Il regime di cui all’art. 41-bis, comma 2, ord. pen. sarebbe compatibile con la nostra Costituzione

Con la decisione in oggetto, la Corte di Cassazione affronta ancora una volta la delicata questione relativa alla compatibilità del regime del carcere duro” con la nostra Costituzione.

Il tema non è nuovo, ma è certamente non inutile che la Suprema Corte abbia deciso in merito, poiché il tutto può servire da stimolo ulteriore per più mature riflessioni. La vicenda. Il caso in questione, del resto, attiene a una situazione piuttosto emblematica e precisamente all’ipotesi in cui venga prorogato il regime di detenzione speciale di cui all’art. 41- bis ord. pen La difesa aveva lamentato, da un lato, la mancata considerazione delle proprie memorie, inviate a mezzo PEC e, dall’altro, l’illogicità della motivazione del Tribunale di Sorveglianza, che aveva confermato la decisione ministeriale di proroga. Da ultimo, aveva comunque ribadito come tale regime fosse invero incostituzionale con la finalità rieducativa della pena e con le convenzioni internazionali in materia. Dubbi di incostituzionalità. La Corte, ribadito che nel processo penale il deposito telematico degli atti è inammissibile e che solo la mancanza di motivazione può essere censurata in sede di legittimità e non anche l’illogicità, ha però voluto sottolineare – come indicato – l’assenza di contrasti con la disciplina costituzionale. Fondamentalmente secondo il Supremo Collegio la norma in questione ha lo scopo precipuo di impedire la commissione di ulteriori crimini, in ragione di possibili contatti con le organizzazioni criminali esterne. Si è inoltre evidenziato come il provvedimento ministeriale, benché discrezionale, sia comunque sottoposto a vaglio giurisdizionale. Per l’effetto, la disciplina in questione si caratterizza per una sua autonoma fisionomia sistematica, che non ne consente la riconducibilità né alla categoria della pena né alla categoria delle misure di sicurezza personale . Da qui, la conclusione per cui, nel quadro di esigenze di ordine pubblico, dovrebbe escludersi qualsiasi dubbio di costituzionalità in materia, attesa la peculiarità dei reati a cui si riferisce il regime nonché l’assicurazione di un controllo giurisdizionale seppur a posteriori che garantisce l’esercizio di abusi in merito. La conclusione a cui è giunta la Corte di Cassazione è condivisibile in linea di principio, ma – evidentemente – si muove su un piano troppo astratto. Più precisamente, è certamente vero che la disciplina in esame è astrattamente compatibile con la Costituzione, ma è oltremodo evidente che i suoi meccanismi sono tali che nel singolo caso possono apparire eccessivi e poco razionali, specie in considerazione della funzione rieducativa della pena. Del resto, il meccanismo legislativo, impedisce nel concreto un preventivo contraddittorio e rispetto alle lagnanze del detenuto il provvedimento è di immediata efficacia e il giudizio avanti al Tribunale di Sorveglianza è ed appare come un mero giudizio di sindacato di un provvedimento già emesso e non anche come giudizio di prima istanza. Inoltre, non si può negare che chi è destinatario di un provvedimento ex art. 41- bis ord. pen. si trovi in una condizione peggiore, sotto il profilo penitenziario, degli altri detenuti, per il semplice fatto che si riducono una serie di diritti ed in particolar modo la possibilità di contatto con l’esterno. Ecco che se è vero che con il provvedimento ministeriale non si applicano tecnicamente pene o misure personali, è pur vero che si limitano diritti penitenziari e che la pena inflitta diviene di per sé più dura da scontare. L’incidenza sulla posizione del detenuto è, dunque, innegabile ed è oltremodo innegabile che l’atto amministrativo in questione, che ha in sé indubbi connotati di attuazione di politiche criminali, incida ex se negativamente sopra tali diritti. Si domanda allora non può strutturarsi il tutto secondo i canoni del contraddittorio? Non può cioè ammettersi che vi sia specifica domanda del Ministero a cui debba conseguire un effettivo giudizio avanti al Tribunale di Sorveglianza nel contraddittorio tra le parti ed in maniera tale che al detenuto sia dato adeguato tempo per organizzare la propria difesa e dimostrare il contrario? Si dirà ma a volte è necessario procedere immediatamente. Si può rispondere nessun problema a che vengano disposte in via d’urgenza ed in maniera provvisoria misure adeguate per assicurare il provvedimento finale, secondo schemi piuttosto classici e consolidati. Si controbatterà ma così si perderà altro tempo e sarà più difficile l’applicazione dell’art. 41- bis ord. pen. con conseguente riflesso sugli interessi di ordine pubblico. Può darsi che talvolta ciò sia ma è oltremodo evidente che tale argomento è – se ben considerato – il medesimo che in ogni luogo ed in ogni epoca si invoca per ridurre le garanzie giurisdizionali e l’effettività della difesa. Dopo tutto, qui si discute della tutela di diritti fondamentali e di garanzie della giurisdizione, non anche di semplici interessi legittimi e di buona amministrazione o forse non è così?

