Differimento dell’esecuzione della pena: l’interesse del condannato va ben oltre il pericolo per la vita

In tema di differimento facoltativo della pena, è necessario che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da provocare rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa attuare nello stato di detenzione, operando un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, sez. IV Penale, con la sentenza n. 36969/19, depositata il 3 settembre. Ragioni del rigetto dell’istanza di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena. Con la sentenza in commento la Suprema Corte ritiene fondato il ricorso avanzato dal difensore volto al differimento facoltativo dell’esecuzione della pena in favore del condannato affetto da grave infermità fisica ovvero, in subordine, della sua esecuzione nelle forme della detenzione domiciliare. L’istanza, difatti, era stata rigettata dal Tribunale di sorveglianza fondando la decisione esclusivamente su una relazione sanitaria risalente nel tempo e contraddittoria rispetto a precedenti ed autorevoli giudizi medico-legali, non disponendo l’accertamento peritale che invero risultava necessario. Massime in tema di differimento facoltativo dell’esecuzione. Richiamando taluni precedenti giurisprudenziali in materia, la Corte ricorda che il differimento facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica o psichica e la detenzione domiciliare sono istituti che si fondano sul principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, su quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato e, infine, su quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo. Pertanto, il giudice, dinanzi ad una richiesta di differimento dell’esecuzione della pena, è tenuto a valutare se le condizioni di salute del condannato possano essere assicurate all’interno dell’istituto penitenziario e se siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena, con la durata del trattamento e con l’età del condannato, sempre comparate con la pericolosità sociale del condannato. In definitiva, la decisione deve essere emessa operando un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività. L’interesse del condannato il criterio guida è la dignità e tollerabilità del trattamento penitenziario. Nel caso di specie, la Corte rinviene come il Tribunale non abbia tenuto conto, ai fini della verifica demandatagli, delle patologia psichiatriche che affliggono il condannato, scongiurando quindi il recente orientamento della Corte Costituzionale secondo cui, nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il Tribunale possa disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche oltre i limiti fissati dal comma primo dall’art. 47- ter ord. Pen Al contrario, l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, dopo aver correttamente evidenziato che il grave stato di salute che legittima l’applicazione dell’istituto richiede la probabilità di rilevanti conseguenze dannose, orienta la decisione in funzione dell’assenza di un immediato pericolo per la vita, senza confrontarsi con l’incidenza delle condizioni fisio–psichiche di apparente severità del condannato in relazione alla sua permanenza all’interno dell’istituto penitenziario nonché avuto riguardo ai limiti dell’umana tollerabilità. Per tali ragioni, il Tribunale di sorveglianza dovrà vagliare nuovamente l’istanza tenendo conto dei principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 7 giugno – 3 settembre 2019, n. 36969 Presidente Di Tomassi – Relatore Cappuccio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 25 giugno 2018 il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha rigettato la richiesta, presentata nell’interesse di M.F. , volta al differimento obbligatorio dell’esecuzione della pena, previsto dall’art. 146 c.p., comma 1, n. 3 , nei confronti di persona affetta da grave malattia in fase avanzata, ovvero al differimento facoltativo - previsto dall’art. 147 c.p., comma 1, n. 2 , in favore del condannato affetto da grave infermità fisica - dell’esecuzione della pena ovvero ancora, in subordine, della sua esecuzione nelle forme della detenzione domiciliare ai sensi della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, comma 1-ter. Ha, a tal fine, disatteso l’istanza finalizzata a che venisse eseguito un accertamento peritale, reso superfluo, ha rilevato, dalla già plurima e corposa consulenza e assistenza clinico-terapeutica offerta all’interessato dalle strutture sanitarie preposte alla tutela del diritto alla salute del detenuto in istituto penitenziario secondo la normativa vigente, sia intramoenia, come evidenziato dalla relazione sanitaria CPS in atti, sia dalle strutture territoriali extramoenia, ex art. 11 I.p. . Rilevato che le condizioni di salute di M. , condannato alla pena dell’ergastolo ed affetto da ematoma intraparenchimale frontale sinistro con afasia ed emiplegia destro ipertensione arteriosa, epilessia, psicosi