Violazione di domicilio e tutela della privata dimora

Il concetto di domicilio individua un rapporto stabile tra la persona ed un luogo in cui si volge la vita privata. Si tratta di un rapporto tale da giustificare la tutela del luogo, anche quando la persona è assente.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 30726/19, depositata il 12 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Roma riformava la sentenza del Tribunale con cui l’imputato era stato condannato alla pena di giustizia in relazione ai reati di cui agli artt. 388, 610, 612- bis e 614 c.p., riqualificava il delitto di cui all’art. 612- bis nel reato di cui all’art. 660 c.p. e riconosceva il vincolo della continuazione. Successivamente la Corte territoriale dichiarava l’estinzione del reato di cui all’art. 660 c.p. per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena e confermando nel resto la pronuncia. Avverso tale decisione, l’imputato ricorre in Cassazione. Il motivo di ricorso in Cassazione. In particolare il ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento al reato di violazione di domicilio, poiché la condotta materiale di tale delitto pretende un quid pluris consistente nell’abbandono del domicilio. Non basta per integrare la sussistenza, in capo alla parte lesa, dello ius excludendi l’esistenza del provvedimento presidenziale, relativo all’attribuzione del diritto di godimento della casa familiare, di cui all’art. 155- quater c.c., come nel caso in esame. La violazione di domicilio. In tema di tutela della privata dimora, la giurisprudenza costituzionale ha fatto rientrate la libertà domiciliare nel sistema delle libertà fondamentali. Prosegue poi la Suprema Corte sostenendo che il concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza . Infatti nell’ambito dei luoghi di privata dimora, espressione della personalità del soggetto, assume un ruolo fondamentale l’abitazione, ossia il luogo adibito ad uso domestico di una o più persone. Posto ciò, va osservato che il diritto di esclusione dall’abitazione può essere fatto valere anche nei confronti del proprietario e a tutela della domus , intesa come espressione della libertà individuale, tenuto sempre conto che il bene da tutelare è quello della privata dimora. È dunque evidente che, l’esercizio legittimo dello ius excludendi , quale luogo dove si esplica la personalità del singolo, presuppone l’esistenza di una reale situazione di fatto che colleghi in modo stabile il soggetto allo spazio fisico in cui si esplica la sua personalità. E nel caso in esame rileva che esiste la condotta materiale contestata e lo ius excludendi del coniuge separato rispetto all’introduzione dell’altro nella casa coniugale, posto che il ricorrente non aveva più stabile dimora nell’abitazione familiare. Per tutte queste ragioni il motivo di ricorso deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 8 marzo – 12 luglio 2019, n. 30726 Presidente Pezzullo – Relatore Calaselice Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha riformato la sentenza, del 10 novembre 2014, del Tribunale in sede, con la quale F.R. era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione, in relazione ai reati ascrittigli artt. 612 bis, 388, 610 e 614 c.p. riqualificato il delitto di cui all’art. 612 bis c.p., nel reato di cui all’art. 660 c.p., riconosciuto il vincolo della continuazione e con la concessione delle circostanze attenuanti generiche, oltre alla condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile. 1.1. La Corte territoriale ha dichiarato l’estinzione del reato di cui all’art. 660 c.p., per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena irrogata in mesi cinque giorni dieci di reclusione, confermando, nel resto, la pronuncia anche con riferimento alle statuizioni civili. 2. Avverso il descritto provvedimento ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo, con i motivi di seguito riassunti, tre vizi. 2.1. Il primo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con riferimento al reato di violazione di domicilio e in relazione allo ius excludendi in mancanza di pieno possesso e godimento della casa coniugale, nonché vizio di motivazione. Non è sufficiente ad integrare la sussistenza, in capo alla parte lesa, dello ius excludendi l’esistenza del provvedimento presidenziale, relativo all’attribuzione del diritto di godimento della casa familiare, ex art. 155 quater c.c. la condotta materiale del delitto di violazione di domicilio, invece, pretende un quid pluris consistente nell’abbandono del domicilio. Nel caso di specie l’imputato ha conservato nell’immobile il domicilio, dunque il compossesso e la parte lesa, pur avendo avviato l’esecuzione del provvedimento presidenziale, non ha mai conseguito il pieno godimento dell’immobile sul quale ha, poi, vantato la titolarità dello ius excludendi. Sicché la condotta può, al più, integrare quella di cui all’art. 388 c.p 2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine alla dedotta mancanza di querela, con riferimento all’art. 614 c.p., pur risultando detta carenza devoluta con i motivi di appello. 