Portafoglio sottratto per pochi secondi al cliente in discoteca: è comunque rapina consumata

Confermata la condanna per il ladro, beccato grazie agli addetti alla sicurezza della struttura. Irrilevante, secondo i Giudici, il mancato impossessamento dell’oggetto sfilato dalla tasca di un cliente della discoteca.

Colpo a vuoto in discoteca non riesce, difatti, la sottrazione del portafoglio dalle tasche di un cliente. E il ladro, prontamente beccato grazie agli addetti alla sicurezza, finisce sotto processo. Ora la vicenda giudiziaria si chiude con la condanna definitiva per rapina impropria . Inutile il richiamo difensivo al fatto che materialmente l’oggetto sottratto non è mai uscito all’esterno del perimetro della discoteca Cassazione, sentenza n. 30476/19, sez. II Penale, depositata l’11 luglio . Apprensione. Linea di pensiero comune per Tribunale e Corte d’Appello i giudici di merito concordano sulla condanna dell’uomo sotto processo, ritenuto colpevole di rapina impropria e lesioni aggravate . In sostanza, si è appurato che egli ha sottratto il portafoglio e poi per assicurarsi il possesso della refurtiva, nonché l’impunità, ha usato violenza nei confronti di due persone. Inutile è il ricorso proposto in Cassazione dal legale del ladro. Impossibile, secondo i Giudici del Palazzaccio’, mettere in discussione l’esistenza del reato, cioè la rapina impropria consumata all’interno della discoteca. Per spazzare via ogni possibile dubbio i magistrati tengono a ribadire che il delitto di rapina impropria si perfeziona anche se il reo usi violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per breve tempo, della disponibilità autonoma dello stesso . Inoltre, il controllo del personale di vigilanza non rileva al fine della sussistenza della sottrazione del bene ma incide soltanto sul conseguente momento dell’impossessamento , poiché sotto la sorveglianza altrui ciò che viene ad essere impedita non è l’apprensione del bene ma l’acquisizione di una autonoma disponibilità del bene . Tirando le somme, in questo caso si è verificata la sottrazione del bene e quindi, concludono i Giudici, il reato di rapina impropria deve ritenersi consumato .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 24 maggio 11 luglio 2019, n. 30476 Presidente Verga Relatore Pacilli Ritenuto in fatto Con sentenza del 2 marzo 2018 la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa il 3 marzo 2017 dal Tribunale della stessa città, con cui PA. OM., in atti generalizzato, è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i delitti di rapina impropria e lesioni aggravate. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo i seguenti motivi 1 manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in punto di responsabilità dell'imputato per il reato di rapina in concorso con persona, rimasta ignota. Secondo il ricorrente, dai risultati delle prove risulterebbe non inverosimile che ad operare la sottrazione del portafoglio fosse stato un altro soggetto e sarebbe illogica la motivazione circa l'attendibilità del racconto di Ca. Fi Del pari, sarebbe illogico desumere la partecipazione dell'imputato alla sottrazione del portafoglio dal comportamento avuto nell'occasione, ossia dal suo colpire con violenza il Ca Sarebbero state tralasciate alcune frasi del teste Ra. Pe., da cui non si evincerebbe che il teste abbia riferito circa uno sguardo d'intesa tra l'imputato e la ragazza del pari non sarebbe stato considerato che nessuno dei testi aveva assistito al passaggio del portafogli dal Pa. alla ragazza 2 manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante del nesso teleologico. Secondo il ricorrente, l'annullamento della sentenza quanto al reato di rapina impropria dovrebbe condurre ad escludere l'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 c.p., con conseguente proscioglimento dell'imputato di reato di cui al capo B per mancanza di querela 3 violazione egli artt. 56 e 628 c.p. e vizi della motivazione, per non essere il fatto stato qualificato come rapina impropria tentata anziché consumata, non essendo il portafoglio stato portato all'esterno del perimetro della discoteca ed essendosi la condotta svolta sempre sotto la sorveglianza del personale addetto alla vigilanza e sicurezza 4 violazione di legge e vizi della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, non condividendosi le giustificazioni poste a base della rigida determinazione della pena e del diniego delle attenuanti generiche. La Corte territoriale non avrebbe valorizzato gli elementi indicati dalla difesa al fine della concessione delle anzidette circostanze, quali la giovanissima età dell'imputato, lo scarsissimo spessore criminale della sua condotta, i precedenti specifici di non particolare gravità, le sue condizioni di vita familiari e personali, il danno patrimoniale di lievissima entità 5 violazione di legge e vizi della motivazione quanto all'applicazione della recidiva, che si sarebbe potuta escludere alla luce della risalenza nel tempo dei precedenti specifici. All'odierna udienza pubblica è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all'esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, perché proposto per motivi non consentiti e privi di specificità. 