Collocare una casa mobile per uso abitativo su un terreno senza permesso di costruire costituisce reato

Integra il reato di costruzione edilizia abusiva la collocazione su un’area di una casetta mobile avente stabile destinazione abitativa, qualora manchi a tal fine il permesso di costruire.

Così decide la Terza Sezione Penale della Suprema Corte con la sentenza n. 36481/19, depositata il 28 agosto. La vicenda. La Corte d’Appello di Palermo confermava la decisione del Tribunale di Agrigento di condannare l’imputata perché, in concorso con ignoti e in qualità di committente e proprietaria, aveva eseguito lavori di collocazione di una casa mobile modulare su un terreno sito nel Comune agrigentino, omettendo di fornire il prescritto preavviso allo sportello unico per l’edilizia. Contro tale decisione, l’imputata propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, lett. e , d.P.R. n. 380/2001, non essendo stata la casa mobile da lei collocata destinata ad uso abitativo, ma solamente a deposito ovvero magazzino per un utilizzo temporaneo. Il reato di costruzione edilizia abusiva. Gli Ermellini dichiarano il ricorso inammissibile e, in particolare, ritengono infondato il motivo sopra descritto. La Corte osserva, infatti, come il Giudice di merito abbia correttamente applicato il principio secondo cui si configura il reato di costruzione edilizia abusiva ex art. 44, comma 1, lett. b , d.P.R. n. 380/2001 nel caso in cui venga installata su un terreno una struttura mobile senza il permesso di costruire, come camper, roulotte e case mobili, anche qualora esse siano montate su ruote e non siano incorporate al suolo, in quanto possiedono comunque una destinazione duratura indirizzata al soddisfacimento di esigenze abitative. Ciò ribadito, la Corte precisa che integra il reato di costruzione edilizia abusiva la collocazione su un’area di una casa mobile” con stabile destinazione abitativa, in assenza di permesso di costruire . Nel caso concreto, il Tribunale aveva accertato che l’opera anche se precaria e mobile era destinata a soddisfare esigenze abitative durature, essendo stata fissata al terreno mediante tubi telescopi ed essendo corredata all’esterno da una terrazza con parapetti e pavimentazione in mattino. Anche per questo motivo, la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio e della somma di euro 2000 in favore della Cassa delle Ammende.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 giugno – 28 agosto 2019, n. 36481 Presidente Aceto – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di Appello di Palermo confermava la pronuncia resa dal Tribunale di Agrigento e appellata dall’imputata, che aveva condannato P.M. alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa, perché ritenuta responsabile dei seguenti reati, uniti nel vincolo della continuazione art. 110 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b perché, in concorso con ignoti, in qualità di committente e proprietaria, eseguiva lavori di collocazione di una casa mobile modulare di circa 42 mq su un terreno di 1.200 mq sito nel Comune di omissis capo a D.P.R. n. 380 del 2001, art. 95 perché, in relazione alle opere descritte nel capo a , ricadenti in zona sismica, ometteva di fornire il prescritto preavviso allo sportello unico per l’edilizia capo b . 2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputata, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. 2.1. Con il primo motivo si eccepisce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in riferimento all’art. 131-bis c.p. e relativo vizio motivazionale. Assume la ricorrente che la Corte territoriale, pur avendo rilevato che le caratteristiche strutturali della casa mobile non consentono di ricondurre la stessa al concetto di costruzione edilizia, avrebbe contraddittoriamente escluso la particolare tenuità del danno, senza considerare che le opere realizzate, per un verso, sono di dimensioni ridotte e di tipo provvisorio e, quindi, non comporterebbero una modificazione significativa del territorio, e, per altro verso, sono funzionali a soddisfare bisogni primari, di talché anche l’elemento psicologico sarebbe caratterizzato da particolare tenuità. 2.2. Con il secondo motivo si deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , il vizio di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. e . Osserva la ricorrente che, contrariamente da quanto previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 - secondo cui per interventi di nuova costruzione si intendono quelli di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio destinati ad essere utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, depositi, ecc. che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee - la casa mobile non sarebbe stata destinata ad uso abitativo, ma solo a deposito o magazzino, in quanto non dotata di corrente elettrica e gas, nè di sistema fognario ed allaccio idrico e provvista di ruote e gancio da traino, elementi che attesterebbero inequivocabilmente l’uso temporaneo della costruzione. Inoltre, sostiene la ricorrente, a prescindere dalla natura dell’opera, troverebbe applicazione la L.R. n. 37 del 1985, art. 5 secondo cui L’autorizzazione del sindaco sostituisce la concessione per l’impianto di prefabbricati ad una sola elevazione non adibiti ad uso abitativo di conseguenza, ad avviso della ricorrente, ai sensi della L.R. citata, la sosta o il parcheggio di una casa mobile non richiederebbe alcuna concessione, ma, semmai, un’autorizzazione. Si assume inoltre che i casi in cui si richiede il permesso a costruire, ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 che sanziona i lavori eseguiti in assenza di permesso, dovrebbero essere individuati da una norma specifica integrativa che, per la regione Sicilia, è rappresentata dalle L.R. n. 37 del 1985 e L.R. n. 71 del 1978. Conclude la ricorrente che la previsione del rilascio di autorizzazione, ai sensi della L.R. n. 37 del 1985, art. 5 comporterebbe l’inesistenza del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 che circoscrive la contravvenzione al solo caso di difformità totale o in assenza del permesso di costruire. 2.3. Con il terzo motivo, si eccepisce violazione e falsa applicazione della legge penale in riferimento all’art. 133 c.p. Si duole la ricorrente dell’entità della pena irrogata che, rapportata alla consistenza del fatto contestato, appare sproporzionata e particolarmente afflittiva. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché meramente riproduttivo delle medesime doglianze già rigettate dalla Corte territoriale con motivazione immune da vizi logici e giuridici. 2. Per dare un ordine logico alla trattazione dei motivi di ricorso, occorre prendere le mosse dal secondo, con cui la ricorrente contesta la sussistenza dei reati. Il motivo è manifestamente infondato perché diretto a una diversa valutazione dei dati probatori, non consentita in sede di legittimità. 2.1. Secondo quanto accertato dai giudici di merito, con doppia valutazione conforme, sul terreno di proprietà dell’imputata era stato posizionato un prefabbricato modulare di 42 mq., in parte poggiato su carrello, in parte su pali telescopici, articolato in due unità abitative arredate, con ingressi distinti, dotate la prima di cucina, bagno e una camera da letto e la seconda di una cucina, due camere da letto e un vano adibito a bagno all’esterno, il manufatto presenta una terrazza con parapetti in metalli a protezione e un’area pavimentata con mattoni autobloccanti. 2.2. Ciò posto, con apprezzamento fattuale logicamente motivato, la Corte territoriale ha ribadito che il manufatto era adibito ad uso abitativo, il che esclude in radice l’invocata applicazione della disciplina regionale, la quale si riferisce a impianti prefabbricati a uso non abitativo. La Corte territoriale, inoltre, ha ribadito la sussistenza del reato, facendo corretta applicazione del principio secondo cui è configurabile il reato di costruzione edilizia abusiva D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 1, lett. b nell’ipotesi di installazione su un terreno, senza permesso di costruire, di strutture mobili quali camper, roulotte e case mobili, sia pure montate su ruote e non incorporate al suolo, aventi una destinazione duratura al soddisfacimento di esigenze abitative Sez. 3, n. 25015 del 23/03/2011 - dep. 22/06/2011, Di Rocco, Rv. 250601 nella specie si trattava di case prefabbricate munite di ruote gommate . Si è parimenti precisato che integra il reato di costruzione edilizia abusiva la collocazione su un’area di una casa mobile con stabile destinazione abitativa, in assenza di permesso di costruire, perché quest’ultimo non è necessario, ai sensi dell’art. 3 citato D.P.R. come modificato dalla L. 3 agosto 2013, n. 98 e dalla L. 23 maggio 2014, n. 80 , per i soli interventi in cui ricorrono contestualmente i requisiti di cui al comma 1, lett. e 5 , del predetto art. 3 collocazione all’interno di una struttura ricettiva all’aperto, temporaneo ancoraggio al suolo, conformità alla normativa regionale di settore, destinazione alla sosta ed al soggiorno, necessariamente occasionali e limitati nel tempo, di turisti . Sez. 3, n. 41067 del 15/09/2015 - dep. 13/10/2015, P. , Rv. 264840 . 2.3. Nel caso in esame, come anticipato, i giudici di merito hanno accertato che l’opera, seppur potenzialmente mobile e precaria, era fissata al terreno attraverso tubi telescopi posizionati alla base del terreno ed era corredata, nella parte esterna, da una terrazza con parapetti e una pavimentazione in mattino, da ciò logicamente desumendo che era destinata a soddisfare esigenze abitative di carattere duraturo, come tra l’altro dimostrato dal fatto che dal momento dell’installazione de fabbricatol settembre 2014 fino al giugno 2015 la casa mobile era rimasta in maniera stabile e perdurante sul fondo dell’imputata. 3. Il primo motivo è manifestamente infondato. 3.1. La speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p. applicabile, ai sensi del comma 1, ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta - è configurabile in presenza di una duplice condizione, essendo congiuntamente richieste la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. Il primo dei due requisiti richiede, a sua volta, la specifica valutazione della modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 c.p., cui segue, in caso di vaglio positivo - e dunque nella sola ipotesi in cui si sia ritenuta la speciale tenuità dell’offesa -, la verifica della non abitualità del comportamento, che il legislatore esclude nel caso in cui l’autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. 3.2. Con riferimento, in particolare, alla speciale tenuità dell’offesa, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa che prenda in esame tutte le peculiarità della fattispecie concreta riferite alla condotta in termini di possibile disvalore e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto, che comunque ricorre senza distinzione tra reati di danni e reati di pericolo Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 - dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 266590 . 3.3. Nel caso in esame, la Corte territoriale, con apprezzamento fattuale logicamente motivato, ha correttamente negato la sussistenza dei presupposti integranti la causa di non punibilità in esame, per l’assorbente ragione che è stata esclusa la speciale tenuità dell’offesa in considerazione del tipo e delle dimensioni del manufatto, come sopra descritto. 4. Il terzo motivo è manifestamente infondato. 4.1. Va osservato che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p. non è perciò consentita la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. Peraltro, l’impegno motivazionale da parte del giudice è direttamente proporzionale all’entità della pena inflitta quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 c.p., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio. Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008 - dep. 15/09/2008, Bonarrigo e altri, Rv. 241189 . Di conseguenza, nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125 c.p.p., comma 3, anche ove adoperi espressioni come pena congrua , pena equa , congruo aumento , ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007 - dep. 03/09/2007, Ruggieri, Rv. 237402 . 4.2. Nel caso in esame, la Corte territoriale si è attenuta ai principi ora evocati, ribadendo il giudizio in ordine alla congruità della pena, peraltro inflitta in misura prossima al minimo edittale, con ciò dimostrando di aver valutato i criteri di cui all’art. 133 c.p 5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000 , alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.