MAE: il concetto di “residenza” ai fini del rifiuto della consegna

In tema di mandato di arresto europeo esecutivo, la Suprema Corte fornisce alcuni chiarimenti in relazione alla nozione di residenza” e all’accertamento dell’esistenza di un rischio di trattamento degradante negli istituti detentivi dello Stato richiedente, utili ai fini del rifiuto della consegna.

Questo il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 36464/19, depositata il 27 agosto. Il caso. La Corte d’Appello di Milano disponeva la consegna di un soggetto destinatario di un mandato d’arresto esecutivo disposto dall’autorità giudiziaria della Romania, per via di una sentenza di condanna definitiva emessa nei suoi confronti per i reati di guida senza patente e tentato omicidio. Avverso tale provvedimento, il difensore del destinatario del m.a.e. propone ricorso per cassazione, lamentando il fatto che la decisione sarebbe viziata per non avere considerato che il soggetto condannato fosse radicato stabilmente sul territorio nazionale, e contestando la decisione del Giudice di non rifiutare la consegna in ragione delle condizioni disumane e degradanti proprie delle carceri rumene. La nozione di residenza”. La Suprema Corte dichiara il ricorso infondato, richiamando il concetto di residenza” fatto proprio dalla giurisprudenza consolidata, che presuppone l’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali . Ribadito tale principio, gli Ermellini osservano che nel caso di specie la Corte d’Appello ha ritenuto mancanti i suddetti indici concorrenti, non essendo stata allegata una documentazione sufficiente al fine di ritenere sussistente un’attività lavorativa del ricorrente ed i suoi legami affettivi in Italia, decisione confermata in sede di legittimità. Il rifiuto della consegna. La Corte di Cassazione dichiara infondati anche gli altri motivi di ricorso, osservando che, in materia di mandato di arresto europeo esecutivo, il rifiuto della consegna ex art. 18, comma 1, lett. h , l. n. 69/2005, impone al giudice dello Stato di esecuzione di verificare se la persona soggetta al m.a.e. può in concreto essere sottoposta ad un trattamento inumano dopo aver accertato l’esistenza di un rischio generale di un trattamento di tal genere da parte dello Stato membro, in modo tale da richiedere a quest’ultimo le informazioni necessarie a tal fine. Ora, tenendo conto, da una parte, che la situazione carceraria dello Stato rumeno è oggettivamente cambiata, e, dall’altra, che esiste in capo al consegnando un onere di allegazione di elementi oggettivi e aggiornati relativamente alle condizioni detentive vigenti nello Stato richiedente ai fini dell’accertamento della condizione ostativa alla consegna, nel caso di specie gli Ermellini rilevano che non solo il ricorrente non ha allegato nulla in proposito, ma la questione non è stata nemmeno formalmente dedotta. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Penale Feriale, sentenza 22 – 27 agosto 2019, n. 36464 Presidente Costanzo – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1.La La Corte di appello di Milano ha disposto la consegna di S.V. , destinatario di un mandato di arresto esecutivo disposto dall’autorità giudiziaria di Romania, in ragione di una sentenza di condanna definitiva emessa per i reati, commessi il omissis , di guida senza patente e tentato omicidio. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l’avv. Angelo Agliata articolando tre motivi. 2.1. Con il primo si deduce violazione di legge in relazione alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18 lett. r , e vizio di motivazione la sentenza sarebbe viziata per non aver considerato che S.V. sarebbe un soggetto radicato stabilmente sul territorio nazionale, residente in Italia dal 2004, che vive nel comune di Vimodrone insieme alla di lui madre ed alla nonna. Il consegnando avrebbe a conseguito in Italia la licenza media inferiore ed avrebbe proseguito gli studi fino all’anno scolastico 2013/2014 b prestato attività lavorativa non regolarizzata presso la società Fed srl. c fornito assistenza e cura alla nonna invalida d documentato il diffuso ricorso al Servizio sanitario Nazionale e comprovato la volontà della famiglia di stabilirsi definitivamente in Italia, attraverso la produzione della richiesta di residenza in Italia da parte della di lui compagna. S. , si evidenzia, sarebbe stato nel frattempo formalmente assunto presso la società indicata il 26/06/2019 e sarebbe viziato il ragionamento della Corte di appello secondo cui, avendo la stessa data in cui fu eseguito l’arresto del ricorrente, il contratto sarebbe stato redatto per l’occasione si aggiunge che i reati sarebbero stati commessi in Romania in occasione dei viaggi del ricorrente legati al suo rapporto con l’attuale compagna, conosciuta nel 2011. 