Chiusura delle indagini preliminari, interrogatorio e validità del decreto di citazione

In caso di mancato espletamento dell’interrogatorio richiesto oltre i 20 giorni dalla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, non si verifica la nullità del decreto di citazione a giudizio.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 29498/19, depositata il 5 luglio. Il fatto. La Corte d’Appello di Bologna riformava parzialmente la decisione di prime cure, assolvendo l’imputato dal reato di minaccia e confermando la condanna per lesioni aggravate, minaccia nei confronti della moglie e violenza privata. Tra le varie doglianze sollevate con il ricorso per cassazione, merita attenzione il motivo con cui viene dedotta la nullità del decreto di citazione a giudizio per la tardiva richiesta dell’interrogatorio dopo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Secondo il ricorrente, il termine di 20 giorni di cui all’art. 415- bis , comma 3, c.p.p. è di tipo ordinatorio con la conseguenza che laddove il PM non acceda alla richiesta dell’indagato di essere sottoposto ad interrogatorio, si determina la nullità del decreto di citazione a giudizio. Nullità? Il Collegio, dichiarando infondata la doglianza, ricorda che la questione relativa alla natura ordinatoria del termine per chiedere l’interrogatorio di cui alla norma citata deve essere tenuta distinta da quella relativa alle conseguenze che discendono dall’omesso espletamento di un interrogatorio richiesto con istanza tardiva. Su tale aspetto, il legislatore ha chiaramente affermato, con l’art. 552, comma 2, c.p.p., che conditio sine qua non del verificarsi della nullità del decreto di citazione a giudizio è la circostanza che sia stato omesso l’interrogatorio post avviso di conclusione delle indagini preliminari la cui richiesta sia stata tempestivamente depositata. Precisa dunque la Corte che l’ordinatorietà del termine, se non priva la parte della possibilità di vedere accolta la propria richiesta di interrogatorio, non elimina la rilevanza della previsione del termine e, soprattutto, non ne neutralizza la portata quanto alle ripercussioni in punto di nullità rispetto all’atto introduttivo della fase processuale . In conclusione, se l’indagato ha scelto di depositare un’istanza di interrogatorio oltre il termine di legge, non può poi invocare la successiva nullità dell’atto di esercizio dell’azione penale. Cristallizza dunque la sentenza il principio secondo cui il mancato espletamento di un interrogatorio richiesto oltre i 20 giorni dalla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415- bis , comma 3, c.p.p. non determina la nullità del decreto di citazione a giudizio sancita dall’art. 552, comma 2, c.p.p. . Il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 giugno – 5 luglio 2019, n. 29498 Presidente Zaza – Relatore Borrelli Ritenuto in fatto 1. La sentenza impugnata è stata pronunziata l’8 maggio 2018 dalla Corte di appello di Bologna, che ha riformato parzialmente - assolvendo l’imputato dal reato di minaccia commesso nel dicembre 2015 ed eliminando il relativo aumento di pena - la sentenza emessa dal Tribunale di Ferrara nei confronti di A.G. , condannato in primo grado, oltre che per la fattispecie suddetta, anche per i reati di lesioni aggravate ai danni del figlio convivente M. , minaccia grave nei confronti della moglie e di violenza privata ai danni della figlia C. e di due sue amiche . 2. Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato, si compone di sette motivi. 2.1. Il primo motivo deduce un vizio di ordine processuale, criticando la risposta che la Corte territoriale aveva fornito all’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio dinanzi al Tribunale il ricorrente postula, invero, che, poiché il termine per richiedere l’interrogatorio dopo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari deve ritenersi ordinatorio, anche una richiesta avanzata dopo i venti giorni previsti dal codice di rito determinerebbe, se non esaudita, la nullità di cui all’art. 552 c.p.p., comma 2. 2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione circa l’attendibilità delle persone offese P.M. , A.C. e A.M. . La Corte di appello - assume il ricorrente - non aveva risposto a specifiche doglianze sul punto formulate dall’appellante, che aveva segnalato - la contraddittorietà tra le deposizioni di P.M. e A.M. con quelle dell’agente V. in ordine all’episodio di lesioni secondo quest’ultimo i due non gli avevano parlato di un candelabro utilizzato come corpo contundente e la situazione, all’atto del suo intervento, era tranquilla - la contraddittorietà tra le deposizioni di P.M. e quanto riferito dall’agente G. circa le dichiarazioni ricevute dalla donna in occasione dell’episodio di cui al capo c - l’indeterminatezza delle deposizioni delle persone offese del reato di violenza privata circa l’interruzione di energia elettrica e la verosimiglianza delle dichiarazioni dell’imputato quanto alla sua natura accidentale. 