La commercializzazione dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis light integra reato

La Suprema Corte riprende un principio affermato di recente dalle Sezioni Unite, secondo cui integrano il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, le condotte di cessione, vendita e commercializzazione a qualsiasi titolo al pubblico di prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che gli stessi siano privi di efficacia drogante.

Così decide la Corte di Cassazione con la sentenza n. 33081/19, depositata il 23 luglio. Il fatto. Il Tribunale di Milano, nelle vesti di giudice del riesame, confermava il decreto con cui il PM aveva disposto il sequestro probatorio di 6 fatture di acquisto e di un quantitativo di infiorescenza di marijuana contenuti in diversi involucri trovati all’interno del negozio di cui era titolare l’imputato, in quanto corpo di reato o beni pertinenti al reato oggetto dell’art. 73, comma 1- bis , T.U. n. 309/1990, avendo ritenuto sussistente il fumus commissi delicti anche in relazione all’eventuale esistenza dei presupposti per la relativa confisca obbligatoria ex art. 240, comma 2, c.p., ed essendo il sequestro probatorio finalizzato all’accertamento della natura della sostanza. Contro tale provvedimento, propone ricorso per cassazione l’imputato. La commercializzazione dei prodotti derivati dalla coltivazione di cannabis sativa L La Suprema Corte dichiara il ricorso infondato, richiamando il principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 28255/18, in cui si afferma che nel caso di sequestro avente ad oggetto beni costituenti corpo di reato, il relativo decreto deve contenere la specifica motivazione della finalità probatoria che si intende perseguire, a pena di nullità. Inoltre, gli Ermellini sottolineano che il giudice può procedere ad una diversa qualificazione giuridica del fatto, potendo individuare ipotesi di reato diverse da quella posta a fondamento del provvedimento oppure delineate dall’accusa, senza prescindere dalla situazione che risulta dagli elementi di fatto che l’accusa ha reputato giustificativi del sequestro del corpo di reato. Ciò affermato, la Corte rileva che nel caso concreto il Giudice ha applicato correttamente i suddetti principi, posto che il ritrovamento all’interno dell’esercizio commerciale di proprietà del ricorrente delle infiorescenze ha reso necessarie le analisi chimico-tossicologiche per verificarne le caratteristiche ed il principio attivo, nonché per esaminare la documentazione sequestrata ai fini della ricostruzione dell’acquisto e della provenienza della sostanza che si assume abbia effetti stupefacenti. Quanto appena illustrato trova conferma nella recente pronuncia delle Sezioni Unite SS. UU. n. 30475/19 , in cui si afferma il principio per cui la commercializzazione di cannabis sativa L e, in particolare, di foglie inflorescenze, olio, resina contenuti nella coltivazione della predetta varietà di canapa non rientra nell’ambito di applicazione della l. n. 242/2016 , dunque il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. 309/1990 risulta integrato dalle condotte di cessione , vendita e commercializzazione di prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 26 giugno – 23 luglio, n. 33081 Presidente Fumu – Relatore Ferranti Ritenuto in fatto e considerato in diritto Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il decreto del P.M. dello stesso Tribunale di sequestro probatorio, emesso il 26.11.2018, a carico di N.M.A. , avente ad oggetto sei fatture di acquisto e gr 266,00 di infiorescenza di marijuana, contenuti in vari involucri rinvenuti all’interno del negozio omissis in quanto corpo del reato o beni pertinenti al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis. In omissis . Il Tribunale del riesame respingeva il ricorso proposto dal N. ritenendo sussistente il fumus dell’ipotizzato delitto di cui all’art. 73 sopra richiamato, anche in relazione all’eventuale sussistenza dei presupposti per la relativa confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2, ed essendo perciò il sequestro probatorio finalizzato alla puntuale e precisa verifica tramite accertamento tecnico della natura e delle caratteristiche della sostanza stupefacente tipo marijuana, così come peraltro espressamente motivato nel decreto. 2.Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’indagato articolando sotto vari aspetti il vizio per violazione di legge e difetto di motivazione. 2.1 Con il primo motivo ha dedotto che il decreto era nullo in quanto gli atti di perquisizione e sequestro della PG, che hanno consentito l’accesso alla società omissis erano stati determinati da indagini riguardanti altra persona, certo A. , che svolgeva attività lavorativa presso la società inizialmente pertanto alcuna indagine era diretta nei confronti del N. . Il sequestro è stato giustificato da un’errata interpretazione della L. 2 dicembre 2016, n. 242. 2.3 Con il secondo motivo ha dedotto che il richiamato D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, che qualifica l’ipotesi astratta, è stato abrogato a seguito della sentenza della Corte costituzionale 32/2014. Il decreto di sequestro è stato costruito su un’ipotesi normativa non più vigente. 