Cellulare rubato e abbandonato su una panchina: trovarlo e tenerlo vale una condanna per furto

Definitiva la sanzione per un uomo finito sotto processo perché beccato ad andare in giro portando con sé un telefonino oggetto di una denuncia per furto. Ha spiegato di aver trovato il cellulare abbandonato su una panchina, ma questo elemento non è sufficiente, secondo i Giudici, per rendere meno grave la sua condotta ed evitargli la condanna.

Pessima idea quella di raccogliere e portar via un telefono cellulare – poi risultato rubato – trovato su una panchina. Tale comportamento può valere, difatti, una condanna per furto Cassazione, sentenza n. 32419/19, sez. V Penale, depositata oggi . Possesso. Concordi i Giudici del Tribunale e della Corte d’Appello sulla pena nei confronti dell’uomo beccato ad andare in giro portando con sé un cellulare – oggetto di denuncia di furto – e finito per questo sotto processo due mesi e venti giorni di reclusione e 80 euro di multa. In secondo grado, però, viene data una lettura diversa all’episodio, verificatosi nel Palermitano i giudici, difatti, ritengono legittimo contestare il reato di furto, e non quello di ricettazione, come invece fatto in primo grado. Inevitabile la contestazione da parte dell’uomo sotto processo, che attraverso il proprio legale prova ad alleggerire la propria posizione, sostenendo che il semplice possesso dell’apparecchio telefonico non può integrare il reato di ricettazione o di furto, essendo stato rinvenuto in stato di abbandono su una panchina . Proprietà. Per il difensore è evidente che la condotta tenuta dal cliente ha avuto ad oggetto una res derelicta . Questa visione viene censurata subito dai giudici della Cassazione, i quali osservano che la condotta ha riguardato un bene che non poteva ritenersi abbandonato, in quanto oggetto di furto . Per meglio inquadrare la vicenda viene poi richiamato il principio secondo cui integra il delitto di furto semplice la condotta di colui che sottragga una cosa rubata, perché essa, ancorché abbandonata dal ladro, non costituisce res derelicta, appropriabile da chiunque, considerato che non vi è abbandono senza una volontà in tal senso dell’avente diritto, che nella specie è il proprietario . In sostanza, la cosa rubata, una volta abbandonata dal ladro, deve considerarsi nuovamente in possesso del proprietario , concludono i giudici della Cassazione. Nessun dubbio, quindi, sulla condanna dell’uomo che sostiene di avere preso possesso del cellulare – risultato rubato – dopo averlo trovato abbandonato su una panchina.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 8 aprile – 19 luglio 2019, n. 32419 Presidente Vessichelli – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 10.01.2018 la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza, emessa all'esito del giudizio abbreviato, del Tribunale di Palermo che aveva dichiarato Un. Se. responsabile del reato di ricettazione del telefono cellulare LG T500 oggetto di denuncia di furto presentata da An. Vi., ha riqualificato il fatto nella fattispecie di cui all'art. 624, comma 1, c.p., confermando nel resto l'affermazione di responsabilità e la pena inflitta di mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed Euro 80,00 di multa. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Un. Se., Avv. Fr. Od., deducendo due motivi di ricorso 2.1. Con un primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, deducendo la carenza di elementi probatori a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputato il semplice possesso dell'apparecchio telefonico non può integrare il reato di ricettazione o di furto, essendo stato rinvenuto su una panchina in stato di abbandono la condotta avrebbe quindi avuto ad oggetto una res derelicta. 2.2. Con un secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata pronuncia di non punibilità ex art. 131 bis, non essendo emerso alcun elemento che possa far ritenere il comportamento dell'imputato come abituale, né tantomeno come grave. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto, pur prescindendo dalla verosimiglianza della versione resa dall'imputato, relativa al preteso rinvenimento del telefono su una panchina - trattandosi di profilo che, in assenza di impugnazione dell'organo di accusa, è insuscettibile di sindacato logico in sede di legittimità -, la condotta ha riguardato un bene che non poteva ritenersi abbandonato, in quanto oggetto di furto. Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare il principio secondo cui integra il delitto di furto semplice, la condotta di colui che sottragga una cosa rubata, perché essa, ancorché abbandonata dal ladro, non costituisce res derelicta appropriabile da chiunque, considerato che non vi è abbandono senza una volontà in tal senso dell'avente diritto, che nella specie é il proprietario Sez. 5, n. 30321 del 15/05/2012, Messina, Rv. 253314 integra il delitto di furto art. 624 cod. pen. la sottrazione di beni già rubati dal terzo, in quanto la cosa rubata e successivamente abbandonata dal ladro non costituisce res derelicta appropriabile, in quanto tale, da chiunque, posto che non vi è abbandono senza una volontà in tal senso dell'avente diritto e tale non può essere considerato il ladro ne deriva che la cosa rubata, una volta abbandonata dal ladro, deve considerarsi nuovamente in possesso del proprietario Sez. 5, n. 24330 del 18/05/2005, Merola, Rv. 232211 Sez. 6, n. 5454 del 26/02/1986, Di Benedetto, Rv. 173099 . Peraltro, è stato altresì affermato che integra il reato di furto - e non quello di appropriazione di cosa smarrita, depenalizzato dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 - la condotta di chi si impossessi di un telefono cellulare altrui oggetto di smarrimento, trattandosi di bene che conserva anche in tal caso chiari segni del legittimo possessore altrui e, in particolare, il codice IMEI stampato nel vano batteria dell'apparecchio Sez. 5, n. 1710 del 06/10/2016, dep. 2017, Corti, Rv. 268910 . 2. Il secondo motivo, con cui si lamenta l'omesso riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., è inammissibile. Premesso che, in tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all'art. 606, comma 3, cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità Sez. 3, n. 19207 del 16/03/2017, Celentano, Rv. 269913 , nel caso in esame la richiesta non è stata proposta con l'atto di appello, né tanto meno in sede di udienza di appello sicché alcun obbligo di motivazione incombeva al riguardo alla Corte territoriale. 3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.