Archivio informativo: vietato il sequestro probatorio “indiscriminato”

In assenza di motivate eccezioni, il sequestro probatorio non può riguardare, indiscriminatamente, interi sistemi informativi. Conseguentemente, il pc va sottoposto a perquisizione mirata, nell’ottica di filtrare solo quanto di rilievo.

Lo ha stabilito la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31593, depositata in cancelleria il 17 luglio 2019. Procedimenti connessi, perquisizioni e sequestro probatorio. Nel caso concreto, in seno ad un procedimento penale per corruzione in atti giudiziari cui accedevano connessi procedimenti per falsa testimonianza, il Tribunale - su richiesta della procura - ha accordato perquisizioni in talune aziende nonché il sequestro probatorio di documenti, manoscritti, comunicazioni, anche contenuti in supporti informatici, telefoni cellulari, dispositivi elettronici, tablet, pc e simili. Adito ai sensi degli artt. 257 e 324, c.p.p., il medesimo Tribunale ha rigettato la richiesta di annullamento della misura di ricerca probatoria, sottolineandone la legittimità tanto sotto il profilo della pertinenza dei beni sequestrati agli illeciti per i quali si procedeva quanto per i caratteri di adeguatezza e proporzionalità della misura rispetto alle finalità perseguite. Pertinenza, adeguatezza e proporzionalità del sequestro. La vicenda è stata infine portata all’attenzione degli ermellini, ai quali il titolare delle aziende sotto perquisizione ha reiterato, insieme all’indagato, la richiesta di annullare la misura siccome disposta in base a perquisizioni meramente esplorative e, comunque, disposto in assenza dei requisiti di pertinenzialità agli illeciti, adeguatezza e proporzionalità. Sullo sfondo, la doglianza per la quale la procura avrebbe sequestrato, tra vari beni, un pc che ospitava corrispondenza inutilizzabile perché relativa alle interlocuzioni tra indagato e difensore di fiducia. La sentenza in epigrafe merita apprezzamento per le dirimenti considerazioni svolte dalla Suprema Corte in tema di sequestro probatorio. Pertinenzialità all’illecito. In primo luogo, i giudici romani hanno ricordato che ai fini della legittimità del sequestro probatorio non è necessaria la prova del carattere di pertinenza o di corpo di reato delle cose oggetto del vincolo, essendo sufficiente la semplice possibilità, purché non astratta ed avulsa dalle caratteristiche del caso concreto, della configurabilità di un rapporto di queste con il reato. Ebbene, nel caso concreto, i file salvati dai pc sequestrati, anche in ragione della collocazione di questi situati in azienda , potevano provare l’attività delittuosa per la quale si procedeva, con particolare riferimento alle deposizioni false e ai rapporti tra i testimoni e l’indagato per corruzione in atti giudiziari. Corrispondenza indagato/difensore. Sotto altro versante, parimenti legittimo – ha osservato la Corte – è il sequestro del pc che potrebbe contenere corrispondenza tra indagato e difensore di fiducia laddove i il sequestro non sia disposto presso l’ufficio del difensore e ii non sia finalizzato a ricercare una tale genere di corrispondenza che, comunque, nel caso di specie, non è stata rinvenuta . Sequestro di archivio informatico occorre filtrare, salvo eccezioni. Infine e soprattutto , la Corte ha ribadito l’importanza dei canoni di adeguatezza e proporzionalità della misura di ricerca della prova in esame, specie quando il sequestro abbia ad oggetto materiale informatico. In proposito, la Corte ribadisce l’illegittimità del sequestro probatorio - così lo si definisce - indiscriminato”, ossia il sequestro di un sistema informatico, quale è il pc, che conduca – in difetto di specifiche ragioni – ad una apprensione, senza filtro, di tutte le informazioni ivi contenute. In questi termini, la Corte richiamando il disposto dell’art. 275, c.p.p., ha escluso che il sequestro possa riguardare interi sistemi informativi pc , siccome equiparati ad archivi/database c.d. archivio elettronico . In definitiva, il pc, salvo motivata eccezione, va sottoposto a perquisizione mirata al cui esito potrà essere sequestrato esclusivamente quanto di rilievo cfr., in tal senso, artt. 275, comma 1- bis , e art. 352, comma 1- bis , cit. . Proprio tale ultima regola, nel caso esaminato, sarebbe risultata violata, motivo per cui i giudici romani hanno annullato il provvedimento, con rinvio al Tribunale per un nuovo esame della questione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 2 – 17 luglio 2019, n. 31593 Presidente Mogini – Relatore Aprile Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con ordinanza sopra indicata il Tribunale di Roma, adito ai sensi degli artt. 257 e 324 c.p.p., confermava