2.3. Con il terzo motivo si denuncia inosservanza o erronea applicazione di legge penale, con riferimento all’art. 610 c.p., e vizio di motivazione quanto alla mancanza di violenza o minaccia. Nella specie si tratta, per il ricorrente, di mera condotta non collaborativa rispetto al rilascio dell’abitazione coniugale, manca, dunque, per integrare il reato contestato, il requisito della minaccia o violenza. Del resto ove la condotta sia finalizzata ad imporre un pati o un tacere sarebbe configurabile soltanto il tentativo ove l’agente non raggiunga il suo scopo. Si deduce che il comportamento tenuto, nel caso in esame, è meramente omissivo, come denunciato con l’atto di appello, punto sul quale manca ogni valutazione da parte della Corte territoriale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e, dunque, deve essere rigettato. 2. Il primo motivo di ricorso è privo di fondamento. 2.1. Corretta appare la qualificazione giuridica della condotta ritenuta dai giudici di merito, con riferimento al reato di violazione di domicilio. 2.1.1.Va premesso che, in tema di tutela della privata dimora, la giurisprudenza costituzionale Corte Cost. n. 135 del 2002 e n. 149 del 2008 ha inquadrato la libertà domiciliare nel sistema delle libertà fondamentali, riconoscendole una valenza essenzialmente negativa, concretandosi nel diritto di preservare da interferenze esterne, pubbliche o private, determinati luoghi in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo. La ponderazione tra gli interessi concorrenti, mediante l’individuazione del criterio della stabile destinazione funzionale, è stata operata dalle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234269 - 01 che hanno affermato - dopo aver premesso che la nozione di domicilio di cui all’art. 14 Cost., è più estesa di quella ricavabile dall’art. 614 c.p. - che, qualunque sia il rapporto tra le due disposizioni, il concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza. Questo concetto individua un rapporto tra la persona ed un luogo, generalmente chiuso, in cui si svolge la vita privata, in modo anche da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne e da garantirgli, quindi, la riservatezza. Si tratta di rapporto, tra la persona ed il luogo, tale da giustificare la tutela di questo, anche quando la persona è assente. In altre parole, la vita personale che vi si svolge, anche se per un periodo di tempo limitato, fa sì che il domicilio diventi un luogo da tutelare, rispetto a condotte intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che ne ha la titolarità, perché il luogo rimane connotato dalla personalità del titolare, sia questo o meno presente. Di qui il decisivo rilievo del requisito della stabilità perché è solo questa, anche se intesa in senso relativo, che può trasformare un luogo in un domicilio, nel senso che può fargli acquistare un’autonomia rispetto alla persona che ne ha la titolarità. In base a tali principi si è affermato, in sede di legittimità, che la nozione di privata dimora, si attesta sulla base dei seguenti elementi a destinazione del luogo allo svolgimento di attività della vita privata riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne b durata del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da apprezzabile stabilità e non da mera occasionalità c inaccessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare ex multis, Sez. 4, n. 32245 del 20/06/2018, D’Antonio, Rv. 273458 01 Sez. 5, n. 10498 del 16/01/2018, Sarchi, Rv. 272667 - 01 . Nell’ambito dei luoghi di privata dimora, espressione della personalità del singolo, assume un rilievo centrale, come si evince dalla stessa formulazione dell’art. 614 c.p., comma 1, l’abitazione, da intendersi come il luogo adibito legittimamente e liberamente ad uso domestico di una o più persone, ovvero luogo dove si compie tutto o parte di ciò che caratterizza la vita domestica privata. 2.1.2. Ciò posto, va osservato che il diritto di esclusione dall’abitazione può essere fatto valere, tenuto conto che il bene tutelato è quello della privata dimora, nel senso sopra declinato, anche nei confronti del proprietario e, comunque, a tutela della domus, intesa come espressione della libertà individuale sicché tutti i conviventi sono individuati come titolari dello ius prohibendi, onde il consenso di uno non può prevalere sul dissenso degli altri, spettando il diritto all’inviolabilità del domicilio a tutti i componenti della famiglia, per il solo fatto della convivenza Sez. 5, n. 3998 del 19/12/2018, dep. 2019, Rv. 275374 - 01 Sez. 5, n. 47500 del 21/09/2012, Catania, Rv. 254518 - 01 Sez. 5, n. 335 del 27/10/1982, dep. 1983, Bortolotto, Rv. 156921 - 01 . Appare, allora, evidente che, in tale