Cartella esattoriale: con l'annullamento viene meno il presupposto della misura cautelare?

L’annullamento per vizio formale della cartella di pagamento deciso mediante sentenza non definitiva all’esito di giudizio tributario, non esplica alcuna influenza sulla pretesa creditoria vantata dall’Amministrazione finanziaria.

Questa la decisione della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione n. 36309/19, depositata il 21 agosto. Il caso. Il Tribunale di Messina, nelle vesti di Giudice del riesame, rigettava l’appello proposto per conto dell’indagato contro l’ordinanza del GIP con la quale veniva respinta la richiesta di revoca, totale o parziale, del sequestro preventivo per equivalente. Tale misura era stata disposta in quanto l’impugnante, in qualità di legale rappresentante di una società, era indagato per il reato di omesso versamento dell’IVA. Avverso tale provvedimento, lo stesso propone ricorso per cassazione, censurando l’affermazione del Giudice per cui non era venuta meno la pretesa fiscale pur essendo stata annullata per vizio formale e con provvedimento non definitivo la cartella di pagamento, sostenendo che fossero, invece, venuti meno i presupposti della misura cautelare, ovvero il prezzo ed il profitto del reato. L’annullamento della cartella esattoriale. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, chiarendo che il profitto confiscabile anche per equivalente si individua nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia verso l’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase. Da ciò consegue che tale profitto non può configurarsi in caso di annullamento della cartella di pagamento all’esito di giudizio tributario e di correlato sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria. Ciò precisato, gli Ermellini evidenziano che il suddetto sgravio costituisce qualcosa di diverso rispetto all’annullamento della cartella esattoriale, considerando che esso proviene dallo stesso ente impositore che formalizza in questo modo la cancellazione della sua pretesa. Ora, tale sgravio non risulta essere intervenuto nel caso di specie, ove il ricorso deduce il venir meno del debito tributario dalla decisione della Commissione tributaria di annullamento della cartella esattoriale, non confrontandosi con il contenuto della decisione impugnata, la quale dava atto che l’annullamento era intervenuto a causa di un vizio formale del procedimento, non riversando ciò alcuna influenza sulla pretesa creditoria dell’Amministrazione finanziaria. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 giugno – 21 agosto 2019, n. 36309 Presidente Ramacci – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 5 novembre 2018 il Tribunale di Messina, quale Giudice del riesame delle misure cautelari reali, ha rigettato l’appello proposto per conto di R.F. , indagato per il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter in qualità di legale rappresentante della s.r.l. Sicilservice Cnd, nei confronti dell’ordinanza del 5 marzo 2018 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha rigettato la richiesta di revoca, totale o parziale, del sequestro preventivo per equivalente a suo tempo disposto fino a concorrenza di Euro 383.246,00. 2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione con un motivo di impugnazione. 2.1. In particolare, il ricorrente ha eccepito vizio di motivazione e violazione di legge, dal momento che andava censurata l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui non era venuta meno la pretesa fiscale ancorché fosse stata annullata, per vizio formale, la cartella di pagamento in esito a giudizio tributario. Al contrario, erano invece venuti meno il profitto ed il prezzo del reato, e quindi il presupposto della misura cautelare. 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è inammissibile. 4.1. In relazione al motivo d’impugnazione proposto, è stato correttamente rilevato ad es. che il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della Commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di sgravio da parte dell’Amministrazione finanziaria Sez. 3, n. 39187 del 02/07/2015, Lombardi Stronati, Rv. 264789 . Siffatto sgravio, infatti, renderebbe privo di qualsiasi giustificazione allo stato secondo la peculiare natura del giudizio cautelare, necessariamente rebus sic stantibus il mantenimento del sequestro in assenza di qualsivoglia attuale pretesa erariale, sembrando non esservi infatti nell’attualità nulla da salvaguardare a seguito non solo dell’annullamento degli avvisi di accertamento ma anche del conseguente provvedimento di sgravio del debito tributario, ciò che manifesterebbe l’assenza, appunto, attuale, di pretese erariali, rendendo quindi illegittimo il sequestro funzionale alla confisca per equivalente di un profitto, in atto, inesistente così, in motivazione, Sez. 3 n. 39187 cit. . È noto, al riguardo, che lo sgravio è qualcosa di completamente diverso dall’annullamento della cartella da parte di un giudice o dello stesso agente della riscossione, dal momento che esso proviene dall’ente impositore il quale, in tal modo, formalizza la cancellazione della propria pretesa. Il provvedimento di sgravio fiscale emesso dall’Agenzia delle Entrate ha invero natura di atto pubblico fidefacente, ed è costitutivo dell’effetto di estinzione del debito erariale Sez. 5, n. 34912 del 07/03/2016, Machì, Rv. 267832 . In specie, esso non risulta essere intervenuto. 4.1.1. Ciò posto, il ricorso, che invece deduce il venire meno della pretesa tributaria traendo spunto dalla decisione della Commissione tributaria di Messina, la quale aveva annullato la cartella di pagamento anche relativamente all’imposta sul valore aggiunto non versata per l’anno 2013, non si confronta col contenuto del provvedimento impugnato. In proposito infatti era stato dato atto che l’annullamento era intervenuto per un vizio formale del procedimento, e che ciò non esplicava appunto influenza sulla pretesa creditoria dell’Amministrazione finanziaria. 4.1.2. La considerazione si presenta del tutto assorbente, e rende manifestamente infondata l’impugnazione. 5. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.