da innesto con ritardo mentale di grado moderato, disturbo schizofrenico disorganizzato, cisti aracnoide in fossa cranica sinistra, incontinenza urinaria, nefrotiliasi , non sono, all’attualità, particolarmente gravi, ha segnalato che egli, non totalmente autonomo, fruisce di piantone 24/24 h e si muove con l’ausilio di carrozzina, segue regolarmente la terapia farmacologica che gli è stata prescritta, viene visitato dal medico di reparto periodicamente ed a richiesta e gode di adeguata assistenza sanitaria ed infermieristica. Analiticamente indicate le visite e gli accertamenti risultanti dalla relazione in atti, il Tribunale di sorveglianza ha escluso che l’esecuzione della pena sia, nel caso di specie, incompatibile con la tutela del diritto alla salute, bene di rilievo costituzionale, e con il senso di umanità, atteso, tra l’altro, che il condannato non corre immediato pericolo di vita e che gli sono garantite, anche con l’ausilio di strutture esterne ed il ricorso allo strumento previsto dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 11, tutte le cure necessarie in costanza di detenzione carceraria, sicché, non venendo in rilievo la violazione dei principi consacrati nell’art. 27 Cost., comma 2, e art. 3 Cedu, non ricorrono le condizioni cui la giurisprudenza di legittimità subordina il differimento della pena. 2. M.F. propone, con il ministero dell’avv. Guido Iaccarino, ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Lamenta che il Tribunale di sorveglianza, dopo avere correttamente enunciato, attraverso il richiamo all’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, i criteri ispiratori della valutazione demandatagli, li ha, in concreto, disattesi, fondando la decisione impugnata esclusivamente su una relazione sanitaria eccessivamente ottimistica e, soprattutto, incompleta, in quanto riferita solo all’ultimo biennio e silente in ordine alla risalente ed assai allarmante storia clinica di M. , e contraddittoria rispetto a precedenti ed autorevoli giudizi medico-legali, sì da rendere appropriata la richiesta di disporre l’accertamento peritale che il Tribunale di sorveglianza ha, invece, ritenuto superfluo. 3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento. 2. Il differimento facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica o psichica ai sensi dell’art. 147 c.p., comma 1, n. 2, e la detenzione domiciliare ex L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, comma 1-ter, istituti la cui applicazione unitamente a quello del differimento obbligatorio ex art. 146 c.p., comma 1, n. 3, che postula la ricorrenza, nel caso in esame non prospettata, di AIDS conclamato, grave deficienza immunitaria o altra patologia in fase terminale è oggetto dell’istanza disattesa dal Tribunale di sorveglianza di Napoli, si fondano sul principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali art. 3 Cost. , su quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato art. 27 Cost. e, infine, su quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo art. 32 Cost. . Il giudice, quindi, al cospetto di una richiesta di differimento dell’esecuzione della pena - o, in subordine, di sua esecuzione nelle forme della detenzione domiciliare - per grave infermità fisica o psichica, è tenuto a valutare se le condizioni di salute del condannato, oggetto di specifico e rigoroso esame, possano essere adeguatamente assicurate all’interno dell’istituto penitenziario o, comunque, in centri clinici penitenziari e se esse siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena, con un trattamento rispettoso del senso di umanità, tenuto conto anche della durata del trattamento e dell’età del detenuto, a loro volta soggette ad un’analisi comparativa con la pericolosità sociale del condannato Sez. 1, n. 53166 del 17/10/2018, Cinà, Rv. 274879 . In questo senso è, del resto, univocamente attestata la giurisprudenza di legittimità, ferma nel ritenere che In tema di differimento facoltativo della pena detentiva, ai sensi dell’art. 147 c.p., comma 1, n. 2 , è necessario che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione, operando un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività Sez. 1, n. 789 del 18/12/2013, dep. 2014, Mossuto, Rv. 258406 . La decisione deve essere frutto, allora, dell’equilibrata comparazione tra le esigenze di certezza ed indefettibilità della pena e la salvaguardia del diritto alla salute e ad un’esecuzione penale rispettosa dei criteri di umanità, che non consente il mantenimento della restrizione carceraria che finisca con il rappresentare una sofferenza aggiuntiva intollerabile da vivere in condizioni umane degradanti in questo senso cfr. tra le altre, Sez. 1, n. 3262 del 01/12/2015, dep. 2016, Petronella, Rv. 265722 , dovendosi tenere conto tanto dell’astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici disponibili quanto della concreta adeguatezza della possibilità di cura ed assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al condannato valutando anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico Sez. 1, n. 37062 del 09/04/2018, Acampa, Rv. 273699 Sez. 1, n. 30495 del 05/07/2011, Vardaro, Rv. 251478 . Detto bilanciamento deve essere estrinsecato attraverso una motivazione compiuta, ancorché sintetica, che consenta la verifica del processo logico-decisionale ancorato ai concreti elementi di fatto emersi dagli atti del procedimento. 