e ignobile, e rivela nell’agente un grado tale di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità, ovvero quando è spregevole o vile, e provoca repulsione ed è ingiustificabile, per la sua abnormità, per la maggioranza dei cittadini, tenuto anche in considerazione l’ambiente nel quale il reo vive . Alla luce del principio ribadito, la Corte afferma che non può inquadrarsi tra quelli appena descritti il movente di eliminare il testimone dell’omicidio, il quale è piuttosto riconducibile a delitto aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 2, c.p., considerato che esso è stato commesso per ottenere l’impunità del reato previsto dall’art. 575 c.p., aggravante che però non è stata contestata in punto di fatto all’imputato. Dunque, avendo il Giudice erroneamente ritenuto sussistente l’aggravante in oggetto, avendo tenuto conto dell’oggettiva gravità del fatto avvenuta ai danni di una giovane vittima, senza considerare il motivo ovvero l’impulso o il sentimento che ne stavano alla base, si impone l’annullamento senza rinvio della pronuncia limitatamente all’aggravante dei motivi abietti, disponendo il rinvio degli atti al Giudice di secondo grado per un nuovo giudizio ai fini del trattamento sanzionatorio irrogabile.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 16 luglio – 16 settembre 2019, n. 38208 Presidente Di Tomassi – Relatore Talerico Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 28 marzo 2017, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Verona riconosceva F.A. responsabile degli omicidi della madre B.M. e della sorellastra dodicenne M.L.E. , aggravati dal rispettivo rapporto di parentela con le vittime e dai motivi abietti per avere ucciso la prima, nel corso di un litigio scaturito dal fatto che costei voleva che il figlio con la fidanzata andassero via immediatamente di casa, tagliandole la gola con un coltello da cucina e attingendola, altresì, con due fendenti e per avere cagionato la morte della seconda, strangolandola nonché del reato di cui all’art. 411 c.p. per avere occultato i resti delle due congiunte, dopo averle fatte a pezzi, mettendo gli arti in una valigia e i due busti in due distinti borsoni, gettandoli, poi, nell’Adige e, unificati gli stessi sotto il vincolo della continuazione, esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1 in relazione al delitto della madre, operata la riduzione per la scelta del rito, lo condannava alla pena dell’ergastolo applicava, altresì, le pene accessorie di legge. 2. Con pronuncia resa il 16 febbraio 2018, la Corte di Assise appello di Venezia, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riconosceva all’imputato le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti all’aggravante di cui all’art. 577 c.p., comma 1, n. 1 con riferimento all’omicidio in danno di B.M. e minus valenti rispetto alle aggravanti ritenute art. 577 c.p., u.c. e art. 577, comma 1, n. 4 in relazione all’art. 61 c.p., n. 1 con riferimento all’omicidio in danno di M.L.E. e, per l’effetto, riduceva la pena inflitta al F. in anni trenta di reclusione, confermando nel resto la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Verona. 3. La Corte territoriale - per quanto rileva nel presente giudizio - concesse all’imputato le circostanze attenuanti generiche, riteneva infondate le censure formulate nell’atto di appello con riguardo alla ricorrenza dell’aggravante dei motivi abbietti in relazione all’omicidio della sorellastra. Al riguardo, spiegava che mentre la determinazione all’uccisione della madre era scaturita dal comportamento di costei, percepito dall’imputato, cresciuto nella depravazione affettiva genitoriale, come persecutorio perché ostacolante la relazione affettiva con la fidanzata - la spinta all’uccisione della sorellastra, una ragazzina dodicenne, colpevole solo perché, presente in casa in quel momento, si era trovata nella scomoda situazione di essere testimone dell’uccisione della madre, oltre a non essere accettabile dal sentimento comune non era credibilmente sorretta dalla motivazione offerta dal F. di avere voluto sottrarre la ragazza da un futuro di prostituzione quest’ultima giustificazione era, infatti, del tutto artificiosa perché era stata indicata solo in un