L’accertamento della proporzione tra aggressione e reazione deve essere effettuato ex ante

L’accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa reale o putativa e dell’eccesso colposo deve essere effettuato con un giudizio ex ante”, cioè calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che hanno condotto all’evento infausto, e non con giudizio ex post”, onde apprezzare l’esistenza dei canoni della proporzione tra offesa e reazione al momento iniziale della condotta posta in essere dal soggetto agente.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 31990/2019, depositata il 18 luglio u.s., coglie l’occasione per reiterare le linee di definizione che incorniciano la figura della causa esimente della legittima difesa. Il fatto. La Corte d’Assise d’Appello di Milano confermava la sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Milano che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato un imputato di nazionalità nigeriana alla pena di anni sei di reclusione per il reato di omicidio preterintenzionale. Nella specie, l’uomo era accusato di aver ucciso il proprio cugino durante una colluttazione, con il colpo di due coltellate, di cui una alla zona sopra claveare e l’altra al braccio sinistro. Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, deducendo tre motivi di ricorso, tra i quali merita approfondimento quello denunciante la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa. In particolare, il difensore lamenta l’omessa valutazione delle risultanze processuali relative alla dimostrata circostanza secondo cui il ricorrente sarebbe stato vittima di un’aggressione unilaterale da parte del cugino e finalizzata a deprivarlo della propria vita. Il ricorso è infondato. I Giudici di Legittimità della Quinta sezione, dinanzi al caso di specie, non hanno avuto alcun dubbio nel riscontrare la corretta esclusione operata dai Giudici di merito della causa esimente di cui all’articolo 52 c.p. anche nella sua forma putativa, in ragione della ritenuta mancanza di un pericolo imminente alla vita e della proporzione tra offesa e reazione. Osservano gli Ermellini che, sebbene nell’ambito della fattispecie concreta la vittima fosse più robusta dell’imputato e avesse cercato con insistenza lo scontro fisico con il medesimo che, al contrario, cercava di andar via per evitare la lite – la situazione , la situazione, valutata nel suo complesso, non giustificava il ricorso ad un’arma da taglio. Nella pronuncia in commento, infatti, viene valorizzato un principio già consolidato nell’ermeneusi della Corte di Legittimità, in virtù del quale l’accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa reale o putativa e dell’eccesso colposo deve essere effettuato con un giudizio ex ante”, cioè calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che hanno condotto all’evento infausto, e non con giudizio ex post”, onde apprezzare l’esistenza dei canoni della proporzione tra offesa e reazione al momento iniziale della condotta posta in essere dal soggetto agente. Nel caso di specie, i colpi sferrati con un coltello in parti vitali del corpo della vittima non possono dirsi proporzionati rispetto agli atti di aggressione posti in essere dalla vittima, tra l’altro del tutto disarmata. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 marzo – 18 luglio 2019, n. 31990 Presidente Catena – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 07.02.2018 la Corte d’Assise di Appello di Milano ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Milano che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato N.M.A.E. responsabile del reato di omicidio preterintenzionale, condannandolo alla pena di anni sei di reclusione, per avere, nel corso di una colluttazione, cagionato la morte del cugino Ne.Mo.At.Ib. , colpendolo con due coltellate, di cui una inferta in zona sopra claveare destra e l’altra al braccio sinistro. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di N.M.A.E. , Avv. Guido Camera, deducendo tre motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di giustificazione di cui all’art. 52 c.p La Corte di Assise di Appello avrebbe omesso in considerare quanto emerso dalle risultanze probatorie, che dimostrerebbero come l’odierno ricorrente sia stato vittima di una aggressione unilaterale e deliberata da parte del cugino. La ricostruzione dei fatti operata dall’imputato e quella del teste J.S. il fattorino della pizzeria , che avrebbe riferito di aver visto A. cercare di allontanarsi per evitare l’aggressione del cugino, dimostrerebbero come l’imputato si sia difeso dal pericolo attuale di un’aggressione ingiusta alla propria vita. Tesi che sarebbe confermata anche dalla perizia medico-legale del consulente tecnico del pubblico ministero, Dott. Luca Barulli, in cui si riscontrano gravi lesioni subite dall’imputato, compatibili con l’aggressione da questi riferita. L’imputato si trovava con un aggressore ben più robusto addosso, che, in preda ad una furia percepita come omicida, lo aveva messo all’angolo e non gli dava modo di divincolarsi, dopo avergli impedito di scappare dal locale in tal contesto, egli, alzando le braccia, aveva trovato un coltello da cucina e aveva reagito nell’unico modo possibile per far cessare l’aggressione in corso. Né, del resto, le finalità omicide dell’Attia potevano essere escluse dal fatto che fosse disarmato, avendo egli già utilizzato un casco per percuotere il cugino, e spinto nel seminterrato per percuoterlo. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della legittima difesa nella forma putativa. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’eccesso colposo ex art. 55 c.p La Corte, nell’escludere la legittima difesa, avrebbe errato nel valutare correttamente se l’imputato abbia agito al più per eccesso colposo di legittima difesa, ovvero se la sua condotta sia stata determinata da un errore di valutazione con il conseguente superamento colposo degli schemi della scriminante. Considerato in diritto 1. Il ricorso è nel suo complesso infondato. 2. Prescindendo dalle doglianze mediante le quali il ricorrente propone una rilettura degli elementi probatori, sollecitando una non consentita rivalutazione del merito a questa Corte, giova premettere che, secondo la ricostruzione accertata dalla sentenza impugnata, la mattina del 18 maggio 2016 l’imputato si recava presso la pizzeria omissis , che gestiva insieme al cugino At. nell’ambito di rapporti già tesi, sorgeva una discussione tra i due, nel corso della quale l’odierno ricorrente, preso il casco, tentava di allontanarsi dalla pizzeria con la moto il cugino, tuttavia, lo tratteneva, riportandolo nel locale cucina, e colpendolo alla schiena con il casco l’imputato, spinto contro il lavandino di schiena, nel tentativo di difendersi, afferrava un coltello, colpendo il cugino al braccio e al collo, e provocandogli ferite che ne avrebbero di lì a poco cagionato la morte. 3. Tanto premesso, i primi due motivi sono infondati, in quanto la sentenza impugnata ha correttamente escluso la sussistenza dei presupposti della legittima difesa, anche nella forma putativa, per l’assorbente considerazione della mancanza di un pericolo imminente alla vita e della proporzione tra aggressione e reazione. Nonostante la vittima fosse più robusta dell’imputato, e vi fosse stata una colluttazione con l’uso, da parte dell’At. , di un casco, la situazione concreta non giustificava il ricorso ad un’arma da taglio premesso che la vittima aveva afferrato il casco del cugino verosimilmente al solo fine di impedirne l’allontanamento e di indurlo a garantire le consegne a domicilio, e che, in ogni caso, non si trattava di un’arma propria, la Corte territoriale ha ritenuto, con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, che nel corso della colluttazione in cucina l’imputato avrebbe potuto ricorrere ad una reazione meno pericolosa e proporzionata rispetto al ridotto pericolo corso in quel frangente il cugino, infatti, era a mani nude”, non impugnava alcuna arma, e intendeva soltanto costringerlo ad eseguire le consegne, al massimo percuotendolo del resto, l’imputato, oltre a poter sollecitare l’aiuto del dipendente della pizzeria, che era presente ai fatti, avrebbe potuto servirsi di un oggetto diverso e non letale per neutralizzare l’aggressione del cugino, come ad esempio la teglia metallica ritratta nei rilievi fotografici proprio a fianco del lavandino dove A. era stato spinto. Pertanto, la sentenza impugnata deve ritenersi immune da censure premesso che il riconoscimento o l’esclusione della legittima difesa, reale o putativa, e dell’eccesso colposo nella stessa costituiscono un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità quando gli elementi di prova siano stati puntualmente accertati e logicamente valutati dal giudice di merito Sez. 1, n. 3148 del 19/02/2013, dep. 2014, Mariani, Rv. 258408 Sez. F, n. 39049 del 26/08/2008, Greco, Rv. 241553 , va rammentato che l’accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa reale o putativa e dell’eccesso colposo deve essere effettuato con un giudizio ex ante calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sé considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un’ingiusta aggressione Sez. 4, n. 24084 del 28/02/2018, Perrone, Rv. 273401 Sez. 4, n. 33591 del 03/05/2016, Bravo, Rv. 267473 L’accertamento della legittima difesa, anche putativa, deve essere effettuato valutando, con giudizio ex ante , le circostanze di fatto, in relazione al momento della reazione e al contesto delle specifiche e peculiari circostanze concrete, al fine di apprezzare solo in quel momento - e non ex post - l’esistenza dei canoni della proporzione e della necessità di difesa, costitutivi dell’esimente della legittima difesa . Ebbene, nel ribadire che, in tema di legittima difesa art. 52 c.p. , è regola di esperienza che colui che è reiteratamente aggredito reagisce come può, secondo la concitazione del momento, e non è tenuto a calibrare l’intensità della reazione, finalizzata ad indurre la cessazione della avversa condotta lesiva, salva l’ipotesi di eventuale manifesta sproporzione della reazione Sez. 5, n. 25608 del 24/02/2011, Faraci, Rv. 250396 , va evidenziato che, nel caso in esame, manca il requisito della proporzione tra offesa e difesa, tra reazione ed aggressione, che fonda la causa di giustificazione della legittima difesa, essendo stato ritenuto manifestamente sproporzionato