Mille euro per donare i gameti: tutti assolti ma il processo è da rifare

Costituisce reato ogni condotta diretta alla produzione e circolazione non gratuita di gameti umani, cioè ogni cessione retribuita in rapporto sinallagmatico con la loro immissione nel mercato in violazione del divieto di mercificazione della fecondazione eterologa.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, con la sentenza n. 36221 depositata il 19 agosto 2019. La boutique dei gameti. Leggendo le pagine della sentenza che, in questa torrida giornata d’agosto ci accingiamo a commentare, viene da osservare innanzitutto che nella innocenza degli imputati non credeva molto nemmeno la difesa. Due persone venivano tratte a giudizio per rispondere di associazione per delinquere finalizzata alla raccolta e commercializzazione di gameti umani, da destinare alla pratica della fecondazione eterologa. Le donatrici venivano reclutate – grazie alla collaborazione tra strutture sanitarie estere - e indennizzate con una somma di circa mille euro per ogni donazione degli ovociti. Gli imputati, all’udienza preliminare, optavano per il patteggiamento, ma il GUP riservava loro una splendida sorpresa assoluzione per evidente carenza della prova di sussistenza del reato, non essendo possibile procedere a fecondazione eterologa senza commerciare” i gameti. Vi sarebbe stata, nel sistema penale che oggi riconosce la legittimità della PMA eterologa, una abrogazione implicita della norma che punisce la condotta di cessione del materiale biologico che funge da materia prima”. Rimane, poi, il dubbio sulla natura retributiva di quei mille euro prezzo o indennizzo per il disagio derivante dalla donazione? A questo punto, si sono aperti, su un tema che da sempre divide coscienze ed opinioni, due problemi uno processuale e l’altro di diritto sostanziale. Proscioglimento dopo il patteggiamento che fare? Il primo problema che la Suprema Corte si trova a dover risolvere è quello della ammissibilità del ricorso per cassazione per violazione della legge penale, proposto dal PM nei confronti della sentenza assolutoria emessa dopo la richiesta di applicazione della pena. La riforma Orlando ha circoscritto la ricorribilità per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento al solo caso in cui venga sollevata questione relativa alla volontà dell’imputato ovvero alla qualificazione del fatto. Ed è proprio a quest’ultimo motivo che la Procura aggancia il proprio ricorso per cassazione, ritenendo che l’aver dubitato della natura onerosa della cessione dei gameti sia equivalsa a non sussumere correttamente il fatto sotto la fattispecie che punisce la commercializzazione dei gameti in vista della PMA. Gli Ermellini ritengono ammissibile l’impugnazione con un ragionamento molto sofisticato la sentenza di proscioglimento o assoluzione in risposta ad una richiesta di patteggiamento si pone al di fuori della categoria concettuale della sentenza di applicazione pena e, come tale, è impugnabile con ricorso per cassazione tout court. La cessione dei gameti è lecita soltanto se gratuita e volontaria. L’altro aspetto, di natura sostanziale, attiene alla latitudine applicativa della norma che punisce il commercio dei gameti per procedere alla PMA. Il tema, per le rilevanti implicazioni bioetiche, giuridiche e persino religiose, è davvero scottante, e addentrarsi nelle problematiche che esso suscita è rilassante e sicuro come pattinare in un campo minato. Per brevità, ci limitiamo a dire che la stessa PMA eterologa è stata sdoganata grazie ad un intervento della Consulta risalente al 2014. Il sistema penale posto a protezione di questo sistema normativo mira ad impedire che possano mercificarsi le attività di raccolta e cessione dei gameti, ritenute lecite soltanto se rientranti nello schema operativo della donazione. Questo principio, appartenente alla normativa europea e nazionale, lascia irrisolto il dubbio se sia lecito anche il semplice indennizzo giustificato dagli inconvenienti che il donatore può incontrare per cedere gli ovociti. La disciplina europea, in linea di principio, non vieta l’indennizzo ma la normativa nazionale nulla dice in proposito su questo semplicissimo assunto gli Ermellini pongono le basi della decisione di annullamento senza rinvio. Tutto da rifare, quindi, per i due imputati.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 giugno – 19 agosto 2019, n. 36221 Presidente Lapalorcia – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Milano ricorre per l’annullamento della sentenza, emessa dal Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Milano, ai sensi degli artt. 444, 129 c.p.p., con la quale ha assolto, nell’udienza preliminare, M.M. e B.B. dai reati loro ascritti ai capi 1 e 2 della richiesta di rinvio a giudizio perché il fatto non sussiste. 