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 3 – 19 luglio 2019, n. 32337 Presidente Santalucia – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Sorveglianza di Roma respingeva il reclamo presentato da G.G. avverso il decreto di proroga del regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., al quale il ricorrente risultava sottoposto, che era stato emesso nei suoi confronti dal Ministro della Giustizia l’11/10/2018. Secondo il Tribunale di sorveglianza di Roma, tale regime era giustificato dall’inserimento del condannato in posizione di rilievo nell’ambiente della criminalità mafiosa palermitana riconducibile al mandamento di omissis , della quale aveva fatto parte con un ruolo egemonico, attestato dalle ventisei sentenze di condanna riportate dal ricorrente per numerosi reati, commessi nel contesto operativo di tale consorteria criminale, tra i quali i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, strage, omicidio, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacente e sequestro di persona a scopo di estorsione. 2. Avverso tale ordinanza G.G. , a mezzo dell’avv. Federico Vianelli, ricorreva per cassazione, deducendo tre motivi di ricorso. Con il primo motivo si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 178 c.p.p., lett. c , artt. 179 e 121 c.p.p., artt. 24 e 111 Cost., conseguente al fatto che il Tribunale di sorveglianza di Roma, nel respingere il reclamo proposto da G. , non aveva tenuto conto delle memorie difensive trasmesse nell’interesse del ricorrente tramite posta elettronica certificata, concretizzando una nullità di ordine generale e assoluto. Queste memorie difensive, trasmesse il 05/10/2018, all’indirizzo di posta elettronica certificata del Tribunale di sorveglianza di Roma prot.tribsorv.romagiutisizia.it , nel rispetto del termine di cinque giorni dalla data fissata per l’udienza, apparivano decisive per valutare la posizione di G. , riguardando l’evoluzione delle dinamiche del gruppo familiare del ricorrente, conseguenti alla recente assoluzione della sorella del detenuto, G.N. . Tale assoluzione, infatti, rendeva evidente l’esautorazione degli esponenti storici della famiglia G. dal contesto egemonico del mandamento mafioso di OMISSIS , smentendo l’assunto su cui si fondava la proroga del regime detentivo di cui all’art. 41 bis Ord. Pen. disposta dal Ministro della Giustizia. Con il secondo motivo di ricorso si deducevano violazione ed erronea applicazione di legge, mancanza e contraddittorietà della motivazione, in riferimento all’art. 41 bis, comma 2, Ord. Pen., artt. 13 e 111 Cost., relativamente alla ritenuta sussistenza dei presupposti legittimanti la proroga del regime penitenziario differenziato in esame, che erano stati valutati dal Tribunale di sorveglianza di Roma con un percorso argomentativo incongruo, che non teneva conto delle emergenze processuali e della carcerazione patita da G. , che risultava detenuto da venticinque anni, che imponeva di ritenere definitivamente interrotti i collegamenti consortili tra il ricorrente e la criminalità mafiosa dell’area palermitana da cui proveniva. Si deduceva, in proposito, che il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva omesso di confrontarsi con le censure difensive, limitandosi a richiamare in termini apodittici il contenuto delle note informative acquisite, dalle quali non emergeva l’attualità dei collegamenti consortili tra G. e il mandamento mafioso di omissis , che costituiva il presupposto indispensabile per valutare la pericolosità sociale del ricorrente. Né poteva rilevare, in senso sfavorevole al detenuto, il suo vissuto criminale, che costituiva un elemento di giudizio statico , incapace di fornire indicazioni attuali in merito alla capacità di G. di mantenere i collegamenti preesistenti con i vertici del mandamento mafioso di omissis . Con il terzo motivo di ricorso si eccepiva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41 bis, comma 2 quater, Ord. Pen., per violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, art. 27 Cost., comma 3, nella parte in cui legittimava comportamenti inumani e degradanti, che apparivano incompatibili sia con i principi costituzionali sia con le disposizioni della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, della cui violazione il Tribunale di sorveglianza di Roma, a fronte delle doglianze proposte in sede di reclamo dalla difesa di G. , non aveva