Burger al carbone naturale: commerciante condannato

Definitiva la sanzione per il legale rappresentante di una società proprietaria di una catena di supermercati. Evidente la sua responsabilità. Irrilevante il fatto che il prodotto messo in vendita non sia indicato come ‘pane’ sulla confezione.

Il burger preparato con l’aggiunta di carbone naturale – e presentato ai clienti come ‘black burger’ – va considerato come pane a tutti gli effetti. Ciò rende illegittimo, e quindi punibile, l’uso del carbone come additivo. Ecco spiegata la condanna alla pena di 10mila euro di ammenda per il legale rappresentante di una società proprietaria di una catena di supermercati. Fatale la presenza del prodotto in un singolo punto vendita Cassazione, sentenza n. 27282/2019, Sezione Terza Penale, depositata il 19 giugno 2019 . Additivo. Per i Giudici della Cassazione è corretta la lettura data alla vicenda dal Tribunale. In sostanza, viene ritenuta evidente la violazione della normativa sulla sicurezza alimentare. Inutile, quindi, il ricorso proposto dall’avvocato che ha difeso il legale rappresentante della società. In particolare, infruttuoso il richiamo al fatto che il carbone è un additivo non chimico e respinta l’obiezione secondo cui, alla luce del regolamento comunitario, tra i prodotti da forno per i quali è consentito l’utilizzo dell’additivo erano espressamente compresi i bread sostitutes , tra i quali andava compreso il ‘black burger’ al sesamo e che non era definito come pane neppure nella confezione . Pane. In prima battuta i magistrati della Cassazione osservano che vi è responsabilità sicuramente riconducibile al vertice della compagnia societaria in ordine alla scelta dei prodotti da acquistare e quindi porre in vendita nella catena di esercizi . A maggior ragione, poi, quando, come in questo caso, non risulta essere stata delegata la definizione della politica aziendale di acquisizione della merce da collocare in vendita nei singoli negozi . Per quanto concerne la concretezza del reato contestato, i Giudici ricordano che nel corso di un controllo in un esercizio commerciale erano stati rinvenuti prodotti da forno denominati ‘black burger’ al sesamo, contenenti l’aggiunta di un additivo chimico colorante . Peraltro, è emerso che i prodotti posti in vendita avevano la forma del pane ed erano chiamati ‘burger’, ovvero prodotti da forno, ed erano identici al pane, avendone gli ingredienti e la forma, presentandosi come ‘pane nero’, ovvero come pane contenente carbone . Di conseguenza, non poteva sostenersi che un prodotto da forno, identico al pane per forma e sostanza ma definito bakery, potesse essere venduto solamente perché non era definito pane . Tirando le somme, se l’impiego del carbone vegetale non è ancora previsto per gli alimenti venduti con la denominazione ‘pane’, bensì per i sostitutivi del pane quale grissini, cracker, gallette, pizza e schiacciata, taralli , ciò non può significare che si possa procedere alla vendita solamente quando non vi è a dicitura ‘pane’, ma di tale alimento sussistano forma e sostanza .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 gennaio – 19 giugno 2019, n. 27282 Presidente Lapalorcia – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 30 aprile 2018 il Tribunale di Milano ha condannato C.G. , nella qualità di legale rappresentante della GCA General Market, alla pena, sospesa, di Euro 10.000 di ammenda per il reato di cui all’art. 5, comma 1, lett. g L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 6, comma 3, stante Indebito utilizzo dell’additivo chimico colorante del carbone. 2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione con tre motivi di impugnazione. 2.1. Col primo motivo il ricorrente ha osservato che, data la veste di legale rappresentante di una società con undici diversi punti vendita, non poteva a scriversi allo stesso la verifica della conformità a legge dei prodotti venduti. 2.2. Col secondo motivo, quanto alla pretesa violazione della L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. g , il ricorrente ha osservato che il carbone era un additivo non chimico, per cui non rientrava nell’ambito regolato dalla richiamata norma. In ogni caso, in relazione a quanto previsto dal regolamento CE n. 1333 del 2008, tra i prodotti da forno fini, per i quali era consentito l’utilizzo dell’additivo, erano espressamente compresi i bread substitutes, tra i quali andava compreso il Black burger al sesamo, oggetto della contestazione, che non era definito come pane neppure nella confezione. 2.3. Col terzo motivo infine è stata richiesta la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, con concessione della non menzione della condanna. 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato. 4.1. Per quanto concerne il primo motivo di impugnazione, è stato in effetti affermato che, in tema di disciplina degli alimenti, il legale rappresentante della società gestrice di una catena di supermercati non è per ciò solo responsabile, qualora essa sia articolata in plurime unità territoriali autonome, ciascuna affidata ad un soggetto qualificato ed investito di mansioni direttive, in quanto la responsabilità del rispetto dei requisiti igienico-sanitari dei prodotti va individuata all’interno della singola struttura aziendale, senza che sia necessariamente richiesta la prova dell’esistenza di una apposita delega in forma scritta con la precisazione, peraltro, che resta salva la responsabilità a titolo di colpa del legale rappresentante della società, secondo i principi generali di cui all’art. 43 c.p., qualora il fatto derivi da cause strutturali correlate a scelte riservate al titolare dell’impresa, quali, per esempio, l’omessa adozione delle procedure di autocontrollo previste dalla normativa Europea Sez. 3, n. 44335 del 10/09/2015, D’Argenio, Rv. 265345 cfr. altresì Sez. 3, n. 11835 del 19/02/2013, Kasch, Rv. 254761 . 4.1.1. In specie, peraltro, non vi è certamente questione di rispetto dei requisiti igienico-sanitari della merce venduta nei singoli punti vendita né per vero il ricorrente ha inteso spiegare l’articolazione interna della catena di supermercati, con l’eventuale presenza di soggetti direttamente e legalmente responsabili per ogni singola unità territoriale , ma ancor prima vi è responsabilità, sicuramente riconducibile al vertice della compagine societaria, in ordine alla scelta dei prodotti da acquistare e quindi porre in vendita nella catena di esercizi. Né risulta essere stata in qualche modo delegata ai preposti, la cui esistenza non è stata peraltro neppure allegata, anche la definizione della politica aziendale di acquisizione della merce da collocare in vendita nei singoli negozi. In tal senso quindi non coglie nel segno il ricorso, atteso che correttamente il provvedimento impugnato ha osservato che il legale rappresentante deve essere a conoscenza della conformità a legge dei prodotti di cui ha inteso disporre l’acquisto. Né sono mai state individuate altre figure cui ricondurre la responsabilità aziendale. 4.2. In relazione al secondo motivo di ricorso, il provvedimento impugnato ha dato conto che nel corso di un controllo nell’esercizio commerciale sito in XXXXXX e riconducibile alla società di cui il ricorrente è legale rappresentante, erano stati rinvenuti prodotti da forno denominati Black Burger al sesamo, contenenti l’aggiunta di additivo chimico colorante denominato E153 al riguardo, i prodotti posti in vendita avevano la forma del pane ed erano chiamati Burgher ovvero prodotti da forno, erano identici al pane avendone gli ingredienti e la forma, presentandosi come pane nero, ovvero come pane contenente carbone. Né poteva sostenersi che un prodotto da forno, identico al pane per forma e sostanza ma definito bakery, potesse essere venduto solamente perché non era definito pane. Mentre in ogni caso ciò avrebbe comportato aggiramento del divieto, in specie sussistente. 4.2.1. Altrimenti detto, quindi, se l’impiego del carbone vegetale non è ancora previsto per gli alimenti venduti con la denominazione pane , bensì come risulta dal regolamento comunitario n. 1333/08 - per i sostitutivi del pane , quali ad esempio grissini, cracker, gallette, pizze e schiacciate, taralli, ecc., ciò non può significare che si possa procedere alla vendita solamente quando non vi è la dicitura pane , ma di tale alimento sussistano forma e sostanza che invece i prodotti sostitutivi del pane , appena ricordati, certamente non hanno . 4.2.2. Siffatta ratio della decisione impugnata non risulta invero scalfita dal ricorso, che invece ha dato ampio conto dell’inquadramento normativo che, in sé, non è certamente oggetto di contestazione. 4.3. Parimenti infondato è anche il terzo motivo di ricorso. Al riguardo, il ricorrente ha richiesto tout court la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, non richiesto, e la concessione del beneficio della non menzione della condanna. In proposito, peraltro, vero è che si è sostenuto che anche l’imputato, condannato alla pena pecuniaria della multa, che sia stata condizionalmente sospesa senza sua richiesta, ha interesse ad impugnare la relativa statuizione non motivata in punto di utilità della sospensione condizionale della pena, onde ottenere la revoca del beneficio da cui derivi la lesione di un interesse giuridico qualificato Sez. 5, n. 14195 del 27/01/2015, D., Rv. 264074 . In proposito, peraltro, è stato parimenti ivi chiarito che il giudice di merito, in relazione ad una condanna alla pena pecuniaria per delitto, può disporre, anche di ufficio, la sospensione condizionale della pena, ma deve motivare sulla utilità della concessione del beneficio rispetto al contrario interesse dell’imputato a non goderne, sulla base di una valutazione in concreto, in considerazione delle finalità di prevenzione speciale e di rieducazione insita nell’istituto Sez. 5, n. 1136 del 05/04/2013 Rv. 258822 . Infatti, già le Sezioni Unite di questa Corte, nel 1994, hanno avuto modo di affermare che la sospensione condizionale non può risolversi in un pregiudizio per l’imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena l’interesse all’impugnazione, condizionante l’ammissibilità del ricorso, si configura pertanto tutte le volte in cui il provvedimento di concessione del beneficio sia idoneo a produrre in concreto la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e la sua eliminazione consenta il conseguimento di una situazione giuridica più vantaggiosa. Il pregiudizio addotto dall’interessato, tuttavia, in tanto è rilevante in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico, ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili in quanto correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella individualizzazione della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato Sez. U, n. 6563 del 16/03/1994, Rusconi, Rv 197535 . 4.3.1. In specie, se il provvedimento impugnato ha giustificato la concessione della sospensione condizionale avuto riguardo alla prognosi favorevole sulle future condotte dell’imputato, alcuno specifico contrario interesse, giuridicamente qualificato e meritevole di tutela, è stato invece palesato in proposito dal ricorrente, se non la volontà di pagare la sanzione inflitta. 4.3.2. Per quanto poi riguarda la richiesta del beneficio della non menzione, detto beneficio persegue finalità diverse rispetto a quello della sospensione condizionale della pena perché, mentre quest’ultima ha l’obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilità di revoca, un’efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale, il primo ha lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato, sicché non è contraddittoria la decisione che neghi uno dei due benefici e conceda l’altro Sez. 3, n. 51580 del 18/09/2018, M., Rv. 274106 , con la conseguenza che le ragioni del diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena non assorbono quelle relative al mancato riconoscimento della non menzione che, ove mancanti, determinano la nullità della sentenza, sul punto specifico, per vizio di motivazione Sez. 3, n. 18396 del 15/03/2017, Cojocaru, Rv. 269638 . In specie, peraltro, la relativa istanza è stata formulata priva di motivazione e senza allegare alcuno specifico vizio denunciabile in sede di legittimità, mentre in ogni caso va ricordato che la mancata concessione ex officio della sospensione condizionale della pena o della non menzione della condanna non è deducibile con il ricorso per cassazione da parte dell’imputato, che non abbia richiesto tali benefici nel corso del giudizio di merito Sez. 3, n. 28690 del 09/02/2017, Rochira, Rv. 270587 . 4.3.3. Il richiamato difetto di qualsivoglia specificazione al riguardo non può quindi che condurre al rigetto anche di questo motivo. 5. Dalla complessiva infondatezza dell’impugnazione consegue pertanto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.