Straniero in carcere, nessun contatto con la moglie italiana: sì all’espulsione

L’uomo, detenuto e senza permesso di soggiorno, ha contestato l’espulsione, richiamando il matrimonio contratto con una donna italiana. Questo elemento non è però ritenuto sufficiente dai Giudici, soprattutto perché viene data per certa la rottura definitiva della convivenza tra i due coniugi. Decisivo il fatto che la moglie non abbia mai avuto contatti col marito durante il suo periodo di detenzione.

‘Via libera’ all’espulsione del cittadino straniero detenuto e privo di permesso di soggiorno, nonostante sia sposato con una donna italiana. Decisiva la constatazione che tra i due coniugi non vi sono stati contatti né visivi né telefonici durante il periodo trascorso in carcere dall’uomo Cassazione, sentenza n. 37033/19, sez. I Penale, depositata oggi . Carcere. Punto di partenza è il decreto emesso dal magistrato di sorveglianza, che applica nei confronti di un cittadino straniero rinchiuso in carcere la misura dell’espulsione dal territorio dello Stato . Il provvedimento poggia su alcuni pilastri, ossia il detenuto sta espiando una pena residua non superiore ai due anni la condanna è stata inflitta per reati non ostativi all’espulsione e, infine, il cittadino è privo di permesso di soggiorno e non versa in situazioni ostative all’espulsione . Tale visione è confermata dal Tribunale di sorveglianza, che ritiene secondario il fatto che lo straniero abbia sposato una cittadina italiana , come attestato da regolare certificato di matrimonio . A questo proposito, difatti, viene osservato che il detenuto non ha dimostrato di non essere effettivamente convivente con la coniuge italiana e dal momento del suo ingresso in carcere non ha mai effettuato alcun colloquio, né visivo né telefonico, con la consorte . In sostanza, per i Giudici è evidente la convivenza tra i due coniugi si sia definitivamente interrotta , e questo dato fa venire meno l’ipotesi di un ‘congelamento’ dell’espulsione per il legame familiare creato dallo straniero in Italia. Famiglia. Inutile si rivela ora il ricorso proposto in Cassazione dal legale del cittadino straniero. I Magistrati ricordano che il Testo unico sull’immigrazione indica quale situazione ostativa rispetto a tutte le ipotesi di espulsione giudiziale la convivenza con parenti entro il quarto grado o, come in questa vicenda, con il coniuge di nazionalità italiana , ma aggiungono che nei casi di espulsione come sanzione alternativa alla detenzione la convivenza deve essere intesa come una situazione di possibile ripristino della comunione di vita all’uscita dal carcere. In sostanza, il coniuge della persona reclusa deve manifestare l’intenzione di ricostituire il nucleo familiare , sanciscono i Giudici. E proprio applicando tale visione emerge nella vicenda in esame che nel corso della sua non breve carcerazione lo straniero non ha avuto alcun contatto, anche solo telefonico, con la moglie , e questo dato di fatto è sufficiente, secondo i giudici, per escludere categoricamente una prospettiva di comunione di vita tra i due coniugi , una volta finito il periodo di detenzione dell’uomo. Di conseguenza, spazzata via ogni ipotesi di nuova convivenza con la moglie italiana, è definitiva l’espulsione del cittadino straniero.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 maggio – 4 settembre 2019, n. 37033 Presidente Di Tomassi – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con decreto in data 19/6/2018, il Magistrato di sorveglianza di Firenze, che aveva applicato, nei riguardi di Mh. Be., la misura dell'espulsione dal territorio dello Stato, ai sensi dell'art. 16, comma 5, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 cd. T.U. Immigrazione , rilevando che il detenuto stava espiando una pena residua non superiore ai due anni che la condanna era stata inflitta per reati non ostativi all'espulsione che non sussistevano incertezze sull'identità o sulla nazionalità che Be. era cittadino straniero, privo di permesso di soggiorno e che egli non versava in situazioni ostative all'espulsione ai sensi dell'art. 19 del D.Lgs. n. 286/1998. 