L’adeguata informazione della vittima del reato circa l’evoluzione del regime cautelare in atto

Per la configurabilità dell’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 299, comma 3, c.p.p., la conoscibilità possibile e concreta, che si evince dagli atti del procedimento, dell’indirizzo della persona offesa e della nomina, da parte sua, di un difensore di fiducia comporta la sussistenza di detto obbligo.

Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 27321/19, depositata il 19 giugno. Nel caso in esame, succedeva che il Tribunale del riesame, decidendo sull’appello proposto dal PM contro la decisione emessa dal GIP con cui si è accolta l’istanza del difensore dell’indagato per il delitto di stalking, di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con quelle del divieto di dimora nel Comune della persona offesa e del divieto di comunicazione e avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima del reato, annullava tale provvedimento di sostituzione per mancata comunicazione di cui all’art. 299, comma 2- bis , c.p.p., ripristinando gli arresti domiciliari. Avverso tale decisione il difensore dell’indagato propone ricorso per cassazione. L’obbligo di comunicazione della revoca o sostituzione della misura cautelare alla persona offesa. Nel caso di specie, necessaria la valutazione della sussistenza dei parametri di configurabilità dell’obbligo normativo di comunicazione, essendo indubbio il fatto che in relazione al delitto di stalking venga in rilievo un rapporto specifico e di ordine personale tra vittima e aggressore che costituisce la ratio della previsione di cui all’art. 299, comma 3, c.p.p., la quale impone l’obbligo di avviso alla persona offesa dell’eventualità che la cautela in atto a sua tutela possa subire nel futuro modifiche su richiesta dell’autore del reato. Pertanto, gli Ermellini, dichiarando inammissibile il ricorso in oggetto, affermano il principio di diritto secondo cui, ai fini della configurabilità dell’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 299, comma 3, c.p.p., la conoscibilità possibile e concreta, che si evince dagli atti del procedimento, dell’indirizzo della persona offesa e della nomina di un difensore di fiducia da parte sua determina la sussistenza di detto obbligo .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 febbraio – 19 giugno 2019, n. 27321 Presidente De Gregorio – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, datato 18.9.2018, il Tribunale del Riesame di Campobasso, decidendo in relazione all’appello ex art. 310 c.p.p. proposto dal Pubblico Ministero contro l’ordinanza del 14.8.2018 emessa dal GIP presso il Tribunale di Campobasso con la quale si è accolta l’istanza del difensore di D.F.M. , indagato per il delitto di stalking, di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con quelle del divieto di dimora nel comune di omissis e del divieto di comunicazione ed avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ha annullato detto provvedimento di sostituzione per omessa comunicazione ex art. 299 c.p.p., comma 2 bis, ripristinando la misura degli arresti domiciliari e disponendo ovviamente che l’esecuzione della decisione fosse sospesa sino alla sua definitività . 2. Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione l’indagato tramite il proprio difensore, avv. Messere, deducendo un unico motivo con cui si argomenta la violazione di legge in relazione all’art. 299 c.p.p Secondo il difensore, il GIP di Campobasso correttamente non ha tenuto conto della mancanza di notifica alla persona offesa dell’istanza di sostituzione della misura custodiale in atto, alla luce del contesto di accadimento dei fatti persecutori unicità dell’episodio persecutorio da cui era derivato l’aggravamento della cautela e necessità di lavorare dell’indagato , mentre, d’altro canto, il Tribunale del Riesame non ha facoltà di rilevare l’inammissibilità dell’istanza di sostituzione della misura e di dichiarare la conseguente nullità dell’ordinanza, spettando detta valutazione di inammissibilità solo al giudice che procede in ordine alla proposta istanza. Il Tribunale del Riesame, inoltre, non ha motivato sulla necessità in concreto dell’obbligo di comunicazione ex art. 299 c.p.p., comma 3, e non si è attenuto all’orientamento giurisprudenziale secondo cui quando, come nel caso di specie, il difensore dell’indagato non sia a conoscenza della nomina di un difensore di fiducia da parte della persona offesa e quest’ultima non abbia neppure dichiarato o eletto domicilio nel corso del procedimento alcuna notifica dell’istanza cautelare è dovuta da parte dell’indagato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve dichiarato inammissibile. 