1.1 Con il primo motivo il ricorrente ha reiterato analoga doglianza già diffusamente disattesa dalla Corte d'appello v. f. 5, 6 e 7 della sentenza impugnata , la quale, sulla base delle dichiarazioni del teste Fi. Ca., lineari e coerenti , oltre che arricchite dalle dichiarazioni degli altri testi presenti , è pervenuta alla conclusione che l'imputato si è reso autore del reato di rapina impropria ha sottratto il portafogli e poi, per assicurarsi il possesso della refurtiva nonché l'impunità, ha dapprima aggredito Ca., poi spintonato anche Ra. Pe. . A fronte della motivazione della pronuncia impugnata, scevra da vizi rilevabili in questa sede, le doglianze del ricorrente si risolvono in una sollecitazione a valutare diversamente il materiale probatorio richiesta, questa, inammissibile in sede di legittimità. Va ricordato, in proposito, che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione, di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando precluse la rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti 1.2 II secondo motivo è privo di specificità, non confrontandosi il ricorrente con la motivazione della Corte d'appello, che ha correttamente evidenziato che, accertata la responsabilità del Panatela quanto al reato di cui al capo A, va riconosciuta anche la sussistenza dell'aggravante del nesso teleologico, quanto al reato di cui al capo B, realizzato al fine di assicurarsi il possesso della refurtiva e l'impunità . Aggravante che rende irrilevante la mancanza di querela, essendo il reato di lesioni, in tal modo aggravato, procedibile di ufficio. 1.3 Quanto al terzo motivo deve rilevarsi che del tutto correttamente i giudici di merito hanno sussunto i fatti nell'ambito della fattispecie criminosa della rapina impropria consumata anziché tentata, come invece propugnato dal ricorrente. Dalla sentenza della Corte d'appello si evince che l'imputato ha sottratto il portafoglio ed ha poi usato violenza nei confronti di Ca. Fi. e Ra. Pe In tale situazione non è revocabile in dubbio la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della rapina impropria consumata. Questa Corte v. Sez. U, n. 34952 del 19.4.2012, Rv. 253153 , difatti, ha avuto modo di osservare che, poiché il comma secondo dell'art. 628 c.p. fa riferimento alla sola sottrazione e non anche all'impossessamento, deve ritenersi che il delitto di rapina impropria si perfeziona anche se il reo usi violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per breve tempo, della disponibilità autonoma dello stesso. È configurabile, invece, il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l'agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l'impunità. Contrariamente a quanto appare sostenere il ricorrente, inoltre, il controllo del personale di vigilanza non rileva al fine della sussistenza della sottrazione del bene ma incide soltanto sul conseguente momento dell'impossessamento, atteso che sotto la sorveglianza altrui ciò che viene ad essere impedita non è l'apprensione del bene ma l'acquisizione di un'autonoma disponibilità del bene. D'altra parte, questa Corte cfr. Sez. U, n. 52117 del 17.7.2014, Rv 261186 , con riferimento alla fattispecie criminosa del furto, della quale costituiscono elementi costitutivi sia l'impossessamento che la sottrazione del bene, ha affermato che la vigilanza della persona offesa o del personale incaricato della sorveglianza impedisce l'impossessamento ma non dunque la sottrazione. Sul punto, infatti, la citata pronuncia ha chiarito che l'impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postula il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell'agente. Sicché, laddove esso è escluso dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall'intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo, l'incompiutezza dell'impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell'ambito del tentativo . In tale prospettiva ermeneutica va allora sottolineato che, nel caso in esame, essendosi verificata la sottrazione del bene, il reato di rapina impropria deve ritenersi consumato. 1.4 Sfugge ad ogni rilievo censorio anche la motivazione relativa al trattamento sanzionatorio. 1.4.1 La Corte d'appello ha negato le attenuanti generiche, in ragione del ritenuto difetto di elementi positivamente valorizzagli a tal fine. Così motivando, la Corte d'appello ha fatto buon governo dei principi enunciati in sede di legittimità Sez. 3, n. 44071 del 25.9.2014, Rv 260610 , secondo cui il mancato riconoscimento delle circostanze anzidette può essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato. 1.4.2 La Corte d'appello ha altresì rimarcato che la pena inflitta appare del tutto congrua e rispettosa dei criteri di cui all'art. 133 c.p. , trattandosi, tra l'altro, di pena che si è attestata praticamente sul minimo edittale. In tal modo il giudice di merito ha adempiuto al suo obbligo di motivazione. Questa Corte, difatti, è ferma nel ritenere che è adempiuto l'obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorché sia indicato l'elemento, tra quelli di cui all'art. 133 c.p., ritenuto prevalente e di dominante rilievo Sez. un., n. 5519 del 21/4/1979, Rv. 142252 invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, in tutte le sue componenti, appare necessaria soltanto nel caso in cui la pena sia superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti risultare sufficienti a dare conto del corretto impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. espressioni del tipo %& lt %& lt pena congrua= & gt & gt , %& lt %& lt pena equa= & gt & gt o %& lt %& lt congruo aumento= & gt & gt , come pure il richiamo alla gravità del reato oppure alla capacità a delinquere Sez. II, n. 36245 del 26/6/2009, Rv. 245596 Sez. IV, n. 46412 del 5/11/2015, Rv. 265283 . 1.5 Quanto alla recidiva, deve rilevarsi che il ricorrente non ha interesse a sollevare censure, essendo la recidiva stata ritenuta subvalente. Ad ogni modo, può rimarcarsi che la Corte d'appello ha rilevato che l'imputato annovera due condanne per reati della stessa indole e i fatti per cui si procede evidenziano che quelle precedenti vicissitudini giudiziarie non servirono da ammaestramento e che, reiterando analoghe condotte, l'imputato ha evidenziato una sempre maggiore pericolosità . Siffatte argomentazioni, con cui il giudice di merito ha adeguatamente motivato sulla maggiore pericolosità sociale dell'imputato, sono esenti da vizi sindacabili in questa sede. 2. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186 e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa - della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.