il decreto del 22/01/2019 con il quale il Pubblico Ministero presso quel Tribunale aveva disposto, unitamente alla perquisizione in una serie di immobili, il sequestro di documenti, manoscritti, comunicazioni, anche contenuti in supporti informatici, telefoni cellulari, dispositivi elettronici, tablet, pc e simili, concernenti i rapporti e gli accordi tra L.R. , D.P. , G.A. e S.V. , sottoposti ad indagini per il reato di falsa testimonianza commesso mediante le deposizioni dagli stessi rese quali testi nel giudizio dibattimentale in corso di svolgimento a carico di R.S. ed altri, imputati in relazione al reato di corruzione in atti giudiziari in concorso con Ru.Ni. , giudice della Commissione tributaria regionale. Rilevava il Tribunale come gli elementi a disposizione avessero dimostrato la sussistenza della astratta configurabilità dei delitti innanzi indicati come i beni elencati nel decreto di sequestro impugnato ben potessero tutti considerarsi cose pertinenti agli illeciti oggetto di investigazioni e come la disposta misura di ricerca della prova potesse considerarsi adeguata e proporzionata rispetto alle finalità perseguite. 2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso B.A. quale legale rappresentante delle società elencate in epigrafe, con atto sottoscritto dal suo difensore avv. De Zordo Daniela, il quale ha dedotto i seguenti tre motivi. 2.1. Violazione di legge, per avere il Tribunale di Roma confermato l’indicato decreto di sequestro probatorio benché nella motivazione dello stesso non fossero state affatto indicate le ragioni per cui presso le sedi delle suddette società potevano trovarsi cose pertinenti ai reati per i quali si procede misura, dunque, che era stata adottata con finalità puramente esplorative, senza il rispetto dei canoni di adeguatezza e proporzionalità, in assenza di qualsivoglia collegamento tra i reati presupposto ed i beni appartenenti a soggetti terzi, in specie i computer di proprietà di quelle imprese collettive, compresi un pc e un hard disk appartenenti a soggetti diversi da R.E. . 2.2. Violazione di legge, per avere il Tribunale del riesame confermato il primigenio provvedimento di sequestro probatorio, benché nello stesso non fosse stato menzionato alcun elemento da cui poter desumere l’esistenza di un rapporto di pertinenzialità trai reati di falsa testimonianza, oggetto di indagini, e le attività delle considerate società commerciali, con apprensione indiscriminata dell’intero materiale presente nei supporti informatici rinvenuti. 2.3. Violazione di legge, in relazione all’art. 103 c.p.p., per avere il Tribunale del merito confermato il decreto di sequestro probatorio benché in fase di esecuzione della misura fosse stato fatto presente al personale di polizia giudiziaria che i computer delle società potevano contenere corrispondenza inerente al mandato difensivo tra l’avv. Biffa Massimo e il suo assistito R.S. , con la conseguenza che il materiale appreso è processualmente inutilizzabile e va immediatamente restituito. 3. Avverso la medesima ordinanza hanno presentato ricorso anche R.S. , R.E. e F.G. , con atto sottoscritto dal loro difensore avv. Biffa Massimo, i quali hanno dedotto i seguenti due motivi. 3.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 125 c.p.p. e art. 372 c.p., per avere il Collegio del riesame confermato il provvedimento di sequestro probatorio in totale assenza di elementi idonei a configurare un fumus commissi delitti, essendosi limitato ad evidenziare la difformità tra quanto riferito dai testi sopra elencati nel corso del giudizio dibattimentale e quanto dagli stessi riferito agli inquirenti nella fase delle indagini preliminari. 3.2. Violazione di legge, per avere il giudice della impugnazione confermato l’originario decreto di sequestro probatorio, benché nello stesso non fosse stato menzionato alcun elemento da cui poter desumere l’esistenza di un rapporto di pertinenzialità tra i reati di falsa testimonianza, oggetto di indagini, ed il materiale informatico oggetto di apprensione, senza alcuna previa verifica del relativo contenuto. 4. Ritiene la Corte che i ricorsi siano fondati, sia pure nei limiti di seguito precisati. 