1.1 M.M. e B.B. , tramite il loro difensore di fiducia, munito di procura speciale, avevano avanzato, all’udienza preliminare, richiesta di applicazione di pena, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., nella misura finale di anni uno di reclusione, subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena, per il reato di cui all’art. 416 c.p., commi 1 e 2, in relazione alla L. 19 febbraio 2004, n. 40, art. 12, comma 6, art. 646 c.p., perché sfruttando le strutture della clinica omissis , si associavano tra loro e con A.S. , Mi.Pi. , Mi.Te.Va. , Ba.Br. e altri e con altri soggetti operanti presso strutture sanitarie estere, allo scopo di commercializzare gameti umani attività consistita segnatamente, nell’acquisto degli stessi dalle cliniche estere omissis e omissis , ovvero da donatrici appositamente procacciate allo scopo e pagate circa Euro 1.000,00, e nella successiva rivendita degli stessi gameti alle coppie che si rivolgevano presso la clinica . , per effettuare tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologe, prezzo pagato mediante un aumento del costo delle prestazioni sanitarie nell’agire come intermediari tra le citate cliniche straniere e le coppie richiedenti la PMA eterologo per l’acquisto di ovociti al prezzo medio di circa Euro 500,00 per ovocita, indirizzando direttamente le coppie ad effettuare il bonifico alla clinica estera per il pagamento e poi il trasferimento nella clinica nel reclutamento di donatrici disposte a sottoporsi a cure ormonali a fini di successiva donazione in cambio di una retribuzione, e nell’appropriarsi di materiale biologico nella disponibilità della clinica capo A , nonché per il reato di cui alla L. 19 febbraio 2004, n. 40, art. 12, comma 6, perché, mediante le condotte descritte nel capo A , realizzavano attività di commercio di gameti. In almeno da omissis . 2. A sostegno dell’impugnazione, il ricorrente deduce, con un unico e articolato motivo, la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , in relazione all’erronea applicazione della L. 19 febbraio 2004, n. 40, art. 12, comma 6, e il correlato vizio di motivazione per la illogicità e contraddittorietà della stessa. Argomenta il ricorrente l’erronea applicazione della legge penale, segnatamente della L. 19 febbraio 2004, n. 40, art. 12, comma 6, laddove il Giudice avrebbe escluso l’astratta configurabilità del reato nella ipotesi di fecondazione eterologa, perché, senza commercio degli ovociti, questa non sarebbe praticabile. Seguendo l’interpretazione del giudice milanese si perverrebbe, in definitiva, a ritenere una abrogazione implicita della norma penale in presenza di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Secondo il Pubblico Ministero ricorrente, si tratterebbe di una interpretazione errata perché non conforme al dato normativo e, comunque, connotata da illogicità e contraddittorietà nella misura in cui, da un lato, si definisce la nozione di commercio come attività economica volta al trasferimento di beni dal produttore al consumatore dietro corrispettivo, e, dall’altro, si nega tale nozione all’attività concretamente svolta dagli imputati in presenza di trasferimento di gameti per la procreazione medicalmente assistita di tipo eterologa dietro corrispettivo. Quanto al profilo della violazione di legge, ricorda, il ricorrente, che direttiva 2004/23/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa, del 31 marzo 2004, sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, all’art. 12 prevede la gratuità e volontarietà della donazione dei tessuti e cellule umane, e precisa, al comma 2, che i donatori possono solo ricevere una indennità strettamente limitata a far fronte alle spese e inconvenienti risultanti dalla donazione. In tal caso gli Stati membri stabiliscono le condizioni alle quali viene concessa l’indennità . Consegue, secondo l’argomentazione del ricorrente, che nessuna norma interna, né sovranazionale permette di ritenere legittimo lo scambio di gameti verso corrispettivo, e, ancor meno, l’organizzazione degli scambi in forma commerciale, potendo solo il donatore ricevere il rimborso delle spese vive. Il legislatore italiano, già nel vigore della L. 19 febbraio 2004, n. 40, che vieta, all’art. 12 comma 6, la commercializzazione di gameti, e poi successivamente, con il D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 191, attuazione della direttiva n. 23 del 2004, non ha previsto alcuna forma di ristoro, di talché, ritenendo, al più, applicabili i principi per la donazione del midollo osseo L. n. 62 del 2011 , sarebbe unicamente conservabile la retribuzione prevista per le giornate lavorative perse. Dunque, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, sussisterebbe, nel