Condono fondato? Si può revocare l’ordine di demolizione

In tema di reati edilizi, e specificamente in materia di ripristino o demolizione dello stato dei luoghi anteriore alla realizzazione del fabbricato abusivo, la revoca o la sospensione dell'ordine di demolizione delle opere abusive, di cui all'art. 31 d.P.R. n. 380/2001, in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, presuppone l'accertamento da parte del giudice dell'esecuzione della sussistenza di elementi che facciano ritenere plausibilmente prossima la adozione, da parte della autorità amministrativa competente, del provvedimento di accoglimento.

Lo ha ribadito la Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28172, il 27 giugno 2019. La disciplina dell’ordine di demolizione nei reati edilizi Preliminarmente, occorre ricordare che l’ordine di demolizione è una sanzione amministrativa di natura ablatoria e giurisdizionale, la cui esecuzione compete all’autorità giudiziaria, non essendo ipotizzabile, né logicamente spiegabile, che l’esecuzione di un provvedimento, adottato dal giudice penale, venga affidato alla pubblica amministrazione. Peraltro, l’ordine di demolizione, pur avendo natura amministrativa, è atto giurisdizionale che deve essere disposto dal giudice con la sentenza di condanna. Ne consegue che, in caso di mancata statuizione in tal senso, il dispositivo della sentenza potrà essere integrato solo dal giudice di appello. Infatti, la procedura di cui all’art. 130 c.p.p. relativa alla correzione di errori materiali nel provvedimento emanato può essere applicata solo per porre rimedio ad errori od omissioni rilevabili dal contesto del provvedimento, e di natura tale da non modificare il contenuto essenziale dello stesso, mentre l’omissione in questione integra un vitium iudicando rettificabile solo in sede di impugnazione a seguito di rituale investitura del giudice di essa. Inoltre, l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di restitutio in integrum dello stato dei luoghi, e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo della originaria costruzione. L'ordine di demolizione di cui all'art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380/2001 è sanzione caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell'organo istituzionale al quale il relativo esercizio è attribuito, ma sostanzialmente amministrativa di tipo ablatorio, che il giudice deve disporre anche nella sentenza applicativa di pena concordata tra le parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p A tale sentenza, sono ricollegabili tutti gli effetti di una sentenza di condanna, ad eccezione di quelli espressamente indicati dall'art. 445, comma 1, c.p.p., fra i quali non è compresa la sanzione in oggetto non trattandosi di pena accessoria né di misura di sicurezza . e la revoca o la sospensione del ripristino dello stato dei luoghi. Come è noto, la natura di sanzione amministrativa accessoria, propria dell’ordine di demolizione, comporta che, laddove intervenga la sanatoria del manufatto e quindi l’amministrazione abbia ritenuto di regolarizzare l’opera, il predetto ordine può essere revocato, anche eventualmente in sede esecutiva laddove sia divenuta definitiva la sentenza di condanna. Rimane naturalmente immutato il potere del Giudice dell’esecuzione di controllare la legittimità dell’atto concessorio, sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio. Nel caso in cui sia stata presentata soltanto una domanda di condono o sanatoria, il giudice può disporre la sospensione dell’esecuzione laddove ritenga prevedibile che, in un breve lasso di tempo, l’autorità amministrativa adotti un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con l’ordine di esecuzione. Ove tuttavia il Giudice non riconosca, prima ancora della condanna di risarcimento per equivalente, la condanna dell’imputato alla restituzione in pristino dello stato dei luoghi nell’interesse della parte civile costituita, mediante l’ordine di demolizione della costruzione abusiva, viene ad essere negato un ordine avente natura diversa e diverse possibili conseguenze rispetto a quello di demolizione. Prescrizione quinquennale per l’ordine di demolizione? La sentenza in commento richiama l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito dal Giudice con la sentenza di condanna per reati concernenti l'edilizia e l'urbanistica, non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative dall'art. 28 l. n. 689/1981, in quanto detta prescrizione riguarda le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva, mentre la fattispecie in questione configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio. Inoltre, in materia di reati concernenti le violazioni edilizie, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, avendo natura di sanzione amministrativa di carattere ripristinatorio, non è soggetto alla prescrizione stabilita dall'art. 173 c.p. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall'art. 28 legge n. 689/1981 che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 aprile – 27 giugno 2019, n. 28172 Presidente Lapalorcia – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha accolto la richiesta di revoca dell’ordine di demolizione delle opere abusive, disposto con la sentenza di condanna del Pretore di Napoli, sez. dist. di Casoria, del 07/07/1998, irrevocabile il 01/10/98, nei confronti di C.A. e T.A. , per essere intervenuti tre provvedimenti di concessione in sanatoria. 2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Napoli deducendo il vizio di motivazione e la violazione di legge. Secondo il ricorrente, l’ordinanza impugnata sarebbe priva di motivazione sotto il profilo dell’esercizio del sindacato sull’atto amministrativo, che è demandato al giudice dell’esecuzione, e della verifica dei presupposti formali e sostanziali per rilascio dei permessi a costruire in sanatoria, essendosi limitato, il Tribunale, a prendere atto del rilascio degli stessi. L’ordinanza avrebbe violato la legge in quanto i permessi a costruire in sanatoria erano stati rilasciati a seguito di istanza di concessione in sanatoria avanzata da soggetti non legittimati, per effetto dell’acquisizione del bene al patrimonio del Comune a seguito di inottemperanza all’ordine di demolizione. L’ordinanza avrebbe erroneamente ritenuto validi i provvedimenti in sanatoria in violazione della L. n. 724 del 1994, art. 39, stante il superamento della soglia di mcomma 750, trattandosi di costruzione unitaria. Chiede l’annullamento dell’ordinanza. 