l’uso di un coltello per colpire, peraltro in punti vitali, l’aggressore che era del tutto disarmato. Quanto alla legittima difesa putativa, a prescindere dalla assoluta genericità delle doglianze, declinate con un assertivo, quanto laconico, richiamo a pacifici principi giurisprudenziali, va rammentato che l’errore scusabile, nell’ambito della legittima difesa putativa, deve trovare adeguata giustificazione in qualche fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell’agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo attuale di un’offesa ingiusta Sez. 1, n. 3464 del 24/11/2009, dep. 2010, Narcisio, Rv. 245634 , sulla base di dati di fatto concreti, e cioè di una situazione obiettiva atta a far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in presenza di un pericolo presente ed incombente, non futuro o già esaurito, di un’offesa ingiusta Sez. 1, n. 4337 del 06/12/2005, dep. 2006, La Rocca, Rv. 233189 . Nel caso in esame, pur sussistendo il requisito della necessità di difendersi, ciò che manca, ai fini del riconoscimento della scriminante, anche nella forma putativa, è la proporzione tra offesa e difesa in altri termini, l’autore non si è erroneamente rappresentato la necessità di difendersi dall’aggressione - circostanza che avrebbe potuto fondare l’operatività della scriminante putativa, ai sensi dell’art. 59 c.p., comma 4, qualora fossero stati presenti anche gli altri requisiti della causa di giustificazione -, ma ha reagito in maniera del tutto sproporzionata rispetto all’offesa che gli era stata rivolta, e che aveva correttamente percepito nella propria dimensione fattuale né, del resto, è emersa una erronea supposizione in merito al grado dell’offesa minacciata, concernente il coinvolgimento del bene vita, anziché della mera integrità fisica. Invero, il giudizio di proporzione, che non può essere fatto né fra i mezzi difensivi a disposizione, né tra i beni astrattamente in gioco, va formulato sulla base del raffronto tra i beni in conflitto ed il grado dell’offesa, ovvero tra le offese minacciata e arrecata nel caso in esame, venendo in rilievo due beni eterogenei integrità fisica e vita , occorre valutare il grado di intensità dell’offesa minacciata, che, nella fattispecie, era modesto, in quanto l’aggressore stava percuotendo l’odierno ricorrente a mani nude”, senza alcuna arma, e senza che sia emersa alcuna più spiccata e sproporzionata forma di violenza fisica sicché la difesa posta in essere dall’imputato, con una reazione che ha attentato, non già alla mera integrità fisica, ma alla vita dell’aggressore, colpito al collo, in una zona del corpo evidentemente vitale, non può essere ritenuta proporzionata all’offesa minacciata all’integrità fisica. Ne consegue, pertanto, la non configurabilità anche della forma putativa della legittima difesa, non avendo l’agente erroneamente percepito la necessità di difendersi, ma avendo egli reagito in maniera del tutto sproporzionata, senza che sia emerso, sulla base di concreti elementi di fatto, una erronea rappresentazione del grado dell’offesa minacciata. 4. Il terzo motivo, concernente l’eccesso colposo, è infondato. L’art. 55 c.p., invero, disciplinando l’ipotesi in cui si eccedono colposamente i limiti imposti dalla necessità , postula che la necessità di difendersi esista, ma che l’agente ne abbia varcato i limiti. Al riguardo, è stato affermato che, ai fini della configurabilità dell’eccesso colposo di legittima difesa, occorre preliminarmente accertare l’eventuale inadeguatezza della reazione difensiva, per eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito nel particolare contesto spaziale e temporale nel quale si svolsero i fatti, e successivamente procedere all’ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, poiché soltanto il primo rientra nello schema dell’eccesso colposo, mentre il secondo costituisce scelta volontaria, estranea alla predetta scriminante Sez. 1, n. 47662 del 22/11/2011, Fioramonte, Rv. 252182 in tema di legittima difesa l’eccesso colposo si verifica quando la giusta proporzione fra offesa e difesa venga meno per colpa, intesa come errore inescusabile, ovvero per precipitazione, imprudenza o imperizia nel calcolare il pericolo e i mezzi di salvezza, mentre si fuoriesce da esso tutte le volte in cui i limiti della necessità della difesa vengano superati in conseguenza di una scelta cosciente e volontaria, così trasformando la reazione in uno strumento di aggressione Sez. 3, n. 30910 del 27/04/2018, L, Rv. 273731 . Tanto premesso, nel caso in esame la sentenza impugnata ha correttamente escluso l’eccesso colposo in legittima difesa, in quanto la reiterazione dei colpi e la violenza con cui è stata inferta la coltellata al collo escludono un mero errore di valutazione c.d. errore inabilità, nell’esecuzione , confermando, invece, il volontario superamento dei limiti della scriminante come opportunamente sottolineato dalla Corte territoriale, invero, già la coltellata al braccio avrebbe consentito all’agente di sottrarsi alla presa del cugino al contrario, egli ha reiterato il colpo, attingendo la vittima al collo, in una zona notoriamente vitale del corpo. 5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.