2.2. Con il secondo ed il terzo motivo si lamenta violazione di legge in relazione alla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. h in ragione delle permanenti condizioni delle carceri rumene, la Corte di appello avrebbe dovuto rifiutare la consegna, atteso il rischio per il ricorrente di essere sottoposto a condizioni carcerarie disumane e degradanti, o, quantomeno, assumere informazioni complementari alle autorità rumene. 3. Ha proposto ricorso per cassazione nell’interesse del consegnando anche l’avv. Stefano Cozzetto articolando due motivi. 3.1. Con il primo si deduce violazione di legge in relazione alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18 lett. r , e vizio di motivazione il motivo è strutturalmente sovrapponibile a quello già descritto nel ricorso del codifensore e si mette in evidenza, da una parte, come la Corte di appello avrebbe, in un procedimento analogo, riconosciuto il diritto del reo ad espiare la pena in Italia e, dall’altra, che i reati commessi in Romania non sarebbero rivelatori di legami con quel territorio. 3.2. Con il secondo motivo si lamenta la nullità della sentenza impugnata, attesa l’omessa indicazione dei requisiti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 6, lett. c -d -e - e art. 4, lett. a -b . La sentenza farebbe riferimento alle norme indicate solo in relazione alla sentenza con cui S. sarebbe stato condannato alla pena di sette anni ed un mese di reclusione per i reati di guida senza patente e tentato omicidio ma non anche per i reati e le sentenze per le quali è stata disposta la revoca della sospensione condizionale della pena. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato, ai limiti della inammissibilità. 2. Il primo motivo di entrambi i ricorsi è inammissibile. La giurisprudenza della Corte di cassazione è consolidata nel ritenere che la nozione di residenza , che viene in considerazione per l’applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla L. 24 aprile 2005, n. 69, presuppone l’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali, tra le altre, Sez. 6, n. 49992 del 30/10/2018, Aston, Rv. 274313 Sez. 6, n. 50386 del 25/11/2014, Batanas, Rv. 261375 in cui la Corte, con riferimento ad un m.a.e. esecutivo, ha ritenuto corretta la decisione impugnata la quale aveva escluso la sussistenza della condizione di residente in relazione ad un cittadino rumeno che, pur formalmente residente in Italia, vi aveva svolto solo saltuariamente attività lavorativa, nel contempo mantenendo significativi contatti e la sua residenza in Romania, nel cui territorio aveva commesso il reato oggetto della richiesta di consegna in epoca di molto successiva al suo formale insediamento in Italia . 3. La Corte di appello di Milano ha fatto corretta applicazione dei principi in questione e ha ritenuto mancanti gli indici concorrenti ai fini della integrazione della nozione di radicamento, non essendo stata documentata in maniera sufficiente la sussistenza di una attività lavorativa e di legami affettivi in Italia. A fronte della produzione di documentazione formale relativa alla residenza ed all’uso del servizio sanitario da parte di S. , non solo non è stata adeguatamente documentata l’attività lavorativa che, a dire del difensore, S. avrebbe prestato in Italia dopo il 2014, ma esistono in atti elementi oggettivi che inducono a ritenere che S. avesse rapporti stabili in Romania, tenuto conto del numero dei reati commessi in quello Stato, compreso quello per cui si procede, e della residenza in Romania della sua compagna. Nè appare irrilevante la circostanza che sia il contratto di lavoro prodotto, sia la dichiarazione, del tutto informale, di tale I.I. , cioè la compagna dei S. , di fare la residenza in Italia siano successivi all’arresto del ricorrente e, dunque, insufficienti. 