Provoca il dissesto finanziario della sua società e poi chiede il concordato preventivo: non è esonerato dai debiti erariali

La domanda di concordato preventivo presentata dall’imputato che ha provocato il dissesto della sua società, anche qualora preceda la scadenza del termine per il pagamento del debito erariale, non ha efficacia sostanzialmente scriminante.

Questa la decisione della Corte di Cassazione n. 25315/19, depositata il 7 giugno. La vicenda. La Corte d’Appello di Ancona riformava parzialmente la decisione del Tribunale di Pesaro, che condannava l’imputato per avere, nelle vesti di legale rappresentante di una società, omesso di versare l’IVA, dovuta sulla base delle dichiarazioni presentate, entro i termini previsti dalla legge. Contro tale pronuncia, l’imputato propone ricorso per cassazione, sostenendo, tra l’altro, che la Corte d’Appello abbia omesso di considerare la situazione di dissesto della società ai fini della configurazione del reato, nonché l’effetto preclusivo del pagamento dovuto al deposito della domanda di concordato preventivo, avvenuto prima del termine di scadenza previsto per il pagamento del debito IVA per l’annualità contestata. Omesso versamento dell’IVA e causa di forza maggiore. La Corte di Cassazione non accoglie il ricorso. Quanto al dissesto finanziario della società come dato da cui desumere, secondo il ricorrente, l’esimente della forza maggiore per il reato di cui all’art. 10- ter , d.lgs. n. 74/2000, la Corte afferma che, ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo del reato, non bastano documenti che dimostrino la crisi economica dell’azienda, in assenza di un piano di azioni efficaci dirette al suo risanamento. Ne consegue che l’inadempimento del debito erariale deve essere considerato quale risultato di una scelta imprenditoriale ascrivibile all’imputato, il quale ha nella sostanza ammesso di aver utilizzato le somme che avrebbe dovuto accantonare per l’erario per pagare i dipendenti. Dunque, ai fini della configurabilità dell’esimente della forza maggiore, non è sufficiente dimostrare la semplice difficoltà di porre in atto il comportamento omesso, ma ne occorre l’assoluta impossibilità, non potendo in ogni caso giustificarsi l’omesso versamento dell’IVA con il pagamento degli stipendi ai dipendenti, considerato che l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente art. 2777 c.c. rispetto ai crediti erariali art. 2778 c.c. , vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della par condicio creditorum , al fine di escludere l’elemento soggettivo del reato . La domanda di concordato preventivo che precede i termini per il pagamento del debito IVA. Per quanto riguarda il preteso effetto preclusivo della richiesta di concordato preventivo effettuata prima della scadenza dei termini previsti per il pagamento del debito IVA, gli Ermellini affermano che non ha importanza la semplice presentazione della domanda di ammissione al suddetto concordato, poiché ciò non impedisce il pagamento dei debiti di natura tributaria che scadono dopo la sua presentazione. Sul tema, la Corte afferma il principio in base al quale non può attribuirsi efficacia sostanzialmente scriminante ad una domanda presentata dallo stesso imputato che aveva provocato dissesto. Diversamente opinando, si dovrebbe concludere che il soggetto responsabile, con la mera presentazione della domanda di concordato prima della scadenza del termine per il versamento Iva rilevante ai fini penali, possa evitare di incorrere in responsabilità penale. Anche per questi motivi, la Suprema Corte respinge il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 febbraio – 7 giugno 2019, n. 25315 Presidente Sarno – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 25 settembre 2017, la Corte d’appello di Ancona ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Pesaro del 15 aprile 2016, con la quale l’imputato era stato condannato per i reati di cui all’art. 81 c.p., comma 2, e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, per avere, in qualità di legale rappresentante della società, omesso di versare l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alle dichiarazioni annuali presentate per gli anni 2010 e 2011, entro i termini di legge. La Corte d’appello ha ritenuto l’imputato non punibile in relazione all’annualità 2010 e ha ridotto la pena per la residua annualità a mesi sei di reclusione. 2. - Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento. 2.1. - Con un primo motivo di doglianza, si deduce la violazione degli artt. 516 e 520 c.p.p. Si evidenzia che, all’udienza davanti al Tribunale del 22 gennaio 2016, era emerso un diverso ammontare dell’Iva relativa all’annualità 2011, per Euro 1.616.030 anziché Euro 321.383, e il pubblico ministero aveva chiesto la correzione dell’errore materiale mediante indicazione dell’importo esatto. La difesa, sostenendo che si trattasse di una modifica del capo d’imputazione, aveva chiesto la notificazione del verbale di udienza all’imputato assente, mentre il Tribunale aveva continuato con l’esame del teste B. , che aveva proceduto all’accertamento, e che aveva riferito anche in relazione agli stessi fatti di cui all’imputazione mutata. La Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che si fosse trattato di una correzione di