Revoca dell’ammissione al lavoro di pubblica utilità, il giudice dell’esecuzione deve calcolare il periodo già scontato

In caso di applicazione del lavoro di pubblica utilità per reati in materia di stupefacenti, la revoca della sanzione sostitutiva, disposta per mancata osservanza alle prescrizioni, comporta il ripristino della sola pena residua, calcolata sulla base del criterio speciale di corrispondenza indicato nell’art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309/1990, sottraendo dalla durata della pena inflitta la durata del lavoro di pubblica utilità regolarmente scontato.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 35396/19, depositata il 1° agosto u.s., coglie l’occasione per esprimersi in tema di lavoro di pubblica utilità, sanzione penale sostitutiva di problematica collocazione sistematica dovuta ai suoi eterogenei ambiti di applicazione. Il fatto. Il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Padova, in qualità di Giudice dell’Esecuzione, preso atto del parziale inadempimento delle prescrizioni inerenti i lavori di pubblica utilità concessi ad un soggetto ex articolo 73, comma 5- bis , d.P.R. numero 309/1990, su richiesta del PM disponeva la revoca della sanzione sostitutiva prevista per la durata di 372 ore e applicata in commutazione della pena di sei mesi di reclusione ed euro 1.500,00 di multa. Secondo quanto riportato nel decreto di revoca, l’imputato avrebbe svolto solo 135 ore rispetto alle totali 372, adducendo – dal punto di vista difensivo - l’impossibilità di definire il percorso della sanzione sostitutiva applicata in ragione degli impegni lavorativi e di studio incombenti all’estero. Tuttavia, osserva il GIP procedente che, in ragione del lungo tempo trascorso rispetto al provvedimento di concessione della sanzione sostitutiva, se l’imputato avesse voluto effettivamente adempiere al dettato applicativo dei lavori di pubblica utilità avrebbe potuto ben farlo prima di intraprendere gli ulteriori impegni di studio e lavoro all’estero. Avverso siffatto provvedimento ricorre per Cassazione il prevenuto, per mezzo del proprio difensore, deducendo l’inosservanza o erronea applicazione degli artt. 56 e 58 d.lgs. 28 agosto 2000, numero 274, oltre il vizio motivazionale. Secondo la tesi difensiva, il ritardo nell’inizio dei lavori di pubblica utilità erano da imputarsi all’ente comunale a ciò destinato, stigmatizzando il ripristino dell’intera pena, senza tener conto del periodo di effettiva esecuzione dell’attività pari a 135 ore. Il ricorso è fondato in punto di computo della pena. I Giudici di legittimità annullano il provvedimento impugnato, se pur limitatamente al profilo delle operazioni di ripristino della pena. Non v’è dubbio, infatti, che la revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, disposta per mancata osservanza delle prescrizioni imposte, comporta il ripristino della pena solo nella parte residua rispetto a quella già effettivamente scontata con l’attività svolta dall’interessato. Tale principio, già affermato per i lavori di pubblica utilità contemplati in altro ambito delittuoso, deve applicarsi anche in tema di reati relativi alle sostanze stupefacenti. Dunque, con la sentenza in commento, i Giudici della I Sezione di Piazza Cavour affermano che In caso di applicazione del lavoro di pubblica utilità per reati in materia di stupefacenti, la revoca della sanzione sostituiva, disposta per mancata osservanza alle prescrizioni, comporta il ripristino della sola pena residua, calcolata sulla base del criterio speciale di corrispondenza indicato nell’articolo 73, comma 5- bis , d.P.R. numero 309/1990, sottraendo dalla durata della pena inflitta la durata del lavoro di pubblica utilità regolarmente scontato . Per tali motivi, la Corte di Cassazione annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione della pena residua e rinvia per nuovo esame sul punto al GIP del Tribunale di Padova.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 luglio – 1 agosto 2019, n. 35396 Presidente Di Tomassi – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con decreto in data 21/1/2019, emesso all’esito dell’udienza fissata ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 bis, e art. 666 c.p.p., il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Padova, in qualità di giudice dell’esecuzione, preso atto del sostanziale inadempimento delle prescrizioni da parte dell’interessato, dispose, su richiesta del Pubblico ministero, la revoca della sanzione sostituiva del lavoro di pubblica utilità per la durata di 372 ore, applicata, nei confronti di C.I. , con sentenza dello stesso Giudice per le indagini preliminari in data 23/11/2012, in sostituzione della pena di 6 mesi di reclusione e 1.500 Euro di multa. Secondo quanto riportato nel predetto decreto, infatti, alla data della revoca, C. aveva svolto soltanto 135,50 ore sul totale di 372 stabilite nel provvedimento applicativo, giustificando il relativo ritardo con gli impegni di lavoro e di studio che avrebbe avuto all’estero. Tuttavia, secondo quanto rilevato dal primo Giudice, dal momento che era passato oltre un anno e mezzo dall’inizio dei lavori, qualora C. avesse svolto, come inizialmente stabilito, 7 ore di lavoro alla settimana, egli avrebbe terminato di espiare la pena sostitutiva in poco più di un anno. Per tale motivo, essendo il ritardo nell’espletamento del lavoro di entità tale da svuotare di significato la prestazione alternativa, doveva ritenersi adeguata e necessaria la revoca della pena sostitutiva , stimandosi, per converso, irrilevanti le giustificazioni addotte dall’interessato in relazione alle ragioni delle mancanze contestategli. 