4.1. Il primo e il secondo motivo del ricorso a firma dell’avv. De Zordo e il collegato secondo motivo del ricorso a forma dell’avv. Biffa sono infondati nella parte relativa alla mancata motivazione del rapporto di pertinenzialità tra i beni ricercati e i reati oggetto di indagine. Nella giurisprudenza di legittimità si è reiteratamente chiarito che ai fini della legittimità del sequestro probatorio non è necessaria la prova del carattere di pertinenza o di corpo di reato delle cose oggetto del vincolo, essendo sufficiente la semplice possibilità, purché non astratta ed avulsa dalle caratteristiche del caso concreto, della configurabilità di un rapporto di queste con il reato Sez. 6, n. 33229 del 02/04/2014, Visca, Rv. 260339 . A tali criteri ermeneutici il Tribunale romano si è uniformato, sottolineando come il rapporto di pertinenzialità tra reato e cose sequestrate non fosse riferibile ai supporti elettronici o informatici appresi, come entità fisica e materiale, ma al loro contenuto, ben potendo i relativi documenti o files essere utili all’accertamento delle possibili intese illecite raggiunte tra R.S. , imputato del suddetto grave reato contro la pubblica amministrazione, ed i testi esaminati nel corso del relativo giudizio dibattimentale i quali, in maniera del tutto ingiustificata, avevano modificato la loro precedente versione, raccolta dagli inquirenti durante le indagini, in ordine alla collocazione cronologica e alla natura dei primi rapporti tra lo stesso R. e il giudice Ru.Ni. . Avendo il Giudice del riesame pure sottolineato come nessun rilievo potesse avere la circostanza che il materiale oggetto di ablazione poteva contenere anche dati inerenti alle attività di terzi soggetti, quali le menzionate società commerciali, trattandosi di elementi giuridicamente inidonei a limitare l’operato dell’autorità giudiziaria che sta svolgendo indagini su fatti penalmente rilevanti ciò tanto più ove si consideri che è stato lo stesso ricorrente B. a riconoscere, formulando uno dei motivi posti a base del proprio atto di impugnazione, che nei computer di quelle società potessero esservi documenti personali di R.S. che le carte del procedimento avevano comprovato che quelle imprese collettive, direttamente o indirettamente coinvolte nella vicenda della corruzione in atti giudiziari, facevano sostanzialmente capo al prevenuto e, soprattutto, che, come convincentemente sottolineato nella motivazione della ordinanza impugnata, R.E. aveva conservato le chiavi dell’immobile dove hanno sede quelle compagni sociali e dove il giovane aveva conservato una postazione di lavoro, sicché era ragionevole pensare che potesse esservi recato per effettuare comunicazioni, rilevanti ai fini delle investigazioni, in ragione dello stato detentivo domiciliare del di lui genitore, cui era stato fatto divieto di avere rapporti comunicativi con persone diverse da quelle che con lui coabitano. 4.2. Del pari manifestamente infondato è il terzo motivo del ricorso a firma dell’avv. De Zordo, in quanto il Collegio del riesame ha spiegato come non solo fosse inappropriato il richiamo dell’art. 103 c.p.p., tenuto conto che la perquisizione e il sequestro non erano stati disposti nell’ufficio di un difensore, nè tanto meno avessero avuto come scopo quello di cercare documentazione afferente ai rapporti tra R.S. e il suo difensore ed ancora, che solo nella fase esecutiva del provvedimento ablatorio, il legale rappresentante delle società commerciali aveva genericamente prospettato come meramente eventuale l’ipotesi che in quei supporti informatici potesse essere custodita corrispondenza tra il R. e il suo patrocinatore, circostanza che, tuttavia, non era stata concretamente riscontrata. 4.3. Il primo motivo del ricorso a firma dell’avv. Biffa è inammissibile perché presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge, contenendo esso doglianze che attengono in pratica a vizi di motivazione dell’ordinanza gravata ciò in quanto, come noto, l’art. 325 c.p.p. prevede che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse dal tribunale del riesame in materia di misure reali possa essere presentato solo per far valere violazioni di legge. Considerato che è certo che in tema di sequestro non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delitti , vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato così Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018, Armeli, Rv. 273069 , va rilevato come il Tribunale del riesame ha fornito una articolata e completa motivazione capace di giustificare la sussistenza di quel presupposto per l’adozione della misura di ricerca della prova. Mentre il ricorrente si è sostanzialmente limitato a formulare una serie di censure in fatto, sollecitando una lettura delle emergenze a disposizione alternativa rispetto a quella, non sindacabile in questa sede di legittimità, privilegiata dai giudici di merito. 