prospettiva, il legittimo esercizio dello ius excludendi, proprio in ragione della definizione della privata dimora, quale luogo dove si esplica liberamente la personalità del singolo, presuppone, necessariamente, l’esistenza di una reale situazione di fatto che colleghi in maniera sufficientemente stabile il soggetto allo spazio fisico in cui si esplica la sua personalità. Applicando i suesposti principi al caso al vaglio, si rileva che, nella specie, sussiste la condotta materiale contestata e, dunque, lo ius excludendi, del coniuge separato rispetto all’introduzione dell’altro nella casa coniugale, posto che l’odierno ricorrente, secondo la ricostruzione logica e coerente esposta dai giudici di merito, non aveva più stabile dimora nell’abitazione familiare. Dunque, indipendentemente dalla definitiva compiuta esecuzione del provvedimento presidenziale, avente ad oggetto l’attribuzione del diritto di godimento esclusivo della casa familiare, ex art. 155 quater c.c., alla madre ed al figlio, l’odierna parte lesa è titolare di ius excludendi suscettibile di tutela non avendo più, il coniuge separato non assegnatario, rispetto alla casa familiare, uno stabile rapporto con essa e, dunque, dimora, intesa in senso diverso dal domicilio, secondo la declinazione sopra descritta. Ciò, peraltro, emerge dalla motivazione dei giudici di merito, che espongono come l’odierno ricorrente avesse lasciato l’abitazione ciononostante questi ripetutamente aveva violato il domicilio, tanto che la parte lesa aveva sporto denuncia che aveva propiziato, in diverse occasioni, l’intervento delle forze dell’ordine, a fronte di periodici rientri del coniuge separato, non assegnatario, nell’abitazione familiare. 2.2. Il secondo motivo è destituito di fondamento. I giudici di merito rendono conto della presenza, in atti, di denuncia querela per il reato di cui all’art. 610 c.p Né il ricorrente documenta, rendendo sotto tale profilo il ricorso privo del requisito dell’autosufficienza, la dedotta carenza della condizione di procedibilità relativa al solo delitto di cui all’art. 614 c.p 2.3. Il terzo motivo è infondato. È noto l’orientamento ermeneutico di questa Corte di legittimità secondo il quale è sufficiente, ai fini di integrare il delitto di violenza privata, non una minaccia verbale o esplicita, ma qualsiasi comportamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa Sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017, S., Rv. 270869 . È stato, infatti, osservato che il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, ben potendo trattarsi di violenza fisica, propria, che si esplica direttamente nei confronti della vittima o di violenza impropria che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali, diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione Sez. 5, n. 4284 del 29/09/2015, dep. 2016, G., Rv. 266020 Sez. 5, n. 11907 del 22/01/2010, Cavaleri, Rv. 246551, che ha ritenuto integrare violenza privata la sostituzione della serratura della porta di accesso di un vano-caldaia, con mancata consegna delle chiavi al condomino e inibizione dell’esercizio del diritto di servitù gravante sul locale . Né può aderirsi alla critica mossa con l’impugnazione, secondo la quale la condotta meramente passiva dell’imputato, riottoso all’attuazione del provvedimento del Tribunale civile di assegnazione della casa familiare alla donna ed al loro figlio, si fosse limitata ad integrare, al più, la fattispecie tentata del delitto contestato. È stato infatti sostenuto da questa Corte di legittimità, con un ragionamento che deve essere condiviso, che integra il delitto di violenza privata anche il comportamento di chi costringa il soggetto passivo ad una condotta diversa da quella programmata Sez. 5, n. 33253 del 09/03/2015, Caltabiano, Rv. 264549 Sez. 6, n. 21197 del 12/02/2013, Domenici, Rv. 256547 Sez. 5, n. 603 del 18/11/2011, dep. 2012, Lombardo, Rv. 252668 . Nel caso al vaglio nell’esauriente e non illogica motivazione della Corte d’appello viene chiarito che, diverse volte, a causa della presenza del coniuge nell’abitazione, il quale vi passava anche la notte, la parte lesa era stata costretta a lasciare la casa familiare ed a trasferirsi presso i propri genitori. 3. Segue alla pronuncia, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado. 3.1. Segue, altresì, la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di costituzione sostenute dalla parte civile, nel presente giudizio, che si liquidano, vista la nota spese depositata, in base all’attività svolta. 3.2. Va, infine, disposta l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, comma 5, trattandosi di reati consumati in ambito familiare. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di parte civile sostenute nel grado che liquida in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norme del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto disposto di ufficio.