2. Avverso il provvedimento di revoca ha proposto ricorso per cassazione lo stesso C. per mezzo del difensore di fiducia, avv. Piero Cucchisi, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., la inosservanza o erronea applicazione del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, artt. 56 e 58, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alle circostanze giustificative della revoca. In particolare, il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , la motivazione offerta dal decreto impugnato alla luce del fatto che C. avrebbe potuto iniziare il lavoro di pubblica utilità soltanto il 22/7/2017, data in cui il comune di avrebbe dato la relativa disponibilità e, dunque, a distanza di oltre quatto anni dalla data del 14/1/2013, allorché la sentenza di condanna era divenuta irrevocabile, sicché non sarebbe a lui imputabile il significativo ritardo nell’espletamento della prestazione. Sotto altro profilo, il ricorso lamenta che il Giudice dell’esecuzione, nel provvedimento di revoca, abbia ripristinato la pena originaria nella sua interezza, senza considerare l’attività svolta nelle more dal condannato, la quale avrebbe dovuto essere detratta dalla durata della pena detentiva originariamente inflitta. 3. In data 14/6/2019, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato limitatamente all’entità della pena residua ripristinata e il rigetto, nel resto, del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, deve essere accolto per quanto di ragione. 2. Quanto al primo profilo di doglianza, il ricorrente lamenta che il Giudice dell’esecuzione non abbia valorizzato affatto la circostanza che il comune di abbia impiegato ben quattro anni, a partire dalla sentenza di condanna, prima di offrire la propria disponibilità all’avvio del lavoro di pubblica utilità. Osserva, nondimeno, il Collegio che tale argomentazione è totalmente deassiale rispetto alle ragioni poste a fondamento del provvedimento di revoca. Invero, il Giudice dell’esecuzione non ha considerato, ai fini della valutazione su tale aspetto, la circostanza che C. avesse iniziato il lavoro di pubblica utilità con cospicuo ritardo rispetto al momento del passaggio in giudicato della sentenza, quanto piuttosto il fatto che, al momento della proposta di revoca, fosse passato circa un anno e mezzo dall’inizio dell’attività, sicché egli avesse, comunque, accumulato un gravissimo e inescusabile ritardo nell’adempiere alle prescrizioni impostegli. Ne consegue, pertanto, l’infondatezza della relativa censura. 3. Fondata è, invece, l’ulteriore doglianza, concernente la mancata considerazione, al momento della revoca, della porzione di pena sostitutiva effettivamente portata ad esecuzione dal condannato. 3.1. La revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, disposta per mancata osservanza delle prescrizioni, comporta, infatti, il ripristino della sola pena residua, calcolata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell’attività. Tale principio, affermato da questa Corte nel caso di violazione degli obblighi connessi al lavoro di pubblica utilità applicato in relazione alla condanna per il reato di guida in stato di ebbrezza i sensi del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 9 bis, Sez. 1, n. 42505 del 23/9/2014, Di Giannatale, Rv. 260131 Sez. 1, n. 8164 del 15/1/2018, Virlan, non massimata Sez. 1, n. 50829 del 29/11/2017, dep. 2018, Varanese, non massimata Sez. 1, n. 55068 del 6/11/2018, Visconti, non massimata Sez. 1, n. 56165 del 13/11/2018, Cannella, non massimata , è stato ribadito anche in relazione fattispecie consimili a quella qui considerata, in cui la sanzione sostituiva era riferita al reato di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti Sez. 1, n. 32416 del 31/03/2016, Bergamini, Rv. 267456 e, soprattutto, in casi del tutto analoghi a quello in esame, in cui il lavoro di pubblica utilità era stato disposto in sostituzione della pena inflitta per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 bis, Sez. 1, n. 46551 del 25/5/2017, Nigro, Rv. 271130 Sez. 1, n. 46161 del 5/6/2018, Zanni, non massimata . Invero, la prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, incidendo sulla libertà personale e venendo disposta in sostituzione della pena detentiva, riveste pacificamente la qualità di sanzione penale, partecipando della natura afflittiva propria di tale tipologia di sanzioni. Pertanto, ove si verifichi l’ipotesi della revoca della sanzione per il parziale inadempimento della prestazione, occorre tener conto, nella determinazione della pena da scontare, delle restrizioni subite dal condannato. E del resto, ove mancasse, nella determinazione della pena da scontare, la valutazione delle prestazioni adempiute e dalle restrizioni subite, si perverrebbe a un’aggiunta di carico afflittivo che - in quanto determinato da comportamenti che non costituiscono di per sé reato - si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 13, 36 e 27 Cost., secondo i principi affermati da Corte Cost., sent. n. 282 del 1998 con riguardo alla liberazione condizionale e da Corte Cost., sent. n. 185 e 312 del 1985 e n. 343 del 1987 nonché, in via interpretativa, da Sez. U, n. 10530 del 27/2/2002, Martola, Rv. 220878, in tema di annullamento, di revoca per fatto incolpevole, di revoca per fatto incompatibile e di esito negativo dell’affidamento in prova . Ne consegue che quando si addivenga alla revoca della pena sostitutiva perché l’attività è stata prestata in modo incompleto o non conforme al programma predisposto, deve essere, comunque, valutato e stabilito se e quanta restrizione della libertà personale sia stata, in concreto, già patita dal condannato al fine di operarne la corrispondente detrazione dalla pena inflitta con la sentenza di condanna. Soluzione, quella qui accolta, che si impone, del resto, anche alla stregua di un solidissimo argomento sistematico, costituito dal raffronto con le omologhe discipline dettate in caso di revoca delle sanzioni sostitutive alle pene detentive brevi dalla L. n. 689 del 1981, art. 66, il quale dispone che, in ipotesi di violazione delle prescrizioni inerenti alle sanzioni sostitutive ivi contemplate, si attua la conversione della sanzione sostitutiva nella pena detentiva sostituita, ma soltanto per la restante parte , alla stesse L. n. 689 del 1981, art. 72, il quale disciplina la revoca della pena sostitutiva per condanna sopravveniente sempre con esclusivo riguardo alla parte non ancora eseguita . 3.2. Va, dunque, ribadito, conclusivamente, il principio di diritto secondo cui in caso di applicazione del lavoro di pubblica utilità per reati in materia di stupefacenti, la revoca della sanzione sostitutiva, disposta per mancata osservanza delle prescrizioni, comporta il ripristino della sola pena residua, calcolata sulla base del criterio speciale di corrispondenza indicato dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5 bis, sottraendo dalla durata della pena inflitta la durata del lavoro di pubblica utilità regolarmente scontato Sez. 1, n. 46551 del 25/5/2017, Nigro, Rv. 271130 . Quanto al criterio applicabile per il relativo ragguaglio, va ribadito che esso deve essere parametrato in maniera corrispondente a quello previsto per la sostituzione dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 bis, senza dunque applicare il criterio contemplato dal D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 54 e 58, che, come detto, non era stato osservato al momento dell’applicazione della pena sostitutiva. 3.3. In ultimo, va evidenziato che non essendo la pena sostitutiva de qua soggetta a una valutazione finale sull’esito risocializzante del percorso esecutivo, diversamente da quanto accade per alcune tipologie di probation, processuale o penitenziaria, contemplate dal nostro ordinamento dalla sospensione del processo con messa alla prova per gli imputati minorenni, all’affidamento in prova al servizio sociale e potendo, dunque, la revoca disporsi unicamente in presenza di una violazione delle prescrizioni, deve ritenersi che, in caso di revoca, quando l’attività oggetto del lavoro di pubblica utilità sia stata regolarmente svolta dal condannato, anche se per un tempo circoscritto rispetto all’intero, il giudice debba sempre considerare tale attività quale espiazione di pena equiparata alla detenzione. In altri termini, l’indagine sui complessivi comportamenti tenuti dal ricorrente, sulla collocazione temporale delle violazioni compiute e sulla loro incidenza sul periodo di esecuzione della sanzione sostitutiva, costituisce l’oggetto del giudizio di revoca, secondo la previsione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 bis, sicché una valutazione sull’andamento della pena sostitutiva dovrà, comunque, ammettersi da parte del giudice dell’esecuzione. Nondimeno, quando egli si determini alla revoca della pena sostitutiva non potrà che detrarre, al fine della determinazione della sanzione residua, il periodo corrispondente all’attività prestata, restandogli preclusa la possibilità di una revoca ex tunc, che, invece, è ammessa, sia pure in casi di estrema gravità, in caso di mancata estinzione della pena eseguita in regime di affidamento in prova o nei casi di messa alla prova nel processo minorile cfr. Corte Cost., n. 68 del 2019, secondo cui, in quest’ultimo caso, il periodo trascorso in prova non viene considerato come pena espiata . 4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata limitatamente alla determinazione dell’entità della pena residua, con rinvio, per nuovo esame sul punto, al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Padova, il quale si atterrà ai criteri più sopra illustrati. Nel resto, il ricorso deve essere, invece, rigettato. P.Q.M. annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione della pena residua e rinvia per nuovo esame sul punto al G.I.P. del Tribunale di Padova. Rigetta nel resto il ricorso.