caso in esame, il reato di commercio di gameti in presenza di un’attività organizzata di compravendita di materiale biologico o diretta comunque a favorirne gli scambi. Chiede l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata. 3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza. Ha rilevato, in primo luogo, l’ammissibilità dell’impugnazione del Procuratore di Milano che, nella deduzione del vizio di motivazione e violazione di legge, ha espressamente contestato la qualificazione giuridica, sicché l’impugnazione è ammissibile ex art. 448 c.p.p., comma 2 bis. Nel merito, ritiene il ricorso fondato in quanto il Giudice avrebbe erroneamente ritenuto irrilevanti le attività lucrative oggetto di contestazione, facendo uso di un livello di approfondimento valutativo incompatibile e non coerente con il rito del patteggiando, e, sotto questo profilo, la sentenza sarebbe, finanche, abnorme. 4. Il difensore di M.M. ha depositato memoria scritta, in data 20 maggio 2019, e successiva memoria di replica alle deduzioni del Procuratore generale, con cui ha chiesto che il ricorso del Pubblico Ministero sia dichiarato inammissibile o rigettato. La motivazione della sentenza sarebbe logica e coerente tenuto conto del quadro normativo nazionale e sovranazionale, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2014, giacché la procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo presuppone il trasferimento dei gameti, che hanno costi consistenti e difficilmente definibili in assenza di disposizione sul punto, e considerato che i centri italiani di PMA possono importare gameti ed embrioni, purché non avvenga dietro corrispettivo e potendo riconoscere un’indennità a copertura delle spese di trasferimento. La difficoltà di distinguere il corrispettivo dall’indennizzo ha indotto il Giudice milanese ad escludere la fattispecie di reato. Dall’insussistenza del capo B , ha conseguentemente tratto l’insussistenza del capo A Dunque, la motivazione è corretta in diritto e logicamente argomentata. In replica alle deduzioni del Procuratore generale, ha rilevato l’inammissibilità dell’impugnazione ex art. 448 c.p.p., comma 2 bis, non ricorrendo una diversa qualificazione giuridica, e ha dedotto la manifesta infondatezza della abnormità della sentenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso del Procuratore di Milano è fondato in forza delle seguenti argomentazioni. 2. Va, in primo luogo, vagliata l’ammissibilità del ricorso per cassazione del Pubblico Ministero di Milano, avverso la sentenza emessa, ai sensi dell’art. 444 e 129 c.p.p., di proscioglimento per insussistenza del fatto, oggetto di specifica devoluzione da parte del Procuratore generale, nella requisitoria scritta, e dalla difesa di M.M. . 2.1. A tale riguardo deve, anzi tutto, essere esclusa l’abnormità della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Milano di proscioglimento delle imputate, dovendosi escludere che esorbiti dalle proprie attribuzioni il giudice per le indagini preliminari il quale, a fronte di una richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato, con il consenso del P.M., giunga, sulla base di approfondita motivazione, alla decisione di non accogliere la detta richiesta e di prosciogliere, invece, il prevenuto con formula ampiamente liberatoria Sez. 4, n. 1358 del 26/11/1993, P.M. in proc. Scacco, Rv. 196507 01 Sez. 4, n. 1359 del 26/11/1993, P.G. e P.M. in proc. Pica . Ancora in tempi più recenti, si è specificato che non è consentito pronunciare prima del dibattimento sentenza di proscioglimento o di assoluzione ex art. 129 c.p.p. solo per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova desumibile dal fascicolo del pubblico ministero, ma ciò con esclusione della ipotesi in cui la mancanza di prova sia irreversibile Sez. 2, n. 6095 del 09/01/2009, Cusimano, in motivazione . In altre parole, il divieto di pronunciare prima del dibattimento sentenza di proscioglimento o di assoluzione ex art. 129 c.p.p. non opera qualora si versi in ipotesi di assoluta ed irreversibile assenza di un qualsiasi elemento di prova del fatto illecito e della responsabilità dell’imputato, ossia in una situazione probatoria che non possa essere sviluppata nel dibattimento. Difatti, in presenza di insussistenza del fatto, la necessità della pronuncia di assoluzione deve farsi dipendere dai principi generali che regolano l’istituto della applicazione di pena su istanza di parte, con i quali sarebbe logicamente in contrasto un provvedimento di applicazione di pena svincolato dalla astratta possibilità di accertamento della responsabilità penale dell’imputato senza tradire la causa stessa del patto sulla pena, che è quella della astratta possibilità, e quindi del rischio, di un accertamento della responsabilità penale e di una conseguente più rigorosa condanna Sez. 3, n. 28971 del 07/06/2012, P.G. in proc. Capobianco, Rv. 253148 - 01 Sez. 2, n. 2076, del 28/10/2003, n. 2076, P.G. in proc. Rallo, in motivazione . 