Sanatoria edilizia: le domande presentate per le singole unità dell’immobile fanno capo ad un’unica concessione

In tema di condono edilizio, per l’individuazione dei limiti concernenti la concedibilità della sanatoria, le eventuali domande presentate per le singole unità che compongono l’edificio devono riferirsi ad un’unica concessione in sanatoria, al fine di evitare l’elusione dei limiti imposti dalla legge.

Questo il principio richiamato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 36251/19, depositata il 20 agosto. La vicenda. La Corte d’Appello di Napoli dichiarava l’inammissibilità della richiesta di revoca dell’ordine di demolizione di un manufatto verso il quale era stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna nei confronti dell’imputato, considerando la richiesta come impugnativa dell’ordinanza di rigetto della stessa istanza già pronunciata dal medesimo ufficio. Avverso tale provvedimento, gli istanti propongono ricorso per cassazione, contestando la ritenuta duplicazione della richiesta. La concedibilità della sanatoria. La Suprema Corte dichiara inammissibili i ricorsi, osservando come, al di là della confermata reiterazione delle istanze, comunque esse debbano considerarsi manifestamente infondate, considerando che l’elusione dei limiti volumetrici imposti dalla legge mediante la presentazione di più richieste di concessione in sanatoria riferite allo stesso immobile oggetto di ordine di demolizione non possa superarsi per il semplice fatto che la costruzione sia suddivisa in più unità autonome, dovendo la loro cubatura essere considerata in relazione al limite massimo previsto dalla legge per l’intera costruzione di cui quella porzione fa parte. Ciò affermato, la Corte ribadisce il principio in base al quale in materia di condono edilizio disciplinato dalla l. n. 724/1994, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell’intero complesso . In ossequio al principio appena richiamato, gli Ermellini dichiarano i ricorsi inammissibili e condannano i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000 a favore della Cassa delle Ammende.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 maggio – 20 agosto 2019, n. 36251 Presidente Andreazza – Relatore Galterio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 22.10.2018 la Corte di Appello di Napoli, adita in sede di esecuzione, ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di revoca dell’ordine di demolizione reso dalla Procura Generale presso la stessa Corte di Appello di un manufatto per il quale era stata pronunciata dal Pretore di Torre Annunziata sentenza irrevocabile di condanna nei confronti di L.A. , sul rilievo che la richiesta svolta fosse da qualificare, alla luce del suo contenuto, come impugnativa dell’ordinanza di rigetto della medesima istanza già pronunciata dallo stesso ufficio in data 31.5.2017, onde l’unico rimedio avverso ci la stessa esperibile era il ricorso per Cassazione come previsto dall’art. 666 c.p.p 2. Avverso il suddetto provvedimento gli istanti hanno proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando un unico motivo con il quale contestano che la richiesta avanzata sia una duplicazione di quella già proposta. Deducono che,mentre nella prima istanza,veniva richiesta la revoca dell’ordine di demolizione stante la conseguita autorizzazione in sanatoria ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 35, respinta dal giudice adito sul rilievo, palesemente erroneo, che la volumetria dell’immobile fosse superiore ai 750 mc e che P.A. fosse l’unico proprietario dell’intero edificio, con il successivo incidente di esecuzione veniva invece rappresentato, ricostruendo puntualmente l’excursus del condono, come l’immobile si componesse di un piano seminterrato, di un piano terra e di un primo piano, costituenti ognuno un’unità indipendente ed autonoma dalle altre non eccedente singolarmente i 750 mc in conformità a quanto previsto dalla L. n. 47 del 1985 e come le cinque istanze di condono provenissero dai legittimati, essendo P.A. il nudo proprietario e L.A. l’usufruttuaria del terreno su cui è stato edificato il fabbricato, ed avendo M.A. , moglie del P. , presentato la relativa istanza per conto del figlio P.G. , all’epoca minore ed attualmente residente in una delle suddette unità abitative. Considerato in diritto I ricorsi non possono ritenersi ammissibili non valendo le censure svolte a superare la valutazione resa dalla Corte partenopea in ordine all’identità delle questioni già sottoposte al suo esame con il precedente incidente di esecuzione definito con l’ordinanza pronunciata in data 13.6.2017. Risulta infatti dalla disamina della presente impugnativa come le questioni devolute all’attenzione del giudicante concernessero, ancora una volta, la concessione in sanatoria ottenuta a seguito di domanda di condono inoltrata al Comune ai sensi della L. n. 724 del 1994, che la Corte distrettuale, già pronunciatasi in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva di ritenuto di disapplicare reputandone l’illegittimità. Le doglianze articolate al riguardo devono in ogni caso, alla luce delle corrette argomentazioni sviluppate nel provvedimento impugnato, ritenersi manifestamente infondate. L’elusione dei limiti volumetrici imposti dalla normativa citata attraverso la presentazione di plurime istanze di concessione in sanatoria, nella specie sei, riferite all’unico immobile oggetto dell’ordine di demolizione, non è superata dal fatto che la stessa costruzione, avente una volumetria complessiva di 1.800 mc. sia in concreto suddivisa in più unità abitative, autonome tra loro, dovendo la loro cubatura essere considerata rispetto al limite massimo consentito dalla legge per l’intero edificio di cui quella singola porzione faccia parte non basta quindi che la singola unità non ecceda i 750 mc., ma occorre che, globalmente considerato, l’intero edificio che ospita quelle singole unità non superi quei limiti massimi. Nè le quanto mai generiche deduzioni in ordine ad un atto di donazione e contestuale divisione dell’edificio chiariscono, nulla venendo specificato sulla volumetria delle singole unità nè sul loro numero, nè sui singoli titolari, la legittimità dell’operazione di frazionamento e la conseguente legittimazione dei richiedenti le singole istanze di condono. Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, l’eventuale rilascio della concessione in sanatoria non implica in modo automatico il venir meno dell’ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna, in quanto, in caso contrario si finirebbe per svuotare di contenuto il compito di controllo demandato al giudice, vanificandosi il principio di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo, la cui osservanza è, invece, essenziale al fine di garantire la più efficace tutela dell’interesse protetto. Il giudice dell’esecuzione ha, pertanto, il dovere di controllare la legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio in termini Sez. 3^ 28.9.2010 n. 40475, Ventrici, Rv. 249306 idem, 16.11.05, n. 46831, Vuocolo, Rv. 232642 . Nell’ambito di tale doveroso potere di controllo è, dunque, riconosciuto al giudice il compito di verificare in base a quali presupposti sia stato emanato il provvedimento concessorio e se questo risponda ai requisiti richiesti, fra i quali va considerata, nella ipotesi di un fabbricato suddiviso in plurime ed autonome unità abitative, la volumetria complessiva, da calcolarsi, ai fini della verifica di condonabilità unitariamente e non per frazioni di edificio, in quanto, se così accadesse, si eluderebbe la finalità della legge che era ed è quella di sanare abusi modesti. In evenienze analoghe la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha affermato il principio secondo il quale In materia di condono edilizio disciplinato dalla L. 24 novembre 1994, n. 724, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell’intero complesso Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013 - dep. 17/03/2014, Cantiello, Rv. 259292 Sez. 3, n. 20420 del 08/04/2015 - dep. 18/05/2015, Esposito, Rv. 263639 . I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara i ricorsi inammissibili e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.