2. Il motivo difensivo preliminare, riferito alla possibilità per il Tribunale del Riesame di rilevare l’omesso rispetto dell’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 299 c.p.p., comma 3, è privo di pregio. La giurisprudenza di legittimità ha pacificamente affermato, infatti, che l’inammissibilità dell’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare personale applicata nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, prevista dall’art. 299 c.p.p., comma 3, come modificato dal D.L. 14 agosto 2013, n. 93, art. 2, conv. nella L. 15 ottobre 2013, n. 119, quale conseguenza della mancata notifica della richiesta medesima - a cura della parte richiedente - alla persona offesa, è deducibile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo cautelare, anche in sede di appello cautelare ciò perché il controllo officioso del giudice prescinde totalmente dal principio devolutivo, fissato in via generale dall’art. 597 c.p.p. in quanto attiene alla legittimità del provvedimento impugnato Sez. 2, n. 33576 del 14/7/2016, Fassih, Rv. 267500 conformi, Sez. 6, n. 8691 del 14/11/2017, A., dep. 2018, Rv. 272215 e Sez. 2, n. 29045 del 20/6/2014, Isoldi, Rv. 259984 . 3. Il ricorrente, inoltre, non si orienta correttamente tra i precedenti giurisprudenziali riferiti alla necessità di verifica della sussistenza dell’obbligo di comunicazione ex art. 299 c.p.p. nei delitti commessi con violenza alla persona. Ed infatti, ciò che l’opzione interpretativa di legittimità citata nel ricorso ha affermato è non già l’esigenza di una indiscriminata verifica in concreto dell’obbligo di comunicazione alla persona offesa ex art. 299 c.p.p., comma 3, ma solo che detto obbligo presuppone un pregresso rapporto tra vittima e aggressore ovvero la sussistenza di concrete possibilità di intimidazione o di ritorsioni, circostanze che permettono di individuare un fondamento razionale alla norma, tale da giustificare la compressione dei diritti processuali dell’indagato sottoposto a limitazione della libertà personale, mentre tale obbligo informativo non si estende a tutti i reati commessi con violenza alla persona, nei quali la violenza commessa sia occasionale o non supportata dai caratteri predetti cfr. Sez. 2, n. 46996 del 8/6/2017, Bruno, Rv. 271153 Sez. 2, n. 36680 del 4/5/2017, Ficarra, Rv. 270640 Sez. 2, n. 25135 del 25/5/2016, Pardo, Rv. 267236 contra Sez. 2, n. 30302 del 24/6/2016, Opera, Rv. 267718 Sez. 1, n. 49339 del 29/5/2016, Gallani, Rv. 265732 . Tali affermazioni, lungi dal rappresentare avallo alle tesi difensive, impongono, invece, nel caso di specie, la valutazione di certa sussistenza dei parametri di configurabilità dell’obbligo normativo di comunicazione, essendo indubbio che, in relazione al delitto di stalking e nel caso di specie, venga in rilievo proprio un rapporto specifico di ordine personale tra vittima e aggressore che, conferendo maggior pericolosità alla condotta, costituisce la perfetta ratio della previsione di cui all’art. 299 c.p.p., comma 3, che impone l’obbligo di avviso alla persona offesa dell’eventualità che la cautela in atto a sua tutela possa subire nel futuro delle modifiche su istanza dell’autore del reato. Ciò perché il legislatore ha inteso garantire, mediante la necessità dell’avviso previsto dall’art. 299 c.p.p., nelle varie fasi del procedimento anche dopo la chiusura delle indagini preliminari, con la previsione del comma 4 bis, del medesimo articolo , l’adeguata informazione della vittima del reato circa l’evoluzione del regime cautelare in atto, e, quindi, la possibilità per la stessa di fornire eventuali elementi ulteriori al giudice procedente, attivando eventualmente anche un contraddittorio cartolare. 4. Infine, è destituita di fondamento anche la parte di motivo dedicata alla dedotta impossibilità di adempiere all’obbligo di comunicazione, in ragione del fatto che l’indagato ed il suo difensore non fossero a conoscenza della nomina di un difensore di fiducia da parte della persona offesa e che quest’ultima non avesse eletto domicilio nel procedimento. Ed infatti, come ha già precisato il Tribunale del Riesame nel provvedimento impugnato, il domicilio della persona offesa era ben noto e chiaro al ricorrente, il quale si era visto disporre inizialmente, prima dell’aggravamento avvenuto in data 8 agosto 2018, proprio il divieto di avvicinamento alla persona offesa ed ai luoghi dalla stessa frequentati nel comune di omissis , all’indirizzo omissis , domicilio della persona offesa, peraltro, dichiarato nel verbale di sommarie informazioni in atti, come puntualmente sottolineato nel provvedimento impugnato. Pertanto, il domicilio era noto al ricorrente e, sotto tale profilo, il motivo di ricorso si rivela anche inammissibile per non essersi confrontato con le ragioni specifiche dedotte dal Tribunale del Riesame al riguardo. A ciò si aggiunga che si osserva direttamente dal provvedimento impugnato come fosse stata comunicata anche l’ordinanza originaria ex art. 282 ter c.p.p., all’indirizzo della persona offesa nelle mani della figlia convivente e presso lo studio dell’avvocato nominato, dunque già noto all’indagato come patrocinatore. Deve affermarsi, pertanto, il principio secondo cui, ai fini della configurabilità dell’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 299 c.p.p., comma 3, la conoscibilità possibile e concreta, evincibile dagli atti del procedimento, dell’indirizzo della persona offesa e della nomina di un difensore di fiducia da parte sua determina la sussistenza di detto obbligo. 5. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000 , al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000 a favore della Cassa delle ammende.