2. A seguito di opposizione proposta avverso il predetto decreto, con la quale era stata dedotta la violazione dell'art. 19 T.U. Immigrazione sul presupposto che il detenuto avesse sposato una cittadina italiana nel 2001, come da certificato di matrimonio allegato, con ordinanza in data 25/10/2018, il Tribunale di sorveglianza di Firenze respinse l'impugnazione, rilevando che il detenuto non aveva dimostrato di essere effettivamente convivente con la coniuge di nazionalità italiana circostanza ritenuta accertata a partire dal fatto che, a partire dal suo ingresso in carcere, avvenuto nel marzo 2015, Be. non aveva mai effettuato alcun colloquio, né visivo né telefonico, con la moglie, Ma. Bu., sicché doveva ritenersi che essa fosse stata ormai definitivamente interrotta. 3. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione lo stesso Be. per mezzo del difensore di fiducia, avv. Cr. To., deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 19, D.Lgs. n. 286/1998, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione a alla espulsione disposta a carico di Be In particolare, il ricorrente censura, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., il ragionamento svolto dal Tribunale di sorveglianza di Firenze in relazione al venir meno della convivenza tra il ricorrente e la moglie, definendolo apodittico e non dimostrato . Infatti, i due sarebbero sposati da 17 anni e benché l'avvio dell'esecuzione penale abbia rappresentato un momento di crisi coniugale, nondimeno non risulterebbe che la moglie abbia intrapreso alcuna iniziativa volta alla cessazione del matrimonio, sicché l'affermazione secondo la quale Be. non riprenderebbe la convivenza coniugale al momento della sua scarcerazione sarebbe del tutto ipotetica , essendo egli intenzionato a riallacciare i rapporti con la moglie al termine della detenzione. 4. In data 7/5/2019, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. L'art. 19 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 cd. Testo Unico Immigrazione indica quale situazione ostativa rispetto a tutte le ipotesi di espulsione giudiziale Sez. 1, n. 40529 del 9/5/2017, Hassine, Rv. 270983 , ivi compresa quella di cui al comma 5 dell'art. 16 del medesimo decreto, la convivenza con parenti entro il quarto grado o con il coniuge di nazionalità italiana. In proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, in diverse occasioni, che la condizione ostativa deve sussistere al momento della decisione e non in quello della commissione del reato ex plurimis Sez. 1, n. 40529 del 9/5/2017, Hassine, Rv. 270984 . Nondimeno, essa non può essere identificata, nei casi di espulsione come sanzione alternativa alla detenzione, con una situazione fattuale di effettiva convivenza, atteso che la carcerazione produce, inevitabilmente, l'interruzione forzata del rapporto di convivenza familiare, tuttavia assurge a elemento decisivo la concreta possibilità che tale convivenza esistente prima della carcerazione. In tali casi, pertanto, la convivenza deve essere intesa come una situazione di possibile ripristino della comunione di vita, la quale postula, dunque, una valutazione prognostica che il giudice deve articolare sulla base di massime tratte dalla comune esperienza, come ad esempio nel caso in cui il coniuge del recluso abbia manifestato, anche per fatti concludenti, l'intenzione di ricostituire il nucleo familiare su cui, momentaneamente, è intervenuta la vicenda esecutiva. 3. Nel caso di specie, tuttavia, è stato accertato che nel corso della sua non breve carcerazione, Be. non aveva avuto alcun contatto, anche solo telefonico, con la moglie. E a partire da tale circostanza, peraltro non contestata dal ricorrente, il Tribunale di sorveglianza ha tratto un solido argomento per affermare il venir meno di una prospettiva di comunione di vita tra i due coniugi. A fronte di questa valutazione, che il Giudice di merito ha mantenuto nei limiti di una fisiologica opinabilità di apprezzamento, senza incorrere in un evidente deficit di illogicità, il ricorso si è limitato ad affermare l'assenza di oggettivi riscontri, senza nondimeno offrire nessun concreto elemento a sostegno della sua prospettazione, che il ricorrente ben avrebbe potuto fornire proprio in ragione della sua asserita vicinanza alla fonte probatoria si pensi, a mero titolo esemplificativo, a una semplice dichiarazione di disponibilità a riprendere la convivenza da parte della moglie . 4. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 Euro. 5. La natura non particolarmente complessa della questione e l'applicazione di principi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della decisione in forma semplificata. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.