I destinatari dell'ordinanza sindacale di rimozione e smaltimento dei rifiuti abbandonati

La Corte di Cassazione chiarisce quali sono i destinatari dell’ordinanza sindacale di rimozione e smaltimento dei rifiuti e rispristino dei luoghi prevista dall’art. 192, comma 3, T.U. ambiente, e quelli del precetto di cui all’art. 255, comma 3, dello stesso decreto legislativo, specificando che spetta a costoro ottenere l’annullamento ovvero la disapplicazione della citata ordinanza per non incorrere in alcuna responsabilità.

Questo il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 31291/19, depositata il 17 luglio. Il caso. La Corte d’Appello dell’Aquila confermava la sentenza del Tribunale, con la quale l’imputato era stato condannato per non avere, quale titolare di una ditta esercente attività di agente e rappresentante di latticini, ottemperato all’ordinanza emanata dal Sindaco avente ad oggetto l’intimazione a provvedere entro 30 giorni alla rimozione e al corretto smaltimento dei rifiuti alimentari abbandonati sul ciglio di una strada provinciale. Avverso tale pronuncia, l’imputato propone ricorso per cassazione, deducendo l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato circa l’affermazione della sua responsabilità, contrastante con altra pronuncia giudiziale che lo assolve dal reato di abbandono di rifiuti. L’abbandono di rifiuti. La Suprema Corte dichiara fondato il ricorso perché il fatto non sussiste, ricostruendo il quadro normativo che regola la materia, in particolare gli artt. 255, comma 3, e 192, commi 1 e 3 del T.U. ambiente. In particolare, la Corte rileva che gli elementi essenziali della fattispecie di cui al comma 3 dell’art. 255, il quale punisce chi non ottemperi all’ordinanza del Sindaco di cui all’art. 192, comma 3, sono la sussistenza di tale ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti e la condotta di inottemperanza alla suddetta da parte dei destinatari, trattandosi di un reato proprio che può essere commesso solo dai destinatari formali dell’ordinanza. Ma c’è di più, poiché gli Ermellini mettono in luce i diversi destinatari dei diversi obblighi, ribadendo che il soggetto obbligato alla rimozione e al rispristino coincide con la persona che ha violato il divieto di abbandono, al quale si affianca in solido il proprietario del sito quando la violazione sia ad egli imputabile per dolo o colpa. Accanto al divieto generale di abbandono di rifiuti e al correlato obbligo di rimozione si colloca l’ordinanza sindacale di rimozione, smaltimento e ripristino dei luoghi ex art. 192, comma 3, pronunciabile solo avverso i soggetti che abbiano abbandonato i rifiuti ovvero siano proprietari del terreno inquinato, mentre il precetto di cui all’art. 255 è rivolto ai destinatari formali dell’ordinanza sindacale. Ciò significa che spetterà a costoro la possibilità di ottenere l’annullamento dell’ordinanza sindacale in via amministrativa o giurisdizionale, per evitare di rendersi responsabili dell’inottemperanza, ovvero di provare in sede penale di non essere proprietari del terreno o responsabili dell’abbandono per ottenerne la disapplicazione. Ciò posto, gli Ermellini hanno riscontrato un errore del Giudice nell’aver pretermesso la valutazione sulla legittimità dell’ordinanza sindacale, che era da ritenersi esclusa per via del venir meno del suo presupposto applicativo, cioè dell’abbandono dei rifiuti. Non avendo, dunque, la Corte territoriale disapplicato l’atto amministrativo illegittimo, gli Ermellini annullano senza rinvio la decisione impugnata poiché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 maggio – 17 luglio 2019, n. 31291 Presidente Di Nicola – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Teramo con la quale R.G. era stato condannato, alla pena di mesi tre di arresto, in ordine al reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 255, comma 3 per avere, quale titolare dell’omonima ditta esercente l’attività di agente e rappresentante di latte, burro e formaggi, non ottemperato all’ordinanza sindacale n. 18 del 05/04/2014, emanata dal Sindaco di Teramo, ai sensi dell’art. 192, comma 3, medesimo decreto, con la quale si intimava di provvedere, entro trenta giorni dalla notifica 08/04/2014 , alla rimozione e al corretto smaltimento dei rifiuti alimentari, abbandonati lungo la , in epoca precedente al omissis . Accertato il omissis . 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo, con un unico motivo di ricorso, la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e in relazione all’illogicità e contraddittorietà della motivazione sulla affermazione della responsabilità penale, in contrasto con altra pronuncia giudiziale. Argomenta il ricorrente l’illogicità della motivazione nella parte in cui fonda il proprio convincimento sul mero dato fattuale della inottemperanza all’ordinanza di rimozione dei rifiuti, emessa dal Sindaco di Teramo, ignorando completamente l’intervenuta sentenza di assoluzione, passata in giudicato, emessa dal Tribunale di Teramo, in relazione al reato di abbandono di rifiuti. Illogicità della motivazione risiederebbe nella circostanza per cui l’imputato sarebbe stato dichiarato responsabile per un fatto di reato e, allo stesso tempo, punito per l’inottemperanza ad un ordine amministrativo di rimozione dei rifiuti, che traeva giustificazione dalla commissione del reato e che lo presupponeva. La corte territoriale avrebbe ritenuto del tutto irrilevante la successiva sentenza assolutoria, avrebbe ignorato che la soluzione definitiva del ricorrente per il reato presupposto si riverbera integralmente sulla affermazione della responsabilità del reato contestato che presuppone l’accertamento del fatto di abbandono di rifiuti. Il conflitto tra le sentenze comporta l’illegittima conseguenza per cui l’imputato, ad oggi, è stato ritenuto estraneo dall’abbandono di rifiuti e, allo stesso tempo, riconosciuto colpevole per non aver ottemperato all’ordinanza comunale che gli imponeva di rimuovere i rifiuti abbandonati. Chiede l’annullamento della sentenza. 3. In udienza, il Procuratore generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e la sentenza va annullata, senza rinvio, perché il fatto non sussiste. 2. Occorre muovere all’esegesi delle norme giuridiche che regolano la materia e segnatamente dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 255, comma 3, art. 192, commi 1 e 3, medesimo decreto. Gli elementi essenziali della fattispecie penale di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 255, comma 3 che punisce chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’art. 192, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui all’art. 187, comma 3, è punito con la pena dell’arresto fino ad un anno , sono l’esistenza di un’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, emessa ex art. 192 cit. e la condotta di inottemperanza da parte dei destinatari dell’ordinanza stessa. Come chiarito dalle sentenze di Questa Terza Sezione della Corte di cassazione Grispo e Viti, trattasi - nonostante l’apparenza contraria indotta dal riferimento lessicale a chiunque - di un reato proprio, che può essere commesso solo dai destinatari formali dell’ordinanza Sez. 3, n. 24724 del 15/05/2007, Grispo, Rv. 236954 - 01 Sez. 3, n. 31003 del 10/07/2002, P.M. in proc. Viti M ed altro, Rv. 222421 . In particolare, la pronuncia Grispo mette in luce i diversi destinatari dei diversi obblighi, inizialmente dettati dal D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 14 e 17 cd. Decreto Ronchi , la cui disciplina è stata poi trasfusa nell’attuale D.Lgs. n. 152 del 2006 che regola il settore. L’art. 14 del Decreto Ronchi individuava il soggetto obbligato alla rimozione ed al ripristino nella persona che ha violato il divieto di abbandono, al quale è affiancato in solido il proprietario del sito o il titolare di diritti di godimento sulla area solo se la violazione gli sia imputabile a titolo di dolo o di colpa . Accanto al generale divieto di abbandono dei rifiuti e al correlato obbligo di rimozione in capo a colui che ha proceduto all’abbandono ed alla posizione del proprietario incolpevole , si colloca l’ordinanza sindacale di rimozione, smaltimento e ripristino dei luoghi, prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 14, comma 3 ora D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192, comma 3. Essa può essere emanata solo nei confronti dei soggetti che hanno abbandonato i rifiuti. Sempre la pronuncia Grispo si riallaccia e ripete i principi fissati dalla precedente sentenza Sez. 3, n. 31003 del 10/07/2002, P.M. in proc. Viti M ed altro, Rv. 222421 , che evidenziava come, mentre il comando di cui all’art. 14, comma 3, è rivolto ai responsabili dell’abbandono di rifiuti e ai proprietari del terreno inquinato, il precetto dell’art. 50, comma 2, è rivolto ai destinatari formali dell’ordinanza sindacale di modo che spetta a costoro, per evitare di rendersi responsabili dell’inottemperanza, di ottenere l’annullamento dell’ordinanza sindacale per via amministrativa o per via giurisdizionale, o - al limite - di provare in sede penale di non essere proprietari del terreno nè responsabili dell’abbandono, al fine di ottenere dal giudice penale la disapplicazione dell’ordinanza per illegittimità cioè per mancanza dei presupposti soggettivi . Mentre onere dell’organo dell’accusa è solo quello di provare gli elementi essenziali del reato previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 50, comma, 2 oggi dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 255, comma 3, ossia, da una parte, l’esistenza dell’ordinanza sindacale assistita da presunzione di legittimità e, dall’altra, l’inottemperanza da parte dei suoi destinatari. Dunque, sulla scorta dei condivisibili principi, che il Collegio intende ribadire e dare continuità, la sanzione penale di cui all’art. 255, comma 3 cit., è rivolto propriamente ai destinatari formali dell’ordinanza sindacale, mentre il precetto di cui all’art. 193, comma 3, è rivolto ai responsabili dell’abbandono di rifiuti e ai proprietari del terreno inquinato. Ma in ogni caso, spetta a costoro, per evitare di rendersi responsabili dell’inottemperanza, di ottenere l’annullamento dell’ordinanza sindacale per via amministrativa o per via giurisdizionale, o - al limite - di provare in sede penale di non essere proprietari del terreno nè responsabili dell’abbandono, al fine di ottenere dal giudice penale la disapplicazione dell’ordinanza per illegittimità cioè per mancanza dei presupposti soggettivi . 3. Nel caso in esame, incontestata l’inottemperanza dell’ordinanza del Sindaco di Teramo che intimava al R.G. , titolare dell’omonima ditta individuale esercente l’attività di agente e rappresentante latte, burro e formaggi , la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti rinvenuti sul ciglio della strada provinciale, allegata dal difensore la sentenza di assoluzione, passata in giudicato, dal reato di abbandono di rifiuti, la Corte d’appello ha errato nel pretermettere la valutazione circa la legittimità dell’ordinanza sindacale che, seppur assistita da presunzione di legittimità, era nel caso concreto da ritenersi esclusa in ragione della venuta meno del suo presupposto applicativo dell’abbandono dei rifiuti. L’imputato, in altri termini, aveva provato l’assenza di sua responsabilità nell’abbandono, al fine di ottenere la disapplicazione della ordinanza illegittima per carenza dei presupposti soggettivi , sicché la Corte territoriale, preso atto dell’assenza dei presupposti di legittimità dell’ordinanza sindacale avrebbe dovuto disapplicare l’atto amministrativo illegittimo e assolvere l’imputato per insussistenza del fatto. Insussistenza del fatto che deve essere rilevata in questa sede. Pertanto, la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.