Il confine tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e quello di estorsione

Accolto il ricorso del Procuratore della Repubblica che lamentava l’errata qualificazione giuridica del fatto operata dal GIP ai fini della convalida dell’arresto dell’indagato. A tal proposito, la Suprema Corte distingue la condotta integrante il reato di estorsione da quella di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Questo il contenuto della decisione della Corte di Cassazione n. 26608/19 depositata il 17 giugno. Il fatto. Il GIP presso il Tribunale di Foggia non convalidava l’arresto dell’indagato, poiché riteneva che la condotta posta in essere da quest’ultimo, qualificata come estorsione nella imputazione provvisoria, fosse riconducibile, invece, al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, per il quale non è consentito l’arresto. Avverso la suddetta pronuncia, propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica, lamentando l’errata qualificazione giuridica del fatto operata dal GIP. Estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La Suprema Corte dichiara il ricorso fondato, affermando che il reato di estorsione, a differenza di quello vertente sull’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, si sostanzia in una condotta minacciosa ovvero violenta che va oltre il ragionevole intento di far valere un proprio diritto, traducendosi in forme a tal punto aggressive da annullare le capacità di reazione della vittima, trasformandola in uno strumento finalizzato a soddisfare le pretese personali. Nel caso concreto, la Corte ravvisa che le modalità della condotta posta in essere dall’indagato rientrano senza dubbio tra quelle che esulano dall’esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Per questo motivo, la Corte di Cassazione annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata, confermando la legittimità dell’arresto.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 29 maggio – 17 giugno 2019, n. 26608 Presidente Diotallevi – Relatore Sgadari Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Foggia non convalidava l’arresto di O.E. eseguito dalla polizia giudiziaria, ritenendo che la condotta commessa dall’indagato, contestata nella imputazione provvisoria come estorsione, fosse riconducibile, invece, al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni in ordine al quale l’arresto non è consentito. 2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia, deducendo violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto e per non avere il Tribunale valutato la legittimità dell’arresto alla luce di quelle che, ex ante, potevano essere le cognizioni a disposizione della polizia giudiziaria. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. Secondo l’oramai consolidata e più recente giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa o violenta che, estrinsecandosi in forme talmente aggressive da annichilire le capacità di reazione della vittima e trasformarla in mero strumento di soddisfazione delle pretese dell’autore, esorbita dal ragionevole intento di far valere un preteso diritto. In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la qualificazione come estorsione della condotta di un soggetto che, per far valere un credito verso la persona offesa, aveva preteso interessi usurari e l’aveva sottoposta ad un violento pestaggio Sez. 2 - n. 55137 del 03/07/2018, Arcifa, Rv. 274469 - 01 Massime precedenti Conformi N. 17785 del 2015 Rv. 263255 - 01, N. 41452 del 2016 Rv. 268537 01, N. 41365 del 2010 Rv. 248736 - 01, N. 11823 del 2017 Rv. 270024 - 01, N. 36928 del 2018 Rv. 273837 - 01, N. 1921 del 2016 Rv. 265643 - 01, N. 44657 del 2015 Rv. 265316 - 01, N. 19230 del 2013 Rv. 256249 - 01, N. 9759 del 2015 Rv. 263298 - 01, N. 32795 del 2014 Rv. 261291 - 01 . Nel caso in esame, l’ordinanza impugnata, a parte qualche incerto inciso in ordine alla verificazione del fatto, non smentisce quanto contenuto nel capo di imputazione provvisorio, secondo cui l’indagato, per tutelare il suo presunto diritto alla restituzione di una somma da parte della persona offesa, l’avesse minacciata in un palo di occasioni con un coltello, l’avesse immobilizzata afferrandola per le braccia, gli avesse stritolato il pene, al contempo proferendo minacce di morte. Ne consegue che, alla luce di questi dati, le modalità esecutive della condotta, a monte della supposta legittimità della pretesa vantata dall’agente, rientrano giuridicamente tra quelle che esuberano dall’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, essendosi estrinsecate in forme tali da annientare la volontà della vittima, secondo quanto richiesto dalla giurisprudenza citata. Ne consegue che l’ordinanza impugnata ha errato nella qualificazione giuridica del fatto, con assorbimento di ogni altra questione. Per il che, dovendosi annullare il provvedimento impugnato, deve ricordarsi che l’annullamento da parte della Corte di Cassazione, su ricorso del P.M., dell’ordinanza di non convalida dell’arresto in flagranza, va disposto senza rinvio , poiché un eventuale rinvio determinerebbe lo svolgimento di un nuovo giudizio relativo ad una fase processuale ormai esauritasi, essendo già stata riconosciuta dalla Corte di Cassazione la legittimità dell’operato della polizia giudiziaria Sez. 6, n. 12291 del 01/03/2016, Tapia Diaz, Rv. 266868 - 01 Massime precedenti Conformi N. 21389 del 2015 Rv. 264026 - 01, N. 1814 del 2016 Rv. 265886 - 01, N. 5040 del 2016 Rv. 266048 - 01, N. 15387 del 2016 Rv. 266566 - 01 . P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata ritenendo legittimo l’arresto