4.4. Sono, invece, fondati il primo e il secondo motivo del ricorso a firma dell’avv. De Zordo e il collegato secondo motivo del ricorso a forma dell’avv. Biffa, nella parte in cui è stata lamentata una lesione dei criteri di adeguatezza e proporzionalità nella adozione ed esecuzione del provvedimento di sequestro di materiale informatico. Costituisce espressione di un sufficientemente consolidato orientamento di questa Corte il principio secondo il quale è illegittimo, per violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza, il sequestro a fini probatori di un sistema informatico, quale è un personal computer, che conduca, in difetto di specifiche ragioni, ad una indiscriminata apprensione di tutte le informazioni ivi contenute così Sez. 6, n. 24617 del 24/02/2015, Rizzo, Rv. 264092 . In particolare, si è spiegato quali siano le modalità per procedere all’acquisizione del contenuto di un sistema informatico laddove esso abbia un contenuto più ampio rispetto a singoli dati o documenti cercati a fini di prova, posto che anche un singolo computer ad uso personale non può essere equiparato ad un documento o ad un gruppo di documenti ma, e si tratta di fatto di comune conoscenza, ad un intero archivio o deposito o libreria in senso fisico, tenuto conto delle sue enormi potenzialità di archiviazione di grandi masse di dati . Ed infatti, tenuto a mente che il principio di proporzionalità, previsto espressamente dall’art. 275 c.p.p. per le misure cautelari personali, è operante anche per le misure reali, si è detto che il codice di procedura, all’esito della riforma della L. n. 48 del 2008, in tema di criminalità informatica, è oggi esplicito nell’escludere che, di norma, possa ipotizzarsi un sequestro di interi sistemi informatici Il computer deve essere sottoposto ad una perquisizione mirata al cui esito potrà sequestrarsi quanto di rilievo del suo contenuto, non potendosi quindi ritenere legittima, se non accompagnata da specifiche ragioni, una indiscriminata acquisizione dell’intero contenuto del sistema informatico difatti, secondo l’art. 247, comma 1-bis, introdotto dalla citata legge, quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, ne è disposta la perquisizione, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati . Simile anche l’art. 352, nuovo comma 1-bis Tali disposizioni sono esplicite nello stabilire che, di regola, non può procedersi al sequestro del computer in quanto tale perché la legge chiaramente ha distinto il singolo documento informatico dalla massa di informazioni che un sistema informatico/telematico è destinato a contenere. Ciò, ovviamente, non esclude che a determinate e giustificate condizioni possa essere disposto un sequestro esteso all’intero sistema - così come, se vi sono particolari ragioni, è possibile il sequestro della totalità delle cartelle cliniche cartacee di un ospedale pur se solo alcune siano di interesse - se ciò è proporzionato rispetto alle esigenze probatorie o per altro motivo venga in questione l’intero sistema si pensi ad un computer utilizzato per la gestione di duplicazione abusiva di supporti audiovisivi o di un computer destinato alla archiviazione di materiale illecito nè esclude, se necessario, il trasferimento fisico dell’apparecchio per poi procedere a perquisizione in luogo e con modalità più convenienti, anche per la necessaria disponibilità di personale tecnico per superare le protezioni del sistema dagli accessi di terzi in modo, quindi, non dissimile da come può essere sequestrata una intera unità immobiliare in attesa delle condizioni tecniche per una adeguata perquisizione e l’apertura di un vano protetto . Quello che è il fondamentale significato delle disposizioni sopra citate è che non è possibile acquisire in modo indiscriminato un intero archivio elettronico, sol perché è facile l’accesso, l’effettuazione di copia ed il trasferimento fisico rispetto alla massa di documenti cartacei corrispondenti, pur in assenza di qualsiasi correlazione specifica con le indagini. Ora, a fronte della specifica doglianza formulata dagli interessati con la richiesta di riesame, il Tribunale di Roma ha risposto senza attenersi alla innanzi indicata regula iuris, avendo sostenuto che il tema della mancata previa effettuazione, da parte della polizia giudiziaria, di una preventiva perquisizione informatica è problema che attiene alla fase esecutiva del sequestro, censurabile in altra sede , avendo il PM disposto, per quanto riguarda pc e server, laddove possibile, l’estrapolazione dei dati di interesse ed eventualmente la donazione dei dispositivi con restituzione dei medesimi alla parte al termine delle operazioni . Motivazione, questa, che oltre a tradire” una confusione tra dati informatici da acquisire e dai informatici donati”, non appare affatto confacente rispetto ai criteri ermeneutici fissati in materia dalla giurisprudenza di legittimità. Ne consegue l’annullamento dell’ordinanza gravata con rinvio al Tribunale di Roma che, nel nuovo esame, si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.