2.3. La motivazione sarebbe illogica - opina il ricorrente nel terzo motivo di ricorso - nella parte in cui aveva giustificato le discrepanze tra le deposizioni delle persone offese e quelle degli agenti V. e G. . 2.4. Il quarto motivo di ricorso deduce travisamento della prova in relazione alla deposizione dell’agente G. questi non avere semplicemente non ricordato che la P. gli avesse riferito di avere patito minacce di morte, ma ha espressamente escluso tale rivelazione, altrimenti - aveva spiegato - egli avrebbe proceduto penalmente. 2.5. Il quinto motivo lamenta carenza di motivazione in ordine alla valutazione dei testi della difesa. 2.6. Con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza per mancata assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione in ordine al diniego dell’escussione della teste Pa. e dell’accertamento sull’impianto elettrico. 2.7. Il settimo ed ultimo motivo deduce che la risposta della Corte di appello circa la richiesta di sospensione condizionale della pena non aveva tenuto conto delle argomentazioni dell’appello. Considerato in diritto 1. Il ricorso è complessivamente infondato e va, pertanto, respinto. 2. Il primo motivo di ricorso è infondato. Si rammenta che la doglianza critica la risposta che la Corte di appello aveva fornito alla censura circa la nullità del decreto di citazione a giudizio in primo grado per omesso interrogatorio successivo alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, ancorché esso fosse stato richiesto dopo la scadenza del termine di venti giorni di cui all’art. 415-bis c.p.p., comma 3. Secondo il ricorrente, infatti, poiché quest’ultimo termine è ordinatorio, qualora il pubblico ministero non acceda alla richiesta dell’indagato di essere sottoposto ad interrogatorio, benché intempestiva, si determina comunque la nullità del decreto di citazione a giudizio. Orbene, il Collegio ritiene che la lettura delle norme processuali invocate offerta dal ricorrente non sia corretta e che la giurisprudenza evocata non la conforti. Una cosa è, infatti, ritenere la natura ordinatoria del termine per richiedere l’interrogatorio di cui all’art. 415-bis c.p.p., comma 3, Sez. 6, n. 50087 del 18/09/2018, D., Rv. 274506 - 01 , che quindi non consente al pubblico ministero di reputare decaduta dall’esercizio del diritto la parte che presenti una richiesta di interrogatorio intempestiva, un’altra è la conseguenza che vuole farsi discendere dall’omesso espletamento di un interrogatorio richiesto con un’istanza tardiva. Quanto a quest’ultimo aspetto, non può che farsi riferimento al dato testuale, che è chiarissimo la norma che sancisce la nullità conseguente all’omesso interrogatorio, l’art. 552 c.p.p., comma 2, secondo periodo, invero, non consente un’interpretazione diversa da quella dei giudici di merito quanto alle ripercussioni della tempistica della mozione sugli atti successivi. Il testo della disposizione recita, infatti Il decreto è altresì nullo se non è preceduto dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini lo abbia richiesto entro il termine di cui al comma 3 del medesimo art. 415 bis ne consegue con tutta evidenza, allora, che conditio sine qua non del verificarsi della nullità del decreto di citazione a giudizio è la circostanza che sia stato omesso l’interrogatorio post avviso di conclusione delle indagini preliminari la cui richiesta sia stata depositata nel termine di venti giorni dalla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. L’ordinatorietà del termine, dunque, se non priva la parte della possibilità di vedere accolta la propria richiesta di interrogatorio, non elimina la rilevanza della previsione del termine e, soprattutto, non ne neutralizza la portata quanto alle ripercussioni in punto di nullità rispetto all’atto introduttivo della fase processuale. Donde l’indagato, nel momento in cui sceglie di depositare un’istanza di interrogatorio oltre il termine di legge, non può poi invocare, stante il chiaro disposto normativo, la successiva nullità dell’atto di esercizio dell’azione penale. Conforta questa opzione esegetica un precedente di questa Corte secondo cui è abnorme, in quanto determina un’indebita regressione del procedimento, ed è, pertanto, ricorribile per cassazione, l’ordinanza con la quale il Tribunale dichiari la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio e ordini la restituzione degli atti al pubblico ministero, per la presunta violazione dell’art. 415-bis c.p.p., in relazione all’omesso interrogatorio richiesto dall’indagato oltre il termine fissato dalla citata norma Sez. 6, n. 8369 del 31/01/2007, Romano, Rv. 235906 - 01 . In conclusione, deve essere affermato il principio secondo cui il mancato espletamento di un interrogatorio richiesto oltre i venti giorni dalla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415-bis c.p.p., comma 3, non determina la nullità del decreto di citazione a giudizio sancita dall’art. 552 c.p.p., comma 2 . 3. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono caratterizzati da un’impostazione comune, che ne determina l’inammissibilità. Essi, infatti, dietro le mentite spoglie di censure di illogicità motivazionale anche sub specie di travisamento della prova, in realtà invocano da questa Corte una rivalutazione delle risultanze istruttorie che è del tutto estranea ai confini del giudizio di legittimità in quanto il Giudice di legittimità non può rivalutare i fatti storici accertati nel corso dei gradi di merito e valutati con congrua motivazione. Come autorevolmente sancito da Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944, infatti, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali ex multis, anche Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 . Peraltro il quarto motivo di ricorso vede l’attenzione del ricorrente appuntarsi su un passaggio terminologico della deposizione dell’agente G. tra il non ricordare e l’ escludere di avere appreso di minacce di morte nei confronti della P. che non denota un travisamento della prova, ma una diversa resa narrativa di un dato da parte della Corte di merito, vale a dire che, nel ricordo offerto al Giudice di merito dal teste qualificato, questi non avesse riferito anche delle minacce de relato, ricavando conferma di tale dato dalla circostanza di non avere proceduto penalmente il che d’altronde è già indicativo che la notizia fornita al Tribunale fosse anche stata oggetto non già di un ricordo diretto, ma di un ragionamento abduttivo . 4. Il quinto motivo di ricorso - che lamenta carenza di motivazione in ordine alla valutazione dei testi della difesa - è manifestamente infondato in quanto la risposta della Corte di appello circa l’irrilevanza a discarico delle informazioni fornite esiste ed è razionalmente collegata alla loro presenza discontinua nella famiglia dell’imputato. 5. Il sesto motivo - con cui il ricorrente censura la sentenza per mancata assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione in ordine al diniego dell’escussione della teste Pa. e dell’accertamento sull’impianto elettrico - è manifestamente infondato. A questo proposito, giova precisare che il Collegio accede alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in ragione della sua natura eccezionale, in cassazione può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l’oggettiva necessità dell’incombente istruttorio e, di conseguenza, l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577 - 01 Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep. 2014, Cozzetto, Rv. 258236 - 01 . In questo caso tale dimostrazione - laddove, a sostegno dell’ipotesi accusatoria, vi erano ben tre testimonianze a carico - non c’è, tanto più che la Corte territoriale ha anche fornito, a pag. 7, una spiegazione razionale all’irrilevanza dell’accertamento sull’impianto elettrico. 6. Il settimo motivo di ricorso, che investe la sentenza impugnata circa la reiezione della richiesta di sospensione condizionale della pena, è manifestamente infondato. Correttamente la Corte di appello ha ancorato detta reiezione alla valenza sintomatica dei precedenti, ancorché per reati depenalizzati o amnistiati, siccome indicativi della proiezione dell’imputato verso il mancato rispetto delle regole. In questo senso, la Corte di merito ha fatto un uso corretto di detti indicatori nell’ottica della prognosi - essenziale ai fini della concessione del beneficio - di cui all’art. 164 c.p., comma 1. 7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. 8. La natura dei rapporti oggetto della vicenda impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.