La recidiva esclude l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto

In relazione all’applicazione dell’art. 131-bis c.p., la consumazione di un nuovo reato può essere giudicata espressione di comportamento abitualmente delittuoso e preclude l’applicabilità della causa di esclusione della punibilità, così come la contestazione ed applicazione della recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26048/19, depositata il 12 giugno. Il caso. La Corte d’Appello di Firenze confermava la condanna di primo grado per il delitto di tentato furto in appartamento. Il difensore ha proposto ricorso in Cassazione dolendosi per la violazione dell’art. 131- bis c.p., la cui richiesta non aveva avuto risposta dalla Corte territoriale. Abitualità. Il ricorso risulta inammissibile in quanto all’imputato è stata applicata la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquiennale, condizione che, alla luce della consolida giurisprudenza di legittimità, osta all’applicazione dell’invocata causa di non punibilità. Ed infatti, in relazione alla nozione di abitualità del comportamento dell’imputato ai fini dell’applicazione dell’art. 131- bis , le Sezioni Unite sentenza n. 13681/16 hanno fatto riferimento ad un concetto di serialità nelle condotte delittuose osservando che il comportamento può ritenersi abituale quando il soggetto, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno due illeciti della stessa indole, oltre a quello preso in esame . Ciò posto, la pluralità dei reati anche nel caso in cui gli illeciti si trovino al cospetto del Giudice e non sia ancora stata pronunciata la condanna. Sulla base di tali premesse, discende il principio secondo cui ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità rileva, in senso negativo, la perpetrazione di un terzo illecito, oltre a quelli definitivamente giudicati, anche se oggetto del processo in cui è stata posta la questione del 131- bis c.p., in tal caso la consumazione di un nuovo reato, può essere giudicata espressione di comportamento abitualmente delittuoso e preclude l’applicabilità della causa di esclusione della punibilità . Le precedenti plurime condanne in capo al ricorrente sono dunque state correttamente valutate dal giudice di merito come ostative all’applicazione della norma in oggetto. Per questi motivi, il ricorso viene dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 1 marzo – 12 giugno 2019, n. 26048 Presidente Palla – Relatore De Gregorio Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la pronunzia di condanna in primo grado nei confronti dell’imputato per il delitto di tentato furto in appartamento. Fatto di omissis . 1.Avverso il provvedimento ha proposto ricorso il difensore, che col primo motivo ha lamentato la violazione dell’art. 131 bis c.p., poiché la Corte non aveva dato risposta alla sua richiesta formulata in udienza. 1.1 Nel secondo motivo è stata dedotta la violazione della norma incriminante di cui all’art. 624 bis c.p., in quanto la sentenza non avrebbe dato dimostrazione della sottrazione di alcun bene da parte del giudicabile. All’odierna udienza il PG, dr omissis , ha concluso come in epigrafe. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Il primo motivo circa la mancata applicazione della causa di non punibilità e art. 131 bis c.p., è manifestamente infondato, in quanto all’imputato è stata contestata ed applicata la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale e, quindi, alla luce della giurisprudenza di questa Corte nella sua composizione più autorevole il comportamento in esame è ostativo all’applicazione della causa di non punibilità, essendo di carattere abituale. 1.1 Va, infatti, osservato che secondo la giurisprudenza di questa Corte l’ambito applicativo della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. è definito non solo dalla gravità del reato, riflessa nella quantificazione del massimo edittale di pena, stabilito in cinque anni, ma anche dal profilo di natura soggettiva, consistente nella non abitualità del comportamento dell’imputato. Entrambi i criteri sono da considerare ai fini dell’applicabilità dell’istituto, nel senso che oltre i limiti in essi disegnati e previsti è preclusa al Giudice ogni valutazione sulle modalità della condotta e sulla tenuità del danno, al fine di escludere la punibilità del fatto. 1.2 In particolare quanto alla nozione di abitualità del comportamento, le Sezioni Unite di questa Corte hanno fatto riferimento ad un concetto di serialità nelle condotte delittuose - emergente dallo studio dei lavori preparatori - osservando che il comportamento può ritenersi abituale quando il soggetto, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno due illeciti della stessa indole, oltre quello preso in esame. Sotto un diverso profilo è stato, inoltre, chiarito che la pluralità dei reati può essere ravvisata non solo in presenza di condanne irrevocabili, ma anche nel caso in cui gli illeciti si trovino al cospetto del Giudice, che è in grado di valutarne l’esistenza. Sez. U, n. 13681 del 25 febbraio 2016, Tushaj, Rv. 266591 . 1.3 Dalla citata pronunzia può, dunque, ricavarsi il principio che ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità rileva, in senso negativo,la perpetrazione di un terzo illecito, oltre quelli già definitivamente giudicati, anche se oggetto del processo in cui è stata posta la questione dell’art. 131 bis c.p., in tal caso la consumazione di un nuovo reato, può essere giudicata espressione di comportamento abitualmente delittuoso e precludere l’applicabilità della causa di esclusione della punibilità. 2. Nel caso di specie risulta che l’imputato era già gravato da una pluralità di precedenti condanne, delle quali perlomeno una per un reato della stessa indole rispetto a quello per cui è ricorso, essendo, quindi, integrata la condizione di pluralità di delitti - nel senso innanzi chiarito - che la norma de quo prevede per poter escludere la non punibilità del fatto per particolare tenuità. La doglianza espressa nel secondo motivo non ha relazione col testo del provvedimento impugnato, nel quale si è dato atto che l’imputato, entrato nell’abitazione, aveva aperto il cassetto di un mobile della zona notte, ove - è stato plausibilmente osservato - di regola si tengono denari e/o oggetti di valore. Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.