2.2. L’esclusione di profili di abnormità non risolve ancora il tema della verifica dell’ammissibilità dell’impugnazione, dovendosi valutare, dapprima, se la sentenza così emessa sia ricorribile con il mezzo di impugnazione proposto ricorso per cassazione e, poi, se siano denunciati, con essa, motivi consentiti dalla legge, situazione che dipende dalla natura della sentenza di proscioglimento emessa in sede di richiesta di ratifica di accordo ex art. 444 c.p.p Sotto il primo profilo, questa Corte di legittimità ha affermato che la sentenza di proscioglimento emessa, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., all’esito dell’esame della concorde istanza delle parti di applicazione della pena, è impugnabile esclusivamente con ricorso per cassazione, atteso che, in tal caso, l’esito del proscioglimento è strettamente correlato alla fisionomia tipica del rito, e deve ritenersi ricompreso negli altri casi di inappellabilità indicati dall’art. 448 c.p.p., comma 2 Sez. 6, n. 14580 del 02/02/2017, P.G., P.M. in proc. Narduzzi, Rv. 269535 - 01 Sez. 1, n. 37575 del 18/03/2014, P.M. in proc. Yordanov, Rv. 260803 - 01 . Ora l’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 50, ha limitato il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 444 c.p.p., unicamente per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra accusa e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza. Il Procuratore generale sostiene l’ammissibilità del ricorso per cassazione per erronea qualificazione giuridica del fatto, argomento avversato dalla difesa della M. che ha escluso che si versi in un caso di errata qualificazione giuridica del fatto, da cui ha tratto la conclusione della inammissibilità dell’impugnazione. La questione deve, a parere del Collegio, essere diversamente impostata. Ritiene, il Collegio, che il limite alla denuncia dei motivi, come previsto dall’art. 448 c.p.p., comma 2 bis non trovi applicazione alle sentenze di proscioglimento, emesse ai sensi dell’art. 129 c.p.p., pronunciate a fronte di una richiesta congiunta di applicazione di pena. In primo luogo, occorre osservare che alla pronuncia di proscioglimento, in questi casi, il giudice perviene all’esito di una valutazione approfondita del merito, e quanto al caso in esame, ha prosciolto le imputate ritenendo l’insussistenza del fatto. Tale pronuncia deve essere assimilata ad una pronuncia ex art. 129 c.p.p. tout court, pur se emessa a seguito della richiesta di applicazione di pena, richiesta che non preclude, come si è visto vedi par. 2.1. , al giudice la possibilità di pronunciare legittimamente una sentenza di proscioglimento nel merito. Non si deve, al riguardo, confondere il distinto piano dell’obbligo di motivazione dell’insussistenza delle cause di non punibilità, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., che, nel caso di sentenza di accoglimento dell’accordo proposto dalle parti, è adempiuto, secondo giurisprudenza consolidata, dalla indicazione dell’insussistenza di evidenza di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p La sentenza di proscioglimento, emessa ai sensi dell’art. 129 c.p.p., pronunciata a seguito di richiesta di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., è pienamente assimilabile, quanto ai motivi di ricorso, ad una sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio di merito, essendo entrambe emesse all’esito di un vaglio di merito. Tale conclusione trova radici nel risalente arresto a S.U. del 1992 secondo cui la motivazione della sentenza, che applica la pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p., comma 2, si esaurisce in una delibazione ad un tempo positiva e negativa. Positiva quanto all’accertamento 1 della sussistenza dell’accordo delle parti sull’applicazione di una determinata pena 2 della correttezza della qualificazione giuridica del fatto nonché della applicazione e della comparazione delle eventuali circostanze 3 della congruità della pena patteggiata, ai fini e nei limiti di cui all’art. 27 Cost., comma 3 4 della concedibilità della sospensione condizionale della pena te delibazioni positive che debbono essere necessariamente sorrette dalla concisa esposizione dei relativi motivi di fatto e di diritto mentre, per quanto riguarda il giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna delle ipotesi previste dall’art. 129 c.p.p., l’obbligo di una specifica motivazione sussiste, per la natura stessa della delibazione, soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti risultino elementi concreti in ordine alla non ricorrenza delle suindicate ipotesi. In caso contrario, è sufficiente la semplice enunciazione, anche implicita, di aver effettuato, con esito negativo, la verifica richiesta dalla legge e cioè che non ricorrono gli estremi per la pronuncia di sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, Di Benedetto, Rv. 191135 . All’indirizzo espresso da tale arresto, che mantiene validità anche a seguito della modifica legislativa al sistema delle impugnazioni, consegue che, allorquando il Giudice, a seguito di una verifica a tutto campo della fondatezza dell’accusa perviene a ritenere l’insussistenza del fatto, la sua sentenza si pone al di fuori dei parametri di quella ex art. 444 c.p.p., sicché è impugnabile, con il ricorso per cassazione, per tutti i vizi ex art. 606 c.p.p., restando esclusa la limitazione ai motivi, indicati dall’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, che valgono solo per la sentenza che, su concorde richiesta delle parti, applica la pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p Tale conclusione si desume sia dal fatto che la norma processuale si occupa solo di tale ipotesi, sia dal fatto che la delimitazione dei motivi di impugnazione risulta compatibile con il sistema processuale e con i principi costituzionali, solo in relazione ad una sentenza che si fonda e ratifica quanto ha costituito oggetto dell’accordo processuale e dunque solo in relazione alla sentenza che ha applicato la pena su concorde richiesta delle parti. La soluzione interpretativa che ponesse limiti alla ricorribilità per cassazione non solo in assoluto, ma anche circoscrivendo le possibili violazioni di legge deducibili al di fuori di qualunque accordo processuale, solleverebbe dubbi di compatibilità in relazione all’art. 111 Cost 2.3. Tirando le fila del discorso, l’art. 448 c.p.p., comma 2 bis enuncia i motivi di ricorso avverso la sentenza di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., e non trova applicazione nei casi nei quali, il giudice, investito della richiesta di applicazione di pena, abbia, all’esito di una valutazione approfondita del merito, pronunciato sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., sentenza, quest’ultima, che è ricorribile per cassazione per tutti i motivi enunciati dall’art. 606 c.p.p 3. Nel merito, il ricorso del Procuratore di Milano è fondato. È fondata la violazione della legge penale L. n. 40 del 2004, art. 12 comma 6, nell’interpretazione data dal Giudice milanese nella sentenza impugnata. Occorre muovere dall’esegesi della L. n. 40 del 2004, art. 12 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita , e, in tale ambito, viene in rilievo l’apparato sanzionatorio penale contenuto nell’art. 12, comma 6, che punisce 6. Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di Euro . La volontà legislativa, che sottendeva e permeava la prima disciplina organica in questa materia, di circoscrivere fortemente l’ambito della procreazione medicalmente assistita, si completava con la previsione di un sistema sanzionatorio amministrativo e penale diretto a sanzionare la mercificazione della procreazione medesima. E in tale ambito, la commercializzazione dei gameti era e, come si vedrà, è vietata, in quanto forma di mercificazione della procreazione assistita, strumentale alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo che, prima del 2014, era vietata. Come è noto, la L. n. 40 del 2004 è stata oggetto di ripetuti interventi da parte del Giudice delle leggi e, per quanto di rilievo in ragione dei motivi di ricorso, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 162 del 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 19 febbraio 2004, n. 40, art. 4, comma 3, nella parte in cui stabilisce, per la coppia di cui all’art. 5, comma 1, della medesima legge, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili. Quanto al profilo della disciplina sanzionatoria, all’esito della pronuncia che ha eliminato il divieto di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, la stessa Corte costituzionale ha chiarito al par. 11.1. che La ritenuta fondatezza delle censure non determina incertezze in ordine all’identificazione dei casi nei quali è legittimo il ricorso alla tecnica in oggetto. L’accoglimento delle questioni, in coerenza con il petitum formulato dai rimettenti, comporta, infatti, l’illegittimità del divieto in esame, esclusivamente in riferimento al caso in cui sia stata accertata l’esistenza di una patologia che sia causa irreversibile di sterilità o infertilità assolute. In particolare, secondo quanto stabilito dalla L. n. 40 del 2004, art. 1, comma 2, e art. 4, comma 1, all’evidenza direttamente riferibili anche