3. Ritiene il Collegio che il Tribunale di sorveglianza di Napoli, nel respingere l’istanza di differimento della pena per motivi di salute proposta nell’interesse di M. , non abbia fatto corretto uso, sotto diversi e concorrenti angoli prospettici, dei principi sopra indicati. 4. In primo luogo, non ha tenuto conto, ai fini della verifica demandatagli, delle patologie psichiatriche psicosi da innesto con ritardo mentale di grado moderato, disturbo schizofrenico disorganizzato che affliggono M. , così procedendo lungo una traiettoria interpretativa coerente con il quadro normativo vigente al tempo di adozione del provvedimento impugnato, ma non più attuale a seguito dell’intervento operato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 99 del 20 febbraio 2019, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, comma 1-ter, della Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà , nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il Tribunale di sorveglianza possa disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al medesimo art. 47-ter, comma 1. La portata erga omnes della pronunzia del giudice delle leggi e l’estensione dei suoi effetti a tutte le situazioni giuridiche ancora non esaurite in quanto, ad esempio, non coperte dal giudicato Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236535 determinano l’illegittimità sopravvenuta del provvedimento impugnato, emesso sulla base di una cornice legislativa medio tempore modificatasi. 5. L’ordinanza del Tribunale di sorveglianza partenopeo appare, altresì, censurabile nella parte in cui - dopo avere correttamente evidenziato che il grave stato di salute che legittima l’applicazione degli istituti di cui si discute va inteso alla stregua di patologia implicante un serio ed imminente pericolo di vita ovvero la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose, eliminabili o procrastinabili con cure o trattamenti che non possono essere praticati in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura in questo senso cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 37216 del 05/03/2014, Carfora, Rv. 260780 - orienta la decisione in funzione dell’assenza di un immediato pericolo quoad vitam, senza confrontarsi con l’incidenza di condizioni fisio-psichiche di apparente severità ed irreversibilità, avuto riguardo, specificamente, alla concorrenza di patologie di ordine psichiatrico con altre che inibiscono a M. parola e movimento, sul coefficiente di sofferenza patito dal condannato in costanza di detenzione carceraria e sul suo mantenimento entro i limiti dell’umana tollerabilità, nonché con la possibilità che la sanzione mantenga significato rieducativo attraverso la proiezione dei suoi effetti futuri sul suo destinatario. 6. Il provvedimento impugnato si palesa, infine, viziato laddove cfr., in specie, foglio 3, secondo periodo , analizzando il tema dell’attitudine dei Centri Diagnostici Terapeutici a fronteggiare situazioni sanitarie del tipo di quella relativa alla persona di M. , fonda la propria valutazione sugli standards teoricamente ed astrattamente applicabili i Centri Diagnostici Terapeutici dovrebbero essere ben in grado di fronteggiare situazioni sanitarie come quella in esame all’interno del carcere lì dove non fosse possibile nello specifico, resta onere della Direzione del carcere, a fronte di patologie che non implichino incompatibilità assoluta del condannato con il regime detentivo, ma solo difficoltà di gestione clinico-terapeutica, individuare la migliore collocazione all’interno della struttura stessa o, di concerto con il D.A.P., collocare il condannato in Centri Diagnostici Terapeutici adeguati e idonei alla cura e terapia del caso concreto anziché, come sancito dall’indirizzo ermeneutico sopra richiamato, sulla concreta evoluzione degli eventi che, stando alla prospettazione del ricorrente, si è connotata per l’omissione di alcune tra le terapie prescritte al paziente, segnatamente di quelle fisioterapiche. 7. Le considerazioni sin qui svolte impongono, in conclusione, l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Napoli, cui gli atti vanno rinviati in vista di un nuovo esame, che, comunque libero nell’esito, tenga conto del testo della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, comma 1-ter, scaturito dal menzionato intervento della Corte costituzionale, e degli ulteriori profili di illegittimità testè ravvisati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Napoli.