4. Sono infondati anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso presentato dall’avv. Agliata. La Corte di cassazione ha in più occasioni chiarito, in tema di mandato di arresto Europeo c.d. esecutivo, che il motivo di rifiuto della consegna di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h , - che ricorre in caso di serio pericolo che la persona ricercata venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti - impone all’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione, secondo quanto chiarito dalla Corte di giustizia della Unione Europea sentenza 5 aprile 2016, C404/15, Aaranyosi e C 659/15, Caldararu , di verificare, dopo aver accertato l’esistenza di un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro, se, in concreto, la persona oggetto del m.a.e. potrà essere sottoposta ad un trattamento inumano, sicché a tal fine può essere richiesta allo Stato emittente qualsiasi informazione complementare necessaria, cfr., per tutte, Sez. 6, n. 23277 dell’1/06/2016, Barbu, Rv. 267296 in fattispecie in cui la Corte, in relazione alla situazione delle carceri della Romania, ha chiarito che, in conformità dei principi di mutuo riconoscimento, se dalle informazioni non venga escluso il rischio concreto di trattamento degradante, l’autorità giudiziaria deve rinviare la propria decisione sulla consegna fino a quando, entro un termine ragionevole, non ottenga notizie che le consentano di escludere la sussistenza del rischio . È necessario dunque che esista innanzitutto un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro. Come già affermato più volte da questa Corte Sez. F, n. 35554 dell’1/08/2019, Mogos, non mass Sez. 6, n. 7186 del 07/02/2018 Marius, non mass. Sez. 6, n. 7187 del 09/02/2018, Marius, non mass. Sez. 6, n. 18016 del 18/04/2018, Breaz, non mass. , la situazione carceraria nello Stato rumeno è tuttavia obiettivamente mutata e di tale cambiamento dà atto la presentazione il 25 gennaio 2018 di un action plan per contrastare tutti i gaps riscontrati dalla sentenza pilota della Corte EDU Rezmives ed altri c. Romania del 25 aprile 2017, che aveva condannato la Romania per le carenze strutturali delle condizioni di detenzione, ritenute in violazione dell’art. 3 CEDU, chiedendo la introduzione di misure generali per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario e delle pessime condizioni di detenzione . A fronte di tale mutata situazione rispetto a quella riscontrata dalle precedenti decisioni di organismi giudiziari sovranazionali e da plurime decisioni di legittimità in tema di m.a.e., assume rilievo il principio, anche questo affermato in molteplici occasioni da parte della Corte di cassazione, secondo cui ai fini dell’accertamento della condizione ostativa alla consegna incombe sul consegnando l’onere di allegare elementi oggettivi, precisi, attendibili e aggiornati in merito alle condizioni di detenzione vigenti nello Stato richiedente, idonei a fondare il timore che la sua consegna preluda a un trattamento incompatibile con i diritti fondamentali della persona Sez. 6, n. 11492 del 14/02/2019, Lia, Rv. 275166 Sez. & amp , n. 8529 del 13/01/2017, Fodorean, Rv. 269201 . Nel caso di specie, non solo non è stato allegato alcunché dal ricorrente davanti alla Corte di appello, ma la questione non è stata nemmeno formalmente dedotta solo con il ricorso per cassazione si è fatto riferimento al motivo di rifiuto in esame, allegando peraltro fonti informative generiche. Ne deriva l’infondatezza del motivo di ricorso per cassazione. 5. Inammissibile è il secondo motivo del ricorso presentato dall’avv. Cozzetto. Ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 6, comma 1, lett. f, il mandato d’arresto Europeo deve precisare la pena inflitta, se vi è una sentenza definitiva, ovvero, negli altri casi, pena minima e massima stabilita dalla legge dello Stato di emissione e che, ai sensi del successivo art. 16, qualora la corte di appello non ritenga sufficienti ai fini della decisione la documentazione e le informazioni trasmesse dallo Stato membro di emissione, può richiedere allo stesso, direttamente o per il tramite del Ministro della giustizia, le informazioni integrative occorrenti. Come precisato da Sez. 6, n. 40614 del 21/11/2006 Cc. - dep. 12/12/2006, Rv. 235514 - 01, in tema di mandato d’arresto Europeo, spetta all’autorità giudiziaria richiesta della consegna la valutazione se, in presenza di omissioni nelle informazioni prescritte dalla L. n. 69 del 2005, art. 6, la lacuna sia ostativa alla consegna, tenendo conto della concreta fattispecie penale dedotta e di ogni altra informazione trasmessa. Nel caso di specie, nella sentenza di condanna - quella in ragione della quale si è chiesta la consegna - sono stati indicati specificamente tutti provvedimenti per cui si è proceduto alla revoca della sospensione della pena e tutte le sentenze poste a fondamento della nuova determinazione del trattamento sanzionatorio. A fronte di tali dati obiettivi, correttamente valorizzati, nulla è stato dedotto davanti alla Corte di appello ed il motivo di ricorso per cassazione è strutturalmente generico. 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.