alla PMA di tipo eterologo, il ricorso alla stessa, una volta dichiarato illegittimo il censurato divieto, deve ritenersi consentito solo qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità e sia stato accertato il carattere assoluto delle stesse, dovendo siffatte circostanze essere documentate da atto medico e da questo certificate. Il ricorso a questa tecnica, non diversamente da quella di tipo omologo, deve, inoltre, osservare i principi di gradualità e del consenso informato stabiliti dal citato art. 4, comma 2 . Ed ancora ha precisato che Nessuna lacuna sussiste in ordine ai requisiti soggettivi, poiché la dichiarata illegittimità del divieto non incide sulla previsione recata dall’art. 5, comma 1, di detta legge, che risulta ovviamente applicabile alla PMA di tipo eterologo come già a quella di tipo omologo quindi, alla stessa possono fare ricorso esclusivamente le coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi . Ad analoga conclusione deve pervenirsi quanto alla disciplina del consenso, dato che la completa regolamentazione stabilita dalla L. n. 40 del 2004, art. 6 - una volta venuto meno, nei limiti sopra precisati, il censurato divieto - riguarda evidentemente anche la tecnica in esame, in quanto costituisce una particolare metodica di PMA. È, inoltre, parimenti chiaro che la L. n. 40 del 2004, art. 7, il quale offre base giuridica alle Linee guida emanate dal Ministro della salute, contenenti l’indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita , avendo ad oggetto le direttive che devono essere emanate per l’esecuzione della disciplina e concernendo il genus PMA, di cui quella di tipo eterologo costituisce una species, è, all’evidenza, riferibile anche a questa, come lo sono altresì gli artt. 10 ed 11, in tema di individuazione delle strutture autorizzate a praticare la procreazione medicalmente assistita e di documentazione dei relativi interventi . Ma ha, soprattutto, chiarito che Siffatta considerazione permette, poi, di ritenere che le norme di divieto e sanzione non censurate le quali conservano validità ed efficacia , preordinate a garantire l’osservanza delle disposizioni in materia di requisiti soggettivi, modalità di espressione del consenso e documentazione medica necessaria ai fini della diagnosi della patologia e della praticabilità della tecnica, nonché a garantire il rispetto delle prescrizioni concernenti le modalità di svolgimento della PMA ed a vietare la commercializzazione di gameti ed embrioni e la surrogazione di maternità L. n. 40 del 2004, art. 12, commi da 2 a 10 , sono applicabili direttamente e non in via d’interpretazione estensiva a quella di tipo eterologo, così come lo sono le ulteriori norme, nelle parti non incise da pronunce di questa Corte Corte costituzionale n. 162 del 2014 . Si è già visto come la sanzione per la commercializzazione dei gameti, di cui alla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, nell’originaria previsione del 2004, era coerente con l’illiceità della fecondazione eterologa, il cui divieto si perfezionava con la disposizione della sanzione penale per la commercializzazione dei gameti che costituiva lo strumento necessario per la pratica di fecondazione vietata. Ora la Corte costituzionale ha eliminato il divieto e ha affermato che la fecondazione di tipo eterologo è un diritto costituzionale par.6 espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come questa Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso, è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare , ma ha poi ribadito che la sanzione penale rimane applicabile perché permane il divieto di commercializzazione di gameti. Dunque, la condotta vietata come delineata dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, deve essere interpretata, con riferimento al divieto di commercializzazione di gameti, alla luce della praticabilità e liceità di tale tipo di fecondazione, che implica necessariamente il trasferimento di gameti da un soggetto donatore. 4. Per l’individuazione del perimetro entro il quale ricondurre la condotta penalmente illecita, ritiene, il Collegio, di poter richiamare i principi della direttiva 2004/23/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, che all’art. 12 prevede la gratuità e volontarietà della donazione dei tessuti e cellule umane, e precisa, al comma 2, che i donatori possono solo ricevere una indennità strettamente limitata a far fronte alle spese e inconvenienti risultanti dalla donazione. In tal caso gli Stati membri stabiliscono le condizioni alle quali viene concessa l’indennità . La direttiva è stata attuata con il D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 191 Attuazione della direttiva 2004/23/CE sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani , che però non ha apportato modificazioni, nella parte di interesse, alla L. del 2004 all’art. 2 comma 3 si legge 3. Alle cellule riproduttive, ai tessuti e alle cellule fetali e alle cellule staminali embrionali, si applicano le disposizioni vigenti in materia. Per la conservazione si applicano le disposizioni di cui al presente decreto in quanto compatibili . Va, tuttavia, rilevato che lo Stato non si è avvalso della possibilità di stabilire un’indennità per i donatori come consentito dalla Direttiva medesima all’art. 12, comma 2, come invece, a titolo esemplificativo, ha fatto con riguardo al trapianto di midollo osseo con la L. n. 62 del 2011, norme di carattere speciale che non possono valere quanto al diverso campo della procreazione medicalmente assistita. Di talché, allo stato, alcuna forma di indennizzo è prevista nel caso di donazione di gameti, che deve avvenire, si ripete, su base volontaria e improntata a gratuità. L’assenza di finalità lucrativa nella donazione trova conferma nei Decreti Ministeriali, che si sono succedutisi per regolare l’importazione e il trasferimento dei gameti, ed è stata ribadita anche dal Direttore del Centro Nazionale Trapianti con nota del 2016. 5. Tirando le fila del discorso, pare al Collegio che, a delineare il perimetro della fattispecie penale di commercializzazione di gameti, non si possa prescindere dai principi espressi dalla Direttiva del Consiglio d’Europa di volontarietà e gratuità della donazione, principi che concorrono a delineare l’area della rilevanza penale delle condotte di commercializzazione vietate dall’art. 12, comma 6, nel caso di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo che necessita di donazione e trasferimento di gameti , nel senso che l’area della rilevanza penale deve essere individuata in quelle condotte, realizzate in qualunque forma, dirette ad immettere nel mercato commercializzare i gameti in violazione dei principi di volontarietà e gratuità della donazione. In tale ambito rientrano nella condotta di commercializzazione anche quelle condotte di reclutamento di donatori/donatrici dietro la prospettazione/corresponsione di una remunerazione, chiaramente dirette alla immissione nel mercato dei gameti, in vista della procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. 6. Venendo al caso di specie, il Tribunale di Milano, ferma e non contestata la ricostruzione delle condotte contestate alle imputate cfr. par. 1 , ha prosciolto per insussistenza del fatto, sul rilievo che non vi è commercio allorché il trasferimento della cellula riproduttiva umana avviene all’interno di un trattamento di fecondazione c.d. eterologa , proprio perché tale pratica richiede necessariamente il ricorso al gamete estraneo alla coppia. E da tale evidenza, il Giudice ha tratto la conclusione che l’applicazione della norma incriminatrice, laddove punisce la commercializzazione di gameti, doveva essere esclusa nei casi in cui essa era diretta ad una pratica di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo. L’interpretazione del Tribunale di Milano è erronea per le ragioni sopra esposte. Per quanto sopra argomentato, ritiene, il Collegio, che la norma incriminatrice continua a prevedere la sanzione penale per le condotte di commercio di gameti, cioè di condotte dirette a remunerare la produzione, il trasferimento, la circolazione, l’importazione di gameti, in vista dell’immissione nel mercato, in violazione del principio di gratuità della donazione. Al di fuori dei meri costi per l’esecuzione della prestazione medica che la Regione Lombardia ha determinato a carico del richiedente nel caso di ricorso alla procreazione medicalmente assistita eseguita dal servizio sanitario nazionale , che restano fuori dall’ambito di rilevanza penale, costituiscono reato tutte le condotte dirette alla produzione e circolazione dei gameti, remunerate con corrispettivo in rapporto sinallagmatico con la condotta di produzione, circolazione e immissione nel mercato, condotte che costituiscono la mercificazione della procreazione assistita sanzionata dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6. In conclusione, ritiene il Collegio di affermare il seguente principio di diritto La L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, all’esito della pronuncia della Corte costituzionale n. 162 del 2014, punisce chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza l’acquisizione di gameti in violazione dei principi di volontarietà e gratuità della donazione . 8. La sentenza va, pertanto, annullata senza rinvio e gli atti devono essere trasmessi al Tribunale di Sezione G.I.P. , per l’ulteriore corso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Milano Sezione G.I.P. , per l’ulteriore corso.