Delitto di falso: soppressione e distruzione costituiscono diverse modalità di un’unica azione volta alla sottrazione dell’atto

In tema di soppressione di atti veri, la soppressione costituisce un genus comprendente le species della distruzione e dell’occultamento, confluendo tutte le condotte nel risultato della sottrazione del documento dell’avente diritto. Pertanto, la soppressione, la distruzione e l’occultamento sono indicativi di diverse modalità di un’azione di sottrazione, che si consuma nel momento in cui il documento è tolto dalla disponibilità della pubblica amministrazione.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, con la sentenza n. 28052/19, depositata il 26 giugno. Soppressione e sostituzione di cartella clinica. La sentenza che ci accingiamo a commentare ha ad oggetto una serie di contestazioni relative a delitti di falso, commessi da due medici i quali avevano prima soppresso un tracciato cardiologico e la relativa cartella clinica della paziente, e successivamente avevano prodotto una nuova cartella clinica, inserendovi esami diagnostici relativi a persona diversa rispetto alla paziente intestataria della cartella. Particolarmente gravi, pertanto, le condotte contestate ai medici, aggravate dalla natura fidefacente dell’atto, ritenuta sussistente per il reato di falso ideologico nella cartella clinica. Numerosi i motivi di ricorso proposti dai due imputati, tra i quali quello decisivo ai fini dell’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, relativo proprio alla mancata contestazione nel capo di imputazione dell’aggravante in esame, che non era neppure desumibile dalla descrizione del fatto. La circostanza aggravante, nel caso di specie, era stata ritenuta contestata in fatto nella descrizione degli atti aventi tale efficacia. Secondo il principio affermato dalla Corte Suprema, questa modalità di contestazione non è consentita per tale tipo di aggravante, essendo di contro necessario che la natura fidefacente dell’atto sia esplicitamente indicata nell’imputazione con la precisione di tale natura ovvero con l’indicazione della norma di legge di riferimento. Pertanto, si conclude per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata posto che, in assenza della contestazione dell’aggravante, erano già decorsi, prima della pronuncia di secondo grado, i termini di prescrizione. Contraffazione del tracciato cardiografico è falso materiale e non falso ideologico. I residui motivi dedotti dai ricorrenti sono invece ritenuti infondati. Nonostante ciò, per l’attualità ed importanza delle questioni, occorre accennare brevemente alla loro portata. Con il primo motivo si deduceva l’incorretta qualificazione giuridica del fatto relativo al tracciato cardiografico secondo la difesa, la condotta andava inquadrata nel terreno del falso ideologico in certificato e non già nella più grave fattispecie di falso materiale, posto che il tracciato in sé non costituisce atto pubblico e in più non poteva considerarsi materialmente falso in quanto relativo ad une esame effettivamente eseguito su un'altra paziente. Rispetto a tale censura, la Corte ribadisce, in primo luogo, la natura pubblicistica dell’atto in questione, posta l’idoneità probatoria dell’atto relativamente allo svolgimento e al risultato di indagini diagnostiche, a nulla rilevando la valenza informativa ristretta al rapporto tra medico e paziente ciò che rileva è difatti la preminente finalità attestativa dell’atto stesso. Inoltre, la natura materiale della contraffazione nell’atto de quo era affermata dall’apposizione nel tracciato di date diverse e di segni che lo rendevano riferibile ad altra paziente rispetto a quella nei cui confronti era stato effettivamente compiuto l’esame, diventando quindi irrilevante la veridicità o meno dell’atto che avrebbe integrato il solo falso ideologico a fronte della sua materiale contraffazione. Falso per soppressione soppressione, occultamento e distruzione rappresentano diverse modalità di un’unitaria azione di sottrazione. L’ulteriore motivo di ricorso faceva invece riferimento all’errata affermazione della responsabilità per il reato di falso per soppressione. Secondo il ricorrente, mentre la condotta di soppressione deve intendersi in senso giuridico, come privazione rispetto all’atto del suo valore, la condotta di distruzione – che avrebbe dovuto essere contestata agli imputati – si riferisce ad una condotta materiale che andrebbe distinta dalla prima. La Suprema Corte respinge nel merito anche quest’ultima deduzione, rinvenendo che i diversi termini indicati dalla norma in esame designano una condotta sostanzialmente unitaria nel suo risultato, pur se eventualmente realizzabile in forme differente. Inoltre, l’espressa contestazione di taluna di dette forme di manifestazione non preclude l’affermazione di responsabilità per una condotta corrispondente ad altra di esse, soprattutto laddove il comportamento esplicitamente contestato sia quello di soppressione, definito come termine riassuntivo degli effetti della condotta complessivamente incriminata. In definitiva, la soppressione costituisce un genus comprendente le species della distruzione e dell’occultamento, confluendo tutte le condotte nel