secondo momento il F. aveva, in precedenza, sempre riferito di averla uccisa perché testimone scomodo il soggettivo convincimento che la ragazzina sarebbe diventata una prostituta non aveva, inoltre, trovato alcun oggettivo appiglio fattuale nel contesto familiare e ambientale, dato che nessuno aveva mai riferito che la giovane avesse intrapreso la strada della prostituzione nè aveva confermato quanto l’imputato andava dicendo e cioè che avesse avuto rapporti sessuali con il figlio del compagno della madre infine, la giustificazione dell’imputato di avere ucciso la ragazza perché testimone del primo delitto era logicamente congruente con le condotte immediatamente successive di soppressione dei cadaveri e di cancellazione e dispersione delle tracce dei delitti. 4. Quanto al giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto, la Corte territoriale riteneva che le circostanze attenuanti generiche, concesse al F. , dovevano reputarsi equivalenti all’aggravante contestata ex art. 577 c.p., comma 1, n. 1 con riferimento all’omicidio in danno di B.M. e minus valenti rispetto alle aggravanti ritenute art. 577 c.p., u.c. e art. 577, comma 1, n. 4 in relazione all’art. 61 c.p., n. 1 con riferimento all’omicidio in danno di M.L.E. , in ragione del fatto che vi erano plurimi motivi che conducevano a differenziare il peso delle predette attenuanti in relazione ai due delitti di omicidio la gravità della spinta a delinquere era diversa nei due delitti in quanto nessun atteggiamento neppure soggettivamente vessatorio era attribuibile alla giovane vittima l’omicidio di quest’ultima era più ripugnante di quello della madre che era rimasta estranea non solo dal percorso di crescita del figlio ma anche nell’attualità. 5. Avverso detta sentenza il difensore di fiducia del F. , avvocato Roberto Rigoni Stern, ha proposto ricorso per cassazione per violazione di legge penale in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dei motivi abietti ex art. 61 c.p., n. 1 nell’omicidio di M.L. e per violazione di legge o falsa applicazione dell’art. 69 c.p. in punto di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti . 5.1. Quanto al primo profilo, ha evidenziato che l’aggravante dei motivi abbietti è di natura soggettiva e deve attenere non alla gravità del fatto ma alle ragioni per cui il delitto è stato commesso che per la sua ricorrenza è necessario accertare i motivi che hanno condotto al delitto e, quindi, verificare se essi siano ignobili, vili e ripugnanti che i giudici di merito hanno ritenuto immotivatamente che l’imputato abbia ucciso la ragazza al deliberato fine di impedirle di testimoniare, traendo tale convincimento da quanto dichiarato dallo stesso F. nel corso di uno degli interrogatori ai quali è stato sottoposto che, al contrario, la condotta dell’imputato era stata posta in essere al fine di sottrarre la sorellastra da un futuro di sfruttamento della prostituzione che occorreva valutare che, nel caso di specie, alla stregua dei riferimenti provenienti dall’imputato, vi erano due spiegazioni alternative e contrapposte tra loro, nessuna delle quali più vera dell’altra e che l’imputato è soggetto non del tutto stabile sotto il profilo psichiatrico, presentando tratti di spiccato assetto psicopatico che, in ogni caso, non può imputarsi all’agente la futilità del movente se, per errato apprezzamento della situazione di fatto, fondato su una falsa ma non pretestuosa rappresentazione della realtà, ha ritenuto di agire per un movente che non sarebbe stato obiettivamente futile se l’errore non si fosse verificato . 5.2. Quanto al secondo profilo, il ricorrente ha sostenuto che la modalità di determinazione della pena è affetta da erronea applicazione dell’art. 69 c.p., avendo la Corte territoriale, nell’ambito di un unico capo di imputazione, ritenuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata ex art. 577 c.p., comma 1, n. 1 con riferimento all’omicidio in danno di B.M. e minus valenti rispetto alle aggravanti ritenute con riferimento all’omicidio in danno di M.L.E. che la regola di giudizio stabilita nella citata norma impone al giudice di compiere una valutazione unitaria delle circostanze di segno opposto e che l’errata applicazione della norma in parola ha inciso sulla determinazione della pena irrogabile reclusione ovvero ergastolo . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato laddove deduce l’erronea applicazione della norma di cui all’art. 61 c.p., n. 1, per le ragioni che seguono. Va, innanzitutto, evidenziato che secondo la concorde ricostruzione di fatti effettuata dal giudice di primo grado e da quello di appello, il F. ha ucciso la sorellastra perché scomoda testimone del delitto ai danni della madre. Tutte le doglianze contenute in ricorso - con le quali si sostiene che vi erano elementi da cui trarre il convincimento che l’intento del F. era quello di sottrarre la ragazza da un futuro di sfruttamento della prostituzione - sono tutte censure che, seppure formulate sotto l’egida della violazione di legge, tendono ad accreditare una diversa prospettazione dei fatti e, in quanto tali, inammissibili nel presente scrutinio di legittimità. E in vero, la motivazione in precedenza riportata sub n. 3 , con la quale i giudici di merito hanno ritenuto, che l’antecedente psichico della condotta posta in essere dall’imputato doveva essere individuato nell’intento di costui di eliminare la giovane vittima per impedirle di testimoniare contro di lui in relazione all’omicidio della madre al quale aveva assistito, non può dirsi manifestamente illogica, nè contraddittoria, nè parziale ne, infine in contrasto con i dati acquisiti, essendosi i giudici della Corte di Assise di appello di Venezia attenuti a un coerente, ordinato e conseguente modo di disporre i fatti, le idee e le nozioni necessari per giustificare la loro decisone. 2. Ciò posto, ritiene il Collegio che il motivo che ha sorretto l’azione del ricorrente nei confronti della sorellastra - così come individuato nella impugnata sentenza - non può essere qualificato motivo abietto ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 1. E infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il motivo è valutato come abietto, sulla base di un parametro etico - da individuarsi secondo le valutazioni medie della collettività in un certo momento storico -, quando è turpe e ignobile, e rivela nell’agente un grado tale di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità, ovvero quando è spregevole o vile, e provoca repulsione ed è ingiustificabile, per la sua abnormità, per la maggioranza dei cittadini, tenuto anche in considerazione l’ambiente nel quale il reo vive Cass. pen., 2.2.2017, Barone, Rv 271214 Cass. pen., 4.10.2012, Prisco, Rv 255878 Cass. pen., 4.11.2011, La Ghezza, Rv 25183 Cass. Pen., 22.6.2011, Okaya, Rv 250882 Cass. pen., 12.11.2009, Saleem e altri, Rv 246309 Cass. pen., S.U. 18.12.2008, Antonucci, Rv 241576 Cass. pen., 6.5.2008, Sapone, Rv 241230 Cass. pen., 23.11.2005, Calì, Rv 235093 Cass. pen., 19.12.2001, Vaccaro, Rv 221525 Cass. pen., 17.3.1999, Colomba, Rv 213378 Cass. pen., 17.1.1999, Zumbo, Rv 212871 Cass. pen., 27.11.1995, Coppaloro, Rv 203499 Cass. pen., 8.10.1993, Conte, Rv 197899, in RP 1995, 505 Cass. pen., 21.10.1987, Petrelli Cass. pen., 8.2.1985, Di Ponio, Rv 168808 . Più in particolare, e a titolo di esempio, l’aggravante dei motivi abietti è stata ritenuta dalla Corte di cassazione configurabile in relazione all’omicidio rituale di persone indifese, atteso che il sacrificio umano è fermamente riprovato e considerato con orrore dalla comune coscienza cfr. Cass. pen., 6.5.2008, Sapone, cit. ma anche in una fattispecie in tema di tentato omicidio, in cui la Corte ha ritenuto configurabile l’aggravante nella condotta dell’imputato che aveva colpito ripetutamente con un coltello la vittima per vendicarsi del suo rifiuto di assecondarlo sessualmente cfr. Cass. pen., 2.2.2017, Barone, cit e ancora in relazione all’omicidio originato da un patologico e distorto rapporto di possesso parentale del padre nei confronti della figlia, la quale non sottostava ai suoi voleri, rivendicava margini di autonomia, e teneva un comportamento difforme rispetto agli usi e costumi della sua famiglia cfr. Cass. pen., 12.11.2009, Saleem e altri, cit. nonché in numerose ipotesi in cui è stato affermato che integra l’aggravante in questione la condotta di colui il quale commetta un reato al fine di dimostrare la forza ed il prestigio dell’organizzazione criminale alla quale partecipa cfr. Cass. pen., 4.10.2012, Prisco, cit. . Le ipotesi sopra menzionate dimostrano che le fattispecie prese in esame riguardano in buona sostanza fatti considerati turpi, ignobili, o vili, tra i quali non può rientrare il movente di eliminare il testimone di un omicidio, che è invece inquadrabile come delitto aggravato ex art. 61 c.p., n. 2 essendo stato posto in essere per conseguire l’impunità del reato punito dall’art. 575 c.p. e però tale aggravante teleologica non stata contestata in punto di fatto all’imputato. 3. Orbene, in applicazione dei superiori principi di diritto, nel caso di specie va esclusa la ricorrenza dell’aggravante del motivo abietto, la cui sussistenza, peraltro, è stata ritenuta dai giudici di merito avendo riguardo alla oggettiva gravità della condotta posta in essere dal ricorrente ai danni della giovane vittima, piuttosto che al motivo, all’impulso, al sentimento che hanno indotto il predetto a commettere il delitto. Conseguentemente la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente all’aggravante dei motivi abietti che va esclusa e, per l’effetto, va disposto il rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Venezia per nuovo giudizio in ordine al trattamento sanzionatorio. 4. Resta assorbito il motivo di ricorso relativo al giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto che dovrà essere riformulato dal giudice di merito, al quale spetta di rideterminare la pena complessiva da applicare al F. , tenuto conto che è venuta meno una delle aggravanti a costui contestate. Tuttavia, al riguardo, va rilevato che le circostanze attenuanti generiche, concesse all’imputato dalla Corte di appello di Venezia, sono state ritenute equivalenti all’aggravante di cui all’art. 577 c.p., comma 1, n. 1, con riferimento all’omicidio in danno di B.M. e minus valenti rispetto alle aggravanti ritenute art. 577 c.p., u.c. e art. 577 c.p., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 61 c.p., n. 1 con riferimento all’omicidio in danno di M.L.E. e che la censura difensiva secondo cui i giudici dell’appello avrebbero violato l’art. 69 c.p., atteso che la suddetta norma impone al giudice di compiere una valutazione unitaria delle circostanze di segno opposto, è destituita di fondamento. È vero infatti che - secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte - il giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e attenuanti ha carattere unitario ma tale unitarietà va intesa nel senso che non è consentito operare il bilanciamento tra le attenuanti ed una sola delle aggravanti, dovendosi invece procedere alla simultanea comparazione di tutte le circostanze contestate e ritenute dal giudice cfr. tra le tante Cass. pen., n. 12988 del 22/02/2012, Rv. 252313 . In altri termini, il giudizio di comparazione fissato dall’art. 69 c.p. presuppone una valutazione complessiva degli elementi circostanziali, siano essi aggravanti o attenuanti, che trova fondamento nella necessità di giungere alla determinazione del disvalore complessivo dell’azione delittuosa ed è funzionale alla finalità di quantificare la pena nel modo più aderente al caso concreto. Ma è altresì principio di diritto consolidato quello secondo il quale più reati uniti dal vincolo della continuazione, con riferimento alle circostanze attenuanti e aggravanti, conservano la loro autonomia e si considerano come reati distinti, così che il giudizio di prevalenza, equivalenza o minus valenza delle diverse circostanze deve essere effettuato in relazione ad ogni singolo reato e tale principio, peraltro, è stato confermato dalle Sezioni unite di questa Corte, le quali hanno statuito che in tema di continuazione, la circostanza attenuante dell’integrale riparazione del danno va valutata e applicata in relazione a ogni singolo reato unificato nel medesimo disegno criminoso Sez. U, n. 3286 del 27/11/2008, Chiodi, Rv. 241755 . 5. In caso di diffusione del presente provvedimento occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante del motivo abietto, che esclude, e rinvia ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Venezia per un nuovo giudizio in ordine al trattamento sanzionatorio. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.