2.4 Con il terzo motivo quanto al fumus commissi delicti richiama non solo la circolare del Ministero delle Politiche agricole che precisa che le infiorescenze devono essere ricondotte alla categoria del florovivaismo, ma sottolinea che, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, l’elenco di cui alla L. n. 242 del 2016, art. 2, dedicato alla liceità della coltivazione, non ha un’efficacia tassativa e richiama a tal proposito recenti sia pure non conformi pronunce della Corte di Cassazione sul tema. 2.5 Con il quarto motivo deduce che il generico rilievo dell’inserimento dei beni assoggettati a vincolo reale alla categoria dei corpi di reato o a quelli di cosa pertinente al reato non assolve correttamente alla funzione motivazionale mentre risulta carente la motivazione sul punto da parte del Tribunale del riesame che in maniera assertiva nega la valenza dei documenti depositati all’atto di sequestro e successivamente circa la provenienza dei prodotti commercializzati. 2.6 Con il quinto motivo lamenta che la dedotta necessità di effettuare accertamenti tossicologici per verificare le caratteristiche di principio attivo dall’esito della quale dipende la liceità o meno della condotta è di per sé incoerente e contraddittoria in quanto se la condotta rientra nell’ambito di applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, è di per sé illecita in quanto commercio di sostanze stupefacenti. 3. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte. 3.1 È noto l’orientamento di questa Corte, di recente ribadito dalle Sezioni Unite. n. 28255 2018 del 19.04.2018, secondo cui anche nell’ipotesi di sequestro avente ad oggetto una cosa costituente corpo del reato, il relativo decreto deve contenere, a pena di nullità, specifica motivazione circa la finalità probatoria che si intende, in concreto, perseguire. 3.2 Inoltre, nel giudizio di riesame, nell’operazione logica di controllo dell’esattezza della qualificazione della cosa come corpus delicti , ex art. 253 c.p.p., comma 2, ovvero cosa pertinente al reato, il giudice ha il potere di procedere a una diversa qualificazione giuridica del fatto, potendo individuare, sia pure ai soli fini cautelari, ipotesi di reato differenti da quella posta a base del provvedimento ovvero delineate dall’accusa, ma non può prescindere dal riferimento alla situazione risultante dagli elementi fattuali che la stessa accusa ha reputato giustificativi del sequestro del corpo di reato. 4. Il Tribunale del Riesame ha fatto esatta applicazione dei suddetti principi. 4.1 Con riferimento al primo, al secondo, quarto e quinto motivo, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto tutti attinenti, sotto diversi profili, alla sussistenza dei presupposti e al contenuto del provvedimento di perquisizione e di sequestro, si evidenzia che il decreto di perquisizione locale e di sequestro probatorio sono stati legittimamente emessi, sulla base di quanto previsto dall’art. 247 c.p.p. e ss., e dall’art. 253 c.p.p., a carico del ricorrente, titolare dell’esercizio omissis , avente ad oggetto l’attività di commercio al dettaglio di prodotti agricoli e di giardinaggio nell’ambito della quale è stata rinvenuta, a seguito di perquisizione, la sostanza stupefacente, gr 266,00 di inflorescenze di marijuana e sei fatture relative all’acquisto. Nessun rilievo infatti ai fini della legittimità della perquisizione locale può avere la circostanza, dedotta dal ricorrente nel primo motivo, che le indagini fossero orientate inizialmente nei confronti di un altro indagato, dipendente della società quanto al decreto di sequestro probatorio è stato correttamente ipotizzato il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, fol 1 , indicato l’oggetto del sequestro sostanza stupefacente e documentazione di acquisto e si è dato conto della necessità, per finalità probatorie, di effettuare accertamenti tecnici di laboratorio, trattandosi di corpo del reato o comunque di beni pertinenti al reato in questione. Nel caso di specie il rinvenimento nelle sede dell’esercizio commerciale del quale N. è titolare delle inflorescenze ha reso perciò necessario effettuare le analisi chimico tossicologiche, volte a verificarne, anche ai fini delle ragioni della difesa, le caratteristiche e il principio attivo nonché esaminare la documentazione sequestrata, utile a ricostruire i passaggi inerenti all’acquisto e alla provenienza della sostanza che, secondo l’ipotesi cautelare, si assume abbia effetti stupefacenti fol. 4 . 4.2 Infondato è il secondo motivo del ricorso attinente al fumus commissi delicti, la cui sussistenza è stata ampiamente argomentata fol. 2 e 3 dal Tribunale del Riesame. Tanto più alla luce della recente pronuncia della Sezioni unite S.U. n. 979 del 30.05.2019 che ha statuito il seguente principio la commercializzazione di cannabis sativa L e in particolare di foglie inflorescenze olio resina contenuti nella coltivazione della predetta varietà di canapa non rientra nell’ambito di applicazione della L. n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio del 13.06.2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati pertanto integrano il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4, le condotte di cessione di vendita e in genere la commercializzazione al pubblico a qualsiasi titolo dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L. salvo che tali prodotto siano in concreto privi di efficacia drogante . Nel caso di specie il Tribunale del riesame, quindi, ha ritenuto correttamente legittimo il sequestro delle infiorescenze, di cui è necessario, anche per fini difensivi, effettuare le analisi chimico tossicologiche, volte a verificarne le caratteristiche e il principio attivo, oltre che della documentazione utile a ricostruire i passaggi inerenti all’acquisto e alla sua provenienza fol 4 un collegamento, quindi ai fini probatori, specifico e concreto rispetto all’ipotesi delittuosa riconducibile al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. 5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.