risultato della sottrazione del documento dell’avente diritto. Pertanto, la soppressione, la distruzione e l’occultamento sono indicativi di diverse modalità di un’azione di sottrazione, che si consuma nel momento in cui il documento è tolto dalla disponibilità della pubblica amministrazione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 maggio – 26 giugno 2019, n. 28052 Presidente Sabeone – Relatore Zaza Ritenuto in fatto 1. D.A. e M.L. ricorrono avverso la sentenza del 28 aprile 2016 con la quale la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Nola del 5 febbraio 2013, riteneva la responsabilità del M. per i reati di falso materiale e di falso per soppressione, e di entrambi gli imputati per il reato di falso ideologico, fatti commessi il omissis , assolvendo il D. dall’imputazione di falso per soppressione per non aver commesso il fatto e il M. dall’imputazione di omicidio colposo per insussistenza del fatto, e rideterminando la pena. La responsabilità del M. era in particolare affermata, nella qualità di primario del reparto di ginecologia e ostetricia dell’ospedale di omissis , per aver formato un falso tracciato cardiografico della paziente A.G. , per aver soppresso la cartella clinica relativa al parto della A. , conclusosi con il decesso della neonata, e per aver redatto una nuova cartella clinica annotandovi il tracciato di cui sopra e omettendo l’annotazione di aver effettuato sulla paziente la manovra di Kristeller. Il D. era ritenuto responsabile, quale medico ginecologo in servizio presso lo stesso ospedale, del concorso nel falso ideologico nella cartella clinica. 2. Il ricorrente M. propone cinque motivi. 2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge sul ritenuto concorso fra i reati contestati, motivato nella sentenza in base all’impossibilità di ravvisare nei fatti un reato progressivo ed all’autonoma offensività dei singoli reati verso la fede pubblica, non rispondendo alla diversa prospettazione difensiva per la quale le condotte erano progressive e concatenate nell’unica finalità della falsità ideologica nella cartella clinica, nel cui evento erano pertanto assorbite. 2.2. Con il secondo motivo deduce violazione sull’affermazione di responsabilità per il reato di falso materiale nel tracciato cardiografico, e in particolare che - il tracciato in sé non è atto pubblico in quanto privo di valore attestativo erga omnes, avendo significato informativo ristretto al rapporto fra il medico e il paziente, e la contraria giurisprudenza, citata nella sentenza impugnata, non è pertinente per essere relativa ai referti di esami diagnostici ove destinati ad integrare la cartella clinica - il tracciato in discussione non era materialmente falso in quanto relativo ad un esame effettivamente eseguito su una paziente diversa - i riferimenti della sentenza impugnata all’apposizione sul tracciato di segni che lo attribuivano alla A. e di due date diverse non escludono che il falso avesse natura ideologica in quanto finalizzato ad attribuire alla A. il tracciato di un esame eseguito su altra paziente nella stessa data - il reato configurabile è pertanto quello di falso ideologico in certificato di cui all’art. 480 c.p 2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge sull’affermazione di responsabilità per il reato di falso per soppressione, e in particolare che - l’imputazione contesta specificamente la condotta di soppressione, che si intende come soppressione giuridica con la quale l’atto è privato del suo valore, mentre nella specie il documento era distrutto, il che integra la diversa fattispecie della distruzione prevista dallo stesso art. 490 c.p - anche a voler estendere la contestazione alla condotta di distruzione, la stessa non sussisteva nella specie in quanto la cartella clinica originaria non era compiutamente compilata prima di essere sostituita da quella successiva, aspetto proposto con l’appello e non valutato nella sentenza impugnata 2.4. Con il quarto motivo deduce violazione di legge sull’aggravante della natura fidefacente dell’atto, ritenuta per il reato di falso ideologico nella cartella clinica, in quanto non espressamente indicata nell’imputazione, dalla quale non era neppure desumibile una contestazione in fatto. 2.5. Con il quinto motivo deduce vizio motivazionale sul trattamento sanzionatorio, e in particolare che - la determinazione della pena-base nella misura di tre anni di reclusione era contraddittoria rispetto al riconoscimento di attenuanti generiche equivalenti all’aggravante in considerazione dell’incensuratezza, della resipiscenza e dell’autorità scientifica dell’imputato e delle condizioni psicologiche nelle quali i fatti erano commessi - l’assoluzione per il reato di omicidio colposo imponeva una rideterminazione della pena e una rivalutazione del giudizio di comparazione con riguardo alla gravità del falso, essenzialmente finalizzato all’interesse del coimputato Ma. . 