3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza. Considerato in diritto 4. - Il ricorso è fondato in forza delle considerazioni qui esposte. Va anzitutto rammentato, come osserva il Procuratore generale nella requisitoria scritta, che in tema di reati edilizi, la revoca/sospensione dell’ordine di demolizione e anche di rimessione in pristino , può essere disposto dal giudice dell’esecuzione previo accertamento di una situazione presentazione di istanza di condono o provvedimento stesso che lo renderebbeme incompatibile tra le tante Sez. 3, n. 9145 del 01/07/2015, Manna, Rv 266763 . Nel caso di rilascio di concessione edilizia in sanatoria, il giudice dell’esecuzione - investito dell’istanza di revoca dell’ordine di demolizione conseguente a condanna per costruzione abusiva-, ha il potere-dovere di verificare la legittimità del permesso di costruire in sanatoria sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972 - 01 Sez. 3, n. 42164 del 09/07/2013, Brasiello, Rv. 256679 - 01 . Quanto al controllo demandato al Giudice, esso deve essere inteso nel senso che la verifica non deve essere limitata alla presa d’atto dell’esistenza del provvedimento in sanatoria, ma deve estendersi alla verifica dei presupposti formali e sostanziali del provvedimento e del corretto esercizio del potere di rilascio da parte della pubblica amministrazione. Solo in tale ipotesi si determina una situazione giuridica nuova che rende incompatibile la sopravvivenza dell’ordine demolitorio e ne legittima la revoca o la modifica in fase esecutiva Sez. 3, n. 11051 del 30/01/2003, P.G. in procomma Ciavarella, Rv. 224346 - 01 . 5. Nel caso in esame, il Tribunale di Napoli si è limitato a prendere atto che erano stati rilasciati tre concessioni edilizie in sanatoria e segnatamente il permesso a costruire in sanatoria n. 368, rilasciato ai sensi della L. n. 724 del 1994, in relazione al piano cantinato, locale piano terra, appartamento piano rialzato, locale multi uso permesso a costruire in sanatoria n. 366, rilasciato ai sensi della L. n. 326 del 2003, per l’abitazione al primo piano e permesso a costruire in sanatoria n. 367, rilasciato ai sensi della L. n. 326 del 2003 per altra abitazione al primo piano. Il Tribunale ha rilevato che ciascuna concessione edilizia in sanatoria rispettava il limite volumetrico di mcomma 750 e sulla scorta di ciò ha revocato l’ordine di demolizione. Il provvedimento non ha fatto corretta applicazione dei principi che regolano la materia. Non ha compiuto, il Tribunale, il doveroso sindacato, a cui era tenuto, di verificare la legittimità dei permessi di costruire in sanatoria sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, anche ai fini, come indicato dal ricorrente, del rispetto della soglia volumetrica di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 39, e, ancora prima, della presentazione di una istanza di concessione da parte di soggetto legittimato. A tale riguardo va rammentato che la L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, comma 1, prevede la possibilità di ottenere la concessione edilizia in sanatoria cd. speciale per le opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi, nonché per le opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha sempre interpretato la norma in questione nel senso che ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le plurime istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità, che compongono tale edificio, devono esser riferite ad una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest’ultimo nella sua totalità. Diversamente opinando verrebbe frustata la ratio della norma ovvero evitare l’elusione del limite legale di consistenza dell’opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell’intero complesso edificatorio Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Boccia, Rv. 269280 - 01 Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, Cantiello, Rv. 259292 Sez. 3, n. 20161 del 19/04/2005, Merra, Rv. 231643 Sez. 3, n. 16550 del 19/02/2002, Zagaria, R’. 223861 Sez. 4, n. 36794 del 24/01/2001, Murica, Rv. 220592 Sez. 3, n. 8584 del 26/04/1999, La Mantia, Rv. 214280 Sez. 3, n. 1454 del 25/11/1998, Valio, Rv. 212382 . Dunque, non basta che la singola unità abitativa non superi il limite volumetrico, e il riferimento oggettivo all’unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti e con la presentazione di singole istanze, altrimenti si eluderebbe la finalità della legge che era ed è quella di sanare abusi modesti. In definitiva, non basta quindi che la singola unità non ecceda i 750 mc., ma occorre che, globalmente considerato, l’intero edificio che ospita quelle singole unità non superi quei limiti massimi. 6. Tornando al caso in scrutinio, l’ordinanza va annullata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame. Valuterà il Tribunale di Napoli, se ricorra o meno la soglia volumetrica per la concedibilità in sanatoria, avuto riguardo alla tipologia di abuso realizzato e alla presentazione di plurime istanze da parte di soggetti coniugi, condannati per il reato di abuso edilizio unitario, al fine di verificare se costoro siano i soggetti legittimati alla proposizione dell’istanza di condono e se siano state validamente proposte quelle separatamente presentate dai coniugi per le separate unità di un unitario edificio, onde evitare l’elusione della norma prescrittiva del limite volumetrico per ottenere la concessione in sanatoria. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame.