Omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali: invocabile l’ignoranza inevitabile?

La dimenticanza sull’esistenza di un obbligo di legge si traduce in un’ignoranza del precetto penale rilevante ex art. 5 c.p. a condizione che essa sia inevitabile secondo i parametri individuati nella sentenza della Corte Costituzionale n. 364/1988 e, cioè, solo qualora eventualmente sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma da cui deriva l’obbligo.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26417/19, depositata il 17 giugno. Il caso. Il Tribunale del Riesame di Cosenza, decidendo in sede di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di Cassazione, rigettava l’istanza di riesame avanzata da M.F. e confermava il decreto di sequestro preventivo anche per equivalente illo tempore emesso nei suoi confronti dal GIP cosentino. In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, l’indagato, soggetto sottoposto alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, non ottemperando agli obblighi di comunicazione stabiliti per la durata di dieci anni, avrebbe omesso di comunicare ogni variazione patrimoniale non inferiore a 10.392,14 euro – variazione, nel caso di specie, rappresentata dall’acquisto di una autovettura – e, per l’effetto, avrebbe violato il combinato disposto degli artt. 76, comma 7, e 80 del d.lgs. n. 159/2011. Avverso l’ordinanza cautelare reiettiva de qua l’indagato ricorreva per Cassazione deducendo, con un unico motivo di gravame, violazione di legge in relazione alla mancata osservanza da parte del giudice del rinvio delle indicazioni dettate dalla Corte di legittimità con la sentenza di annullamento, precipuamente afferenti la necessaria verifica – omessa da parte dei Giudici della cautela o comunque viziata da motivazione apparente – della sussistenza dell’elemento psicologico del reato in capo all’indagato. I limiti alla applicabilità dell’ignoranza inevitabile. Secondo la Corte di Cassazione, i Giudici del rinvio hanno ampiamente risposto alle indicazioni stabilite nella prima decisione della Corte di legittimità, motivando espressamente e specificamente sui profili richiesti. In particolare, per ciò che concerne la dedotta violazione dell’art. 5 c.p., l’ordinanza cautelare reiettiva impugnata chiarisce efficacemente quelli che sono i confini di applicabilità della regola dell’ignoranza inevitabile, certamente non applicabile alle norme contestate all’indagato. In effetti, argomentano i Supremi Giudici, è principio di diritto assolutamente pacifico quello secondo cui la dimenticanza sull’esistenza di un obbligo di legge si traduce in una ignoranza del precetto penale rilevante ex art. 5 c.p. a condizione che essa sia inevitabile secondo i parametri individuati nella sentenza della Corte Costituzionale n. 364/1988 e, cioè, solo qualora eventualmente sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma da cui deriva l’obbligo. Tra l’altro, la verifica circa l’eventuale inevitabilità incolpevole dell’ignoranza della legge penale deve essere effettuata attraverso l’utilizzo di parametri specificamente ricostruiti in funzione sia dell’illecito che dell’autore dello stesso, ovvero alla di lui situazione soggettiva di conoscenza della legge. Con la conseguenza che lo status di analfabeta non è sic et simpliciter sufficiente ed idoneo ad escludere la possibile comprensione di un precetto penale, specie da parte di chi – come nel caso de quo – pur analfabeta, risulta delinquere da diversi anni e risulta sottoposto a numerosi processi penali e di prevenzione, al punto tale da non poter essere considerato uno sprovveduto incapace di comprendere la portata di un precetto penale. L’elemento psicologico nel reato di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali. Per pacifico e consolidato orientamento di legittimità, il reato di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali è punito, sotto l’aspetto soggettivo, a titolo di dolo generico, rappresentato dalla coscienza e volontà di omettere le comunicazioni previste dalla norma e non richiede la volontà specifica di occultare alla polizia economico-finanziaria le informazioni dovute. Le rigide regole per la redazione dei motivi nuovi di impugnazione. Con la sentenza de qua i Supremi Giudici hanno avuto altresì modo di chiarire la regola fondamentale in materia di motivi nuovi essi, a pena di inammissibilità, devono essere necessariamente inerenti ai temi specificati dai capi e punti della decisione investiti dalla impugnazione principale già ritualmente presentata, essendo imprescindibile la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 febbraio – 14 giugno 2019, n. 26417 Presidente Sabeone – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, datato 6.12.2018, il Tribunale del Riesame di Cosenza, decidendo a seguito di annullamento con rinvio da parte della Prima Sezione Penale della Corte di cassazione sentenza n. 51404 del 21/9/2018 ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di M.F. ed ha confermato il decreto di sequestro preventivo anche per equivalente emesso dal GIP presso il Tribunale di Cosenza in data 14.3.2018 dell’autovettura Jeep BU AXHIB 09 targata omissis di proprietà dell’istante o di altri beni equivalenti di cui egli abbia avuto la disponibilità fino alla concorrenza dell’importo corrispondente al valore del mezzo . All’indagato è contestato il reato di omessa comunicazione di ogni variazione patrimoniale non inferiore ad Euro 10.392,14 - previsto dalla D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 76, comma 7, e art. 80, - in relazione all’acquisto della suddetta autovettura, avvenuto in data omissis , nonostante egli fosse gravato dagli obblighi di comunicazione stabiliti per la durata di dieci anni dalle predette norme di legge, in quanto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con decreto del Tribunale di Cosenza, sezione misure di prevenzione, del 13.7.2005, irrevocabile il 29.9.2009. 2. Avverso il provvedimento citato propone ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, avv. Gullo, deducendo un unico motivo di ricorso con cui si lamenta violazione di legge in relazione alla mancata osservanza da parte del giudice del rinvio delle indicazioni della Corte di cassazione dettate con la sentenza rescindente. Nonostante i giudici di legittimità, infatti, avessero statuito che fosse necessario verificare la sussistenza dell’elemento psicologico del reato ascritto al ricorrente, il Tribunale di Cosenza si è sottratto a tale accertamento, svolto solo apparentemente senza fornire logica ed adeguata motivazione. Il ricorrente, detenuto in ragione dell’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti, eseguita quattro giorni dopo l’acquisto dell’auto che sarebbe oggetto dell’omessa comunicazione, era nell’impossibilità materiale di adempiere al comando normativo e a condotta non era esigibile da parte sua, essendo intervenuta una causa di forza maggiore che ha impedito l’adempimento dell’obbligo. Inoltre, coerentemente a quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 364 del 1988 che ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 5 c.p., nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile, nonché dalla giurisprudenza di legittimità, che richiede anche per il reato omissivo proprio una indagine effettiva sulla sussistenza del dolo, nel caso di specie, il dolo del reato non può identificarsi nella coscienza e volontà da parte dell’indagato del proprio status soggettivo da cui deriva l’obbligo, ma deve comprendere anche la coscienza e volontà di sottrarsi a quell’obbligo, sicché a coscienza dell’illiceità non può che coincidere con la conoscenza del precetto penale. Si deduce, in proposito, la circostanza che l’indagato è analfabeta e, d’altra parte, l’illogicità della motivazione impugnata nella parte in cui ritiene tale dato irrilevante in considerazione del ruolo criminale di spicco del ricorrente e dell’essere stato sottoposto egli da molti anni a procedimenti penali e di prevenzione. In realtà, i reati commessi dal ricorrente non hanno alcun collegamento con le sue capacità di comprensione di una normativa così specifica quale è quella relativa al reato in contestazione. 2.1. Con motivi aggiunti depositati in data 7.2.2019 il difensore del ricorrente deduce nullità dell’udienza di riesame del 6.12.2018, data in cui è stato deliberato il provvedimento impugnato, poiché l’indagato, pur avendo presentato istanza di partecipare all’udienza in videoconferenza già in data 22.11.2018 non era stato tradotto per detta udienza e, anzi, il Tribunale del Riesame aveva dato atto che egli non avesse chiesto di presenziare. Soggiunge di aver avuto notizia di tale circostanza soltanto successivamente alla proposizione del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché aspecifico e affetto, pertanto, da genericità estrinseca, non confrontandosi il ricorrente che apoditticamente con le ragioni del Tribunale del Riesame. 2. I giudici del rinvio hanno ampiamente risposto alle indicazioni stabilite dalla decisione della Prima Sezione della Corte di cassazione n. 51404 del 21/9/2018, motivando espressamente e specificamente sulla irrilevanza dello stato di detenzione ai fini della configurabilità del reato, non essendo ritrovabile nella condizione di detenzione una causa impeditiva assoluta di qualsiasi forma di comunicazione esterna, non inibita neppure, per certi aspetti, ai detenuti di mafia in regime speciale di detenzione ex art. 41 bis ord. pen Inoltre - si dice da parte dei giudici cosentini - il ricorrente avrebbe potuto adempiere anche dopo il decorso del termine di 30 giorni previsto dalla disciplina del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 76 e 80, cosa che, invece, non è avvenuta. Al riguardo, ritiene il Collegio che, nel nostro sistema penitenziario, lo stato di detenzione non esclude certamente i soggetti ristretti dall’esercizio dei loro diritti e doveri elementari o necessari, magari sanciti anche da norme di legge che prevedono obblighi al cui inadempimento segua addirittura la configurabilità di un reato. Sarebbe schizofrenico quell’ordinamento giuridico che privasse, da un lato, una categoria di soggetti della possibilità di effettuare comunicazioni e, dall’altro, prevedesse a loro carico sanzioni addirittura penali per l’omissione delle medesime comunicazioni. Ciò non è nel nostro sistema giuridico, che, come correttamente posto in luce dal Tribunale di Cosenza, prevede la possibilità per il detenuto di adempiere ai propri obblighi e di esercitare i propri diritti basilari, nelle forme ovviamente consone allo stato di detenzione. In relazione, poi, alla dedotta violazione dell’art. 5 c.p., come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale, il provvedimento impugnato spiega bene i confini di applicabilità della regola dell’ignoranza inevitabile, certamente non applicabile nel caso delle norme contestate all’indagato, che sono perfettamente comprensibili, soprattutto da un soggetto che, come ha logicamente argomentato il Tribunale di Cosenza, non è certo nuovo ad esperienze di impatto con la legislazione penale, più volte violata così come più volte egli è stato sottoposto a procedimenti di prevenzione. Del resto, più volte la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la dimenticanza sull’esistenza di un obbligo di legge si traduce in un’ignoranza del precetto penale rilevante nei limiti di cui all’art. 5 c.p., a condizione che essa sia inevitabile secondo i parametri individuati dalla sentenza della Corte Cost., n. 364 del 1988 cfr. Sez. 6, n. 58227 del 23/10/2018, Bongiovanni, Rv. 274814 , e cioè solo qualora eventualmente sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma da cui deriva l’obbligo Sez. 7, ord. n. 44293 del 13/7/2017, Hu, Rv. 271487 . Le Sezioni Unite, già pochi anni dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 364 del 1988, hanno inteso dettare i criteri interpretativi che delimitano il concetto di inevitabilità incolpevole dell’ignoranza della legge penale, idonea a scusare l’autore dell’illecito Sez. U, n. 8154 del 10/6/1994, Calzetta, Rv. 197885 , segnalando la necessità di operare tale verifica utilizzando anche parametri specificamente ricostruiti rispetto a costui ed alla sua situazione soggettiva di conoscenza della legge. Ben ha fatto, pertanto, il Tribunale del Riesame a chiarire che il ricorrente non può considerarsi certo un sprovveduto incapace di comprendere la portata di un precetto penale, benché analfabeta, in ragione della sua condizione di soggetto da tempo sottoposto a processi penali. Anche quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico richiesto dalla fattispecie di reato in esame il Riesame ha fornito convincente motivazione citando correttamente la giurisprudenza di legittimità che, in modo pressoché pacifico, ritiene il coefficiente soggettivo del delitto in questione - e in generale delle fattispecie speciali in materia di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali - integrato dal dolo generico, che si esaurisce nella coscienza e volontà di omettere le comunicazioni previste dalla norma e non si estende sino alla volontà specifica di occultare alla polizia economico-finanziaria le informazioni dovute Sez. 5, n. 38098 del 29/5/2015, Rv. 264998 Sez. 6, n. 33590 del 15/6/2012, Picone, Rv. 253199 . Si è anche affermato che l’elemento soggettivo del delitto di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali da parte dei condannati per reati di criminalità organizzata L. n. 646 del 1982, artt. 30 e 31 è integrato dal dolo generico, in quanto implica la consapevolezza dell’imputato di essere stato condannato per reati di mafia, e va di volta in volta desunto da indici sintomatici, legati alle vicende di acquisizione dei beni in rapporto anche al valore degli stessi Sez. 6, n. 36659 del 17/6/2015, Anzalone, Rv. 264666 cfr. anche Sez. 5, n. 8768 del 23/1/2018, Delli Carri, Rv. 272311, che chiarisce la decorrenza di tale obbligo dalla definitività del provvedimento che applica la misura di prevenzione nonché Sez. 5, n. 41423 del 5/7/2018, D’Agosta, Rv. 274492 . 3. Anche i motivi aggiunti sono inammissibili. Essi non hanno alcuna attinenza con quelli dedotti nel ricorso principale e, d’altra parte, l’eccezione non ha comunque pregio ed anzi è manifestamente infondata. La giurisprudenza di legittimità, infatti, anzitutto ha chiarito che i motivi nuovi di impugnazione devono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall’impugnazione principale già presentata, essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari Sez. 6, n. 6075 del 13/1/2015, Comitini, Rv. 262343 Sez. 6, n. 45075 del 2/10/2014, Sabbatini, Rv. 260666 Sez. 1, n. 5182 del 15/1/2013, Vatavu Ionut, Rv. 254485 Sez. 3, n. 14776 del 22/1/2004, Sbragi, Rv. 228525 . Inoltre, non si applica al riesame di una misura cautelare reale la disciplina dettata dall’art. 309 c.p.p., per l’impugnazione delle misure cautelari personali dinanzi al Tribunale della Libertà, quanto alle disposizioni relative ai commi 6 e 8 bis, del citato articolo del codice di rito - e, quindi, alla previsione della possibilità per l’indagato detenuto di chiedere, al momento della presentazione dell’istanza di riesame, di presenziare personalmente all’udienza ed al relativo diritto di comparizione personale che consegue da detta istanza se completa - non richiamate dall’espressa indicazione dell’art. 324 c.p.p., comma 7, dedicato alle modalità e forme delle impugnazioni avverso i provvedimenti cautelari reali. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000 a favore della Cassa delle ammende.