3. Il ricorrente D. deduce violazione di legge di legge e vizio motivazionale sulla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2 per il reato di falso ideologico, in merito alla quale la sentenza impugnata si limitava a richiamare la decisione di primo grado, omettendo di esaminare i rilievi difensivi. Considerato in diritto 1. Va osservato, premettendo l’esame del relativo motivo, che la censura proposta dal ricorrente M. sulla mancata contestazione della circostanza aggravante della natura fidefacente dell’atto, ritenuta per il falso ideologico nella cartella clinica, è fondata. Non vi è dubbio che l’efficacia fidefacente dell’atto non era oggetto di una esplicita menzione nelle imputazioni contestate agli imputati, le quali neppure contenevano l’espressa indicazione dell’art. 476 c.p., comma 2, che prevede l’aggravante in esame, fra le norme di legge violate. L’aggravante era di conseguenza ritenuta contestata in fatto nella descrizione di atti aventi tale efficacia. Tuttavia, secondo il principio recentemente affermato dalla Corte Suprema, questa modalità di contestazione non è consentita per l’aggravante in esame essendo di contro necessario che la natura fidefacente dell’atto sia esplicitamente indicata nell’imputazione con la precisazione di tale natura o con formule alla stessa equivalenti, ovvero con l’indicazione della norma di legge di cui sopra Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge . In conseguenza dell’accoglimento del motivo, che evidentemente si estende anche alla posizione del ricorrente D. , dell’aggravante in questione, per quanto detto non validamente contestata, non può in particolare tenersi conto nella quantificazione del termine di prescrizione dei reati contestati. Per effetto di ciò, detto termine risulta decorso il 22 maggio 2018, successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata che deve pertanto essere annullata senza rinvio agli effetti penali, dovendosi esaminare gli ulteriori motivi sulla responsabilità degli imputati ai soli fini civili. 2. In questa prospettiva, i residui motivi dedotti dal ricorrente M. sono infondati. 2.1. Sul ritenuto concorso fra i reati contestati, si osservava nella sentenza impugnata che i fatti non davano luogo ad un reato progressivo e neppure ad una progressione criminosa, in considerazione dell’autonoma offensività verso la fede pubblica, rispetto al falso ideologico nella formazione della seconda cartella clinica, del falso per soppressione della prima cartella e del falso materiale nella formazione del tracciato cardiografico. Quest’ultimo, come in particolare sottolineato dalla Corte territoriale, aveva infatti valore attestativo dell’operazione compiuta, a prescindere dal suo inserimento o meno in una cartella clinica mentre la soppressione della prima cartella aveva sottratto attestazioni rilevanti con riguardo al referto ecografico ed agli accertamenti nell’imminenza del parto della A. . Queste argomentazioni, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, rispondevano adeguatamente alla deduzione difensiva per la quale le condotte sarebbero state progressivamente concatenate nell’unica finalità della produzione della falsa cartella clinica. La funzionalità a questo scopo unitario, se giustifica il riconoscimento della continuazione fra i reati, non rileva ai fini dell’effettività del concorso fra questi ultimi, ove non incida sull’autonomia fattuale delle singole condotte e sulla loro altrettanto autonoma offensività. Essendo evidente per il primo aspetto come i fatti addebitati fossero nella specie distinti, riguardando atti diversi e manifestandosi nelle differenti condotte della materiale falsificazione, della soppressione e della falsa attestazione, i giudici di merito evidenziavano coerentemente i separati effetti lesivi dei reati, in quanto concernenti attività sanitarie diverse sulle quali la fede pubblica subiva pregiudizio. 2.2. Sull’affermazione di responsabilità dell’imputato per il falso materiale nel tracciato cardiografico, la natura pubblicistica dell’atto era ritenuta nel corretto riferimento al principio affermato in tal senso dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alla similare fattispecie della falsificazione dei reports di stampa di esami clinici Sez. 5, n. 22192 del 12/02/2008, Perrini, Rv. 240427 . La validità del principio per l’ipotesi qui esaminata non è inficiata dal rilievo del ricorrente per il quale il precedente citato si riferirebbe ad esami diagnostici destinati ad integrare la cartella clinica, in quanto tale profilo era esposto in quella sede come meramente aggiuntivo rispetto al dato essenziale della finalità probatoria dell’atto relativamente allo svolgimento ed ai risultati di indagini di laboratorio effettuate da operatori sanitari pubblici e al decorso dello stato del paziente, situazione ricorrente anche per il tracciato cardiografico. Nè è significativa in contrario l’obiezione del ricorso per la quale detto tracciato avrebbe valenza informativa ristretta al rapporto fra il medico e il paziente, nel momento in cui il principio era affermato dalla Corte di legittimità non discutendo dell’essere l’atto interno alla struttura ospedaliera, ma evidenziando l’irrilevanza di tale aspetto a fronte del descritto contenuto attestativo dell’atto stesso. Una volta confermata la fondatezza della qualificazione del tracciato come atto pubblico, la questione posta dal ricorrente in ordine alla riconducibilità della condotta ad una contraffazione ideologica piuttosto che materiale perde rilevanza nella prospettiva finale indicata nel ricorso nella ravvisabilità del diverso reato di falsità ideologica in certificato di cui all’art. 480 c.p La natura materiale della contraffazione era peraltro affermata nella sentenza impugnata in base all’appostazione nel tracciato di date diverse e di segni che lo rendevano riferibile alla A. in luogo della diversa paziente alla cui degenza il tracciato era in origine pertinente. La circostanza segnalata nel ricorso, per la quale la finalità di ricondurre l’intervento sanitario a persona diversa integra comunque una falsità ideologica, non eliderebbe le note di falsità materiale indicate dai giudici di merito, ma condurrebbe al più a individuare nell’atto falsità sia materiali che ideologiche e in una situazione siffatta, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, la falsità ideologica è assorbita in quella materiale, divenendo irrilevante la veridicità o meno dell’atto a fronte della sua contraffazione Sez. 5, n. 12400 del 13/11/2015, dep. 2016, Caramanno, Rv. 266700 Sez. 5, n. 38083 del 27/09/2005, Strada, Rv. 233076 . 2.3. Sull’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di falso per soppressione, è in primo luogo infondata la censura di violazione della contestazione, esplicitamente riferita ad una condotta di soppressione del documento, nella ritenuta sussistenza della diversa condotta di distruzione, prevista dall’art. 490 c.p. in alternativa a quelle della soppressione, oltre che all’ulteriore condotta dell’occultamento dell’atto. Il dibattito dottrinale sui rapporti fra tali condotte, evocato dal ricorrente, non ha avuto esito univoco nell’asserita diversità delle condotte di distruzione e soppressione, intendendosi la prima come smaterializzazione del documento e la seconda come privazione del valore giuridico dello stesso rimanendo d’altra parte sfuggente, in questa prospettiva, l’ipotizzabilità di una soppressione limitata agli effetti giuridici dell’atto, che non sia realizzata mediante la materiale eliminazione o l’occultamento dello stesso, configurabile come tale anche ove abbia oggetto registrazioni o altre tracce documentali dell’atto. Si è altresì autorevolmente ritenuto che la soppressione costituisca in realtà un genus comprendente le species della distruzione e dell’occultamento, confluendo tutte le condotte nel risultato della sottrazione del documento all’avente diritto. E quest’ultima lettura ha trovato sostanziale accoglimento nella giurisprudenza di legittimità, laddove i riferimenti terminologici del citato art. 490 alla soppressione, alla distruzione ed all’occultamento sono stati intesi come indicativi di diverse modalità di un’azione di sottrazione, che si consuma nel momento in cui il documento è tolto dalla disponibilità della pubblica amministrazione Sez. 5, n. 3404 del 11/02/2000, Famulare, Rv. 215588 interpretazione, questa, in effetti conforme al significato letterale della previsione normativa nei termini distrugge, sopprime e occulta , dove il secondo di detti termini esprime chiaramente il senso della sottrazione a tutti gli effetti del documento, risultato comune alle condotte di chi distrugge o occulta l’atto. I diversi termini indicati nella norma disegnano, in altre parole, una condotta sostanzialmente unitaria nel suo risultato, pur se eventualmente realizzabile in forme differenti. Ai fini che qui interessano, tanto comporta che l’espressa contestazione di taluna di dette forme di manifestazione non preclude l’affermazione di responsabilità per una condotta corrispondente ad altra di esse, soprattutto laddove, come nel caso di specie, il comportamento esplicitamente contestato sia quello della soppressione, definita con un termine in sé riassuntivo degli effetti della condotta complessivamente incriminata. La sentenza impugnata era pertanto correttamente motivata sul punto, nel momento in cui la Corte territoriale osservava che all’imputato era sostanzialmente addebitata la rimozione della preesistente cartella clinica. L’ulteriore censura di omessa valutazione del motivo di appello, per il quale il documento soppresso non era in concreto esistente trattandosi di una cartella clinica non compiutamente compitata, trascura la corretta argomentazione della sentenza impugnata per la quale, sussistendo il reato anche nel caso di soppressione parziale di un documento, tanto si verificava nella specie nel momento in cui la precedente cartella clinica conteneva già componenti attestative quali l’anamnesi ostetrica e l’esame ecografico, la cui eliminazione integrava pertanto il reato. Ben lungi dal non essere esaminata, la deduzione difensiva era dunque ritenuta superata in base a considerazioni alle quali il ricorso non oppone specifici rilievi contrari. 3. I motivi dedotti dal ricorrente M. sul trattamento sanzionatorio, e dal ricorrente D. sulla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2 per il reato di falso ideologico, sono assorbiti dall’annullamento della sentenza impugnata agli effetti penali. Agli effetti civili, i ricorsi devono essere rigettati per quanto detto in precedenza. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione Rigetta i ricorsi agli effetti civili.