tenuto conto. Secondo la difesa del ricorrente, l’assunto ermeneutico presupposto dall’ordinanza impugnata, incentrato sulla natura giuridica del regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., non teneva conto della sua incidenza diretta sui diritti fondamentali del detenuto, che comportava il pregiudizio di beni di rango costituzionale, della cui tutela il Tribunale di sorveglianza di Roma non si era fatto carico, a fronte delle censure segnalate nei Report del 19/11/2013 e dell’08/09/2017, relativi alle visite del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti umani o degradanti, espressamente citati dalla difesa di G. , le cui inequivoche raccomandazioni erano state disattese dall’Amministrazione penitenziaria. L’illegittimità del regime detentivo in esame, del resto, era corroborata dal fatto che l’Amministrazione penitenziaria disponeva di un potere discrezionale sostanzialmente privo di controllo giurisdizionale, com’era evidente dall’ampiezza delle prescrizioni che potevano essere imposte al detenuto, che comportavano un pregiudizio ingiustificato dei suoi diritti fondamentali, in violazione delle raccomandazioni fornite all’Italia con i Report del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti umani o degradanti, sopra citati. Queste ragioni imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto da G.G. è infondato. 2. Deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 178 c.p.p., lett. c , artt. 179 e 121 c.p.p., artt. 24 e 111 Cost., conseguente al fatto che il Tribunale di sorveglianza di Roma non aveva tenuto conto delle memorie difensive, trasmesse dalla difesa di G.G. tramite posta elettronica certificata, concretizzando una nullità di ordine generale e assoluto, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento. Occorre premettere che queste memorie difensive venivano trasmesse dalla difesa di G. il 05/10/2018, all’indirizzo di posta elettronica certificata del Tribunale di sorveglianza di Roma prot.tribsorv.romagiutisizia.it , nel rispetto del termine di cinque giorni dalla data fissata per l’udienza di sorveglianza, celebrata l’11/10/2018. Tanto premesso, osserva il Collegio chete costituisce espressione di un orientamento ermeneutico incontroverso, il principio secondo cui, nei procedimenti penali, la cui disciplina è applicabile ai procedimenti di sorveglianza, che si svolgono con il rito camerale di cui all’art. 127 c.p.p., non è consentita la presentazione di atti defensionali mediante posta elettronica certificata, analogamente a quanto si verificava nel caso in esame, in cui le memorie difensive venivano trasmesse dalla difesa di G. al Tribunale di sorveglianza di Roma mediante deposito telematico Sez. 3, n. 50932 dell’11/07/2017, Giacinti, Rv. 272905 Sez. 3, n. 6833 del 26/10/2016, dep. 2017, Manzi, Rv. 269197 Sez. 3, n. 48584 del 20/09/2016, Cacciatore, Rv. 268162 . Né è possibile applicare analogicamente la disciplina prevista per il deposito telematico degli atti del processo civile, in assenza dell’emissione dei decreti espressamente previsti dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 bis, comma 6, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221. L’ammissibilità del deposito telematico di atti nel procedimento penale, peraltro, è esclusa dell’espressa limitazione ai procedimenti civili davanti ai tribunali e alle corti di appello di tali modalità di presentazione, prevista dall’art. 16-bis, comma 1-bis, del medesimo decreto. L’impossibilità di estendere la disciplina esaminata al giudizio penale, quantomeno allo stato, preclude la possibilità di inviare atti difensivi mediante posta elettronica certificata, come questa Corte ha già affermato con riferimento ad altri atti processuali di parte, come il deposito di memorie difensive ex art. 121 c.p.p., Sez. 3, n. 48584 del 20/09/2016, Cacciatore, cit. , il deposito della lista testimoniale ex art. 468 c.p.p., comma 1, Sez. 3, n. 6833 del 26/10/2016, dep. 2017, Manzi, cit. o l’opposizione al decreto penale di condanna ex art. 461 c.p.p., comma 1, Sez. 3, n. 50932 dell’11/07/2017, Giacinti, cit. . Occorre, pertanto, ribadire che, nei procedimenti di sorveglianza, che si svolgono con il rito camerale di cui all’art. 127 c.p.p., al contrario di quanto affermato dalla difesa di G. , non è consentito il deposito di atti o memorie difensive mediante posta elettronica certificata, non essendone permessa la presentazione con modalità diverse da quelle previste a pena di inammissibilità, in assenza di norme che derogano alla disciplina generale prevista dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 6. Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del primo motivo di ricorso. 3. Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione ed erronea applicazione di legge, mancanza e contraddittorietà della motivazione, in riferimento agli art. 41 bis, comma 2, Ord. Pen., artt. 13 e 111 Cost., relativamente alla ritenuta sussistenza dei presupposti legittimanti la proroga del regime penitenziario differenziato in esame, che erano stati valutati dal Tribunale di sorveglianza di Roma con un percorso argomentativo incongruo, che non teneva conto delle emergenze processuali e del lungo periodo di detenzione patito da G.G. , che, risultando detenuto da venticinque anni, aveva interrotto ogni rapporto con la criminalità mafiosa palermitana da cui proveniva. Osserva, innanzitutto, il Collegio che l’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dall’art. 41 bis, comma 2 sexies, Ord. Pen., a norma del quale il Procuratore generale presso la Corte di appello, l’internato o il difensore possono proporre ricorso per cassazione avverso le ordinanze del Tribunale di sorveglianza di Roma per violazione di legge. La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge comporta che il controllo demandato al giudizio di legittimità riguardi l’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale e l’assenza di motivazione, che priva il provvedimento impugnato dei requisiti prescritti dall’art. 41 bis, comma 2 sexies, Ord. Pen., a tenore del quale il tribunale di sorveglianza, sul reclamo del detenuto, decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli artt. 666 e 678 c.p.p., sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2 . In questo contesto, il vizio deducibile in termini di mancanza di motivazione dell’ordinanza del tribunale di sorveglianza, conformemente a quanto da tempo affermato dalle Sezioni unite in tema di ricorsi per cassazione ammessi per le sole violazioni di legge Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, Rv. 224611 , comprende, oltre all’ipotesi, sostanzialmente scolastica, di un provvedimento totalmente privo di giustificazioni, ma dotato del solo dispositivo, tutti i casi in cui la motivazione sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito. A tali patologie motivazionali devono essere equiparate le ipotesi in cui le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare rimanere oscure le ragioni che giustificano la decisione relativa al regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen. Sez. 1, n. 37351 del 06/05/2004, Trigila, Rv. 260805 Sez. 1, n. 5338 del 14/11/2003, Ganci, Rv. 226628 . Deve, invece, escludersi che la violazione di legge possa ricomprendere i vizi di illogicità e di contraddittorietà della motivazione dei provvedimenti relativi al regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., che non possono trovare ingresso in questa sede, presupponendo tali censure l’esistenza di un provvedimento dotato di una struttura argomentativa incompatibile con la patologia processuale in esame Sez. 1, n. 16019 del 27/01/2016, Bonura, Rv. 266620 Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, Santapaola, Rv. 230303 . Tali parametri, da ultimo, sono stati ribaditi da questa Corte, che, con specifico riferimento alla proroga del regime detentivo speciale in esame, ha affermato il seguente principio di diritto Anche a seguito delle modifiche introdotte all’art. 41 bis Ord. Pen. dalla L. n. 94 del 2009, il controllo di legalità del Tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato consiste nella verifica, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza Sez. 7, n. 19290 del 10/03/2016, Giuliano, Rv. 267248 si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013, Di Grazia, Rv. 256495 . 3.1. In questa cornice, il Tribunale di sorveglianza di Roma compiva una valutazione ineccepibile della posizione di G.G. , che veniva esaminata alla luce delle note informative trasmesse dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, dalla Direzione Distrettuale Antimafia, dalla Direzione Investigativa Antimafia e dal Comando generale dei Carabinieri, che venivano espressamente richiamate nel provvedimento impugnato. Nel provvedimento impugnato, in particolare, ci si soffermava sulle dinamiche del mandamento mafioso di omissis , attivo nell’area urbana di , nel quale il ricorrente gravitava fin da epoca risalente e sul ruolo apicale, incontroverso, svolto, unitamente ai fratelli G.B. e G.F. , in tale consorteria criminale, che continuava a mantenere immutata la sua capacità di controllo del territorio palermitano in cui era storicamente radicata. Su questi profili valutativi, il Tribunale di sorveglianza di Roma si soffermava correttamente, evidenziando che gli esiti dei processi penali celebrati nel corso degli anni, riguardanti gli affiliati del mandamento mafioso di omissis , imponevano di ritenere immutata la capacità di condizionamento criminale del territorio della consorteria palermitana e persistenti i collegamenti tra il ricorrente, i suoi familiari e gli attuali vertici dello stesso sodalizio. La persistenza, di tali collegamenti consortili si riteneva corroborata dal fatto che gli attuali vertici del mandamento mafioso erano collegati alla famiglia G. , che, storicamente, costituiva il punto di riferimento egemonico di tale cellula criminale, come attestato dall’ordinanza di custodia cautelare emessa nel corso del 2017 nei confronti di quaranta affiliati di tale sodalizio, richiamata nel provvedimento impugnato. Occorre evidenziare ulteriormente che, tenuto conto della consolidata posizione associativa di G.G. e dei suoi familiari, eventuali modifiche degli assetti organizzativi del mandamento mafioso di omissis e dei suoi vertici non possono assumere alcun rilievo in senso favorevole al ricorrente, non incidendo sul suo ruolo consortile - storicamente risalente - e non consentendo di ritenere attenuato il giudizio di pericolosità sociale posto a fondamento dell’originaria applicazione del regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen A tali, dirimenti, considerazioni, deve aggiungersi che il ricorrente non mostrava alcun atteggiamento di resipiscenza rispetto al suo vissuto criminale e assumeva un atteggiamento ostile o comunque scarsamente collaborativo nei confronti dell’autorità penitenziaria, come evidenziato dalla relazione comportamentale redatta il 20/09/2018 dalla direzione della Casa circondariale di Terni, che segnalava che G. , durante la sua detenzione, aveva riportato numerose sanzioni disciplinari. Nella stessa direzione, si ritiene utile richiamare il passaggio motivazionale esplicitato a pagina 2 del provvedimento impugnato, in cui il Tribunale di sorveglianza di Roma evidenziava che la persistente pericolosità sociale di G. era ulteriormente attestata dal recente ritrovamento nella sua cella di un coltello e dal contenuto di intercettazioni ambientali, relativo all’utilizzazione del compagna di socialità, A.U. , al fine di trasmettere messaggi all’esterno, stante la prevista scarcerazione di quest’ultimo . Ne conseguiva che, nonostante la lunga detenzione patita, G. risultava ancora interessato a mettersi in contatto con gli esponenti del mandamento mafioso di omissis ancora in libertà, corroborando il giudizio di persistente pericolosità sociale espresso nei suoi confronti. Non può, pertanto, rilevare in senso favorevole a G. , alla luce di quanto si è affermato, il periodo di detenzione ultraventennale patito dal ricorrente, nel valutare il quale occorre richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui L’accoglimento del ricorso avverso il provvedimento di proroga del regime detentivo differenziato di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 41 bis, ordinamento penitenziario implica l’individuazione di elementi specifici e concreti indicativi della sopravvenuta carenza di pericolosità sociale, che non possono identificarsi con il mero trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato, né essere rappresentati da un apodittico e generico riferimento a non meglio precisati risultati dell’attività di trattamento penitenziario Sez. 1, n. 14822 del 03/02/2009, Calabrò, Rv. 243736 si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 18054 del 25/01/2012, Russo, Rv. 253759 . Ricostruito in questi termini il percorso argomentativo seguito dal Tribunale di sorveglianza di Roma, il provvedimento impugnato appare conforme alle risultanze processuali e rispettoso dei parametri affermati dalla giurisprudenza di legittimità consolidata, che, in tema di proroga del regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., osserva Ai fini della proroga del regime di detenzione differenziata ai sensi della L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 41 bis, cosiddetto ordinamento penitenziario non è necessario l’accertamento della permanenza dell’attività della cosca di appartenenza e la mancanza di sintomi rilevanti, effettivi e concreti, di una dissociazione del condannato dalla stessa, essendo sufficiente la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario Sez. 1, n. 47521 del 02/12/2008, Rogoli, Rv. 242071 si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 15283 del 30/03/2006, Orefice, Rv. 234844 . Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza del secondo motivo di ricorso. 4. Deve essere respinta anche la residua censura difensiva, con cui si eccepiva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41 bis, comma 2 quater, Ord. Pen., per violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, art. 27 Cost., comma 3, nella parte in cui legittimava comportamenti inumani e degradanti, che apparivano incompatibili sia con il dettato costituzionale sia con le disposizioni della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, della cui violazione il Tribunale di sorveglianza di Roma, a fronte delle censure difensive proposte in sede di reclamo nell’interesse di G.G. , non aveva tenuto conto. A sostegno di tali deduzioni, si evidenziava l’incidenza del regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen. sui diritti fondamentali dell’individuo, che pregiudicava beni di rango costituzionale della cui tutela il Tribunale di sorveglianza di Roma non aveva tenuto conto, a fronte dei Report del 19/11/2013 e dell’08/09/2017, relativi alle visite del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti umani o degradanti, espressamente richiamati dalla difesa di G. . Osserva, in proposito, il Collegio che il vaglio di tali censure di costituzionalità postula il corretto inquadramento sistematico del regime detentivo speciale previsto dall’art. 41 bis Ord. Pen., nel cui contesto deve essere valutata l’incidenza di tale strumento sui diritti fondamentali e sulle libertà individuali del detenuto, verificando se tale, oggettiva, compressione sia compatibile con i principi costituzionali. Invero, come ripetutamente affermato da questa Corte, ogni analisi della collocazione sistematica della previsione dell’art. 41 bis Ord. Pen. non può che partire dalla constatazione della funzione di neutralizzazione del detenuto svolta da tale regime differenziato, finalizzato a impedire la futura commissione di reati da parte del condannato, che potrebbe essere agevolata dalla possibilità di mantenere i contatti con i gruppi criminali ancora operanti sul suo territorio di riferimento Sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005, Emmanuello, Rv. 232684 Sez. 1, n. 36302 del 21/09/2005, Grimaldi, Rv. 232114 . Al contempo, la peculiare natura del regime differenziato di cui all’art. 41 bis Ord. Pen. - adottato dal Ministro della Giustizia all’esito di un procedimento amministrativo - impone di ricondurlo a un’area differente sia rispetto a quella preventiva sia rispetto a quella sanzionatoria, come ribadito da questa Corte, secondo cui tale istituto, anche dopo la modifica normativa a opera della L. 15 luglio 2009, n. 94, ha conservato la sua fisionomia e non si è trasformato in una pena differenziata Sez. 1, n. 52054 del 29/04/2014, Polverino, Rv. 261809 . Nello stesso contesto, deve evidenziarsi che la natura dei provvedimenti ministeriali di applicazione e di proroga del regime detentivo in esame - che esclude la possibilità di applicare le garanzie giurisdizionali prospettate nell’interesse di G. - è resa evidente dalla sua adozione all’esito di un procedimento amministrativo, che ne consente l’emissione esclusivamente per finalità di salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, in relazione ai reati di criminalità organizzata, mafiosa o terroristica Sez. 1, n. 26172 del 24/05/2019, Guttadauro, non mass. . Né potrebbe essere diversamente, atteso che, come affermato da questa Corte nella pronuncia citata Sez. 1, n. 26172 del 24/05/2019, Guttadauro, cit. , il regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen. persegue obiettivi di rescissione dei collegamenti del detenuto con il contesto di criminalità organizzata di appartenenza, per effetto del suo isolamento carcerario da tali ambienti delinquenziali, senza che tali obiettivi, proprio in conseguenza del procedimento amministrativo all’esito del quale il regime viene applicato dal Ministero della Giustizia, possano comportare l’applicazione delle garanzie proprie del processo penale . 4.1. In questa cornice, deve rilevarsi che la Corte costituzionale, da almeno un ventennio, ha offerto indicazioni perfettamente sovrapponibili a quelle della giurisprudenza di legittimità - fin dalle risalenti sentenze n. 349 del 24 giugno 1993 e n. 376 dell’1 ottobre 1997 - attraverso interventi ermeneutici finalizzati a esplicitare i profili di compatibilità dello strumento in esame con i principi costituzionali vigenti in materia di garanzie giurisdizionali, sul presupposto della sua natura di provvedimento ministeriale soggetto a reclamo, a seguito del quale si instaura un procedimento giurisdizionale in cui l’interessato può svolgere l’attività necessaria alla sua difesa Corte Cost., sent. n. 376 del 1997 Corte Cost., sent. n. 349 del 1993 . In tale ambito, la Corte costituzionale, nelle pronunzie citate, ha ritenuto rispettoso dei precetti costituzionali il regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., evidenziando che la sua applicazione e la sua proroga sono disposte con un provvedimento ministeriale motivato, che è suscettibile di riesame in sede giurisdizionale, davanti al Tribunale di sorveglianza di Roma, finalizzato ad assicurare il rispetto delle regole procedimentali stabilite per la sua applicazione Corte Cost., sent. n. 376 del 1997, cit. Corte Cost., sent. n. 349 del 1993, cit. . Occorre, dunque, ribadire che il regime differenziato di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., si caratterizza per una sua autonoma fisionomia sistematica, che non ne consente la riconducibilità né alla categoria della pena né alla categoria delle misure di prevenzione personale, così come, da ultimo, ridefinite dalle Sezioni unite Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262602 . Né, per altro verso, le finalità di neutralizzazione del regime detentivo differenziato sono venute meno a seguito della modifica normativa dell’art. 41 bis Ord. Pen. da parte della L. n. 94 del 2009, la quale, pur avendo introdotto ulteriori limitazioni alla vita del detenuto, derogando ai principi generali del trattamento penitenziario, non ha trasformato la natura giuridica del regime detentivo differenziato in questione, non consentendo l’applicazione delle garanzie giurisdizionali proprie del processo penale o del procedimento di prevenzione. Sul punto, non si può non ricordare l’intervento della Corte costituzionale sul testo dell’art. 41 bis Ord. Pen., così come modificato dalla L. n. 94 del 2009, riconducibile alla sentenza 25 maggio 2010, n. 190, con cui venivano ritenute manifestamente infondate le questioni di costituzionalità degli artt. 3, 13, 24 e 25 Cost., e art. 27 Cost., commi 2 e 3, ribadendosi la finalità rieducativa della pena e ponendosi l’accento sugli obiettivi di neutralizzazione carceraria perseguite con il regime speciale in esame. La Corte costituzionale, in tal modo, ribadiva la necessità di giustificare tali limitazioni della vita carceraria del detenuto alla luce di preminenti esigenze di ordine pubblico, in rapporto all’effettivo pericolo della permanenza o della indimostrata cessazione di collegamenti, interni o esterni, del condannato con le organizzazioni criminali di provenienza, costituenti il presupposto del regime penitenziario differenziato Corte Cost., sent. n. 190 del 2010 . In questo articolato contesto, che impone di ritenere manifestamente infondate le censure di costituzionalità prospettate nell’interesse di G.G. - che appaiono basate su presupposti sistematici erronei - deve ribadirsi che le doglianze prospettate nell’interesse del ricorrente non appaiono supportate dai principi affermati dalla Corte costituzionale negli interventi che si sono esaminati, rispetto ai quali appaiono eccentrici i richiami, effettuati nel ricorso in esame, ai Report del 19/11/2013 e dell’08/09/2017, relativi alle visite del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti umani o degradanti. 4.2. Le considerazioni esposte impongono di ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata nell’interesse del ricorrente e immeritevole di accoglimento la doglianza in esame. 5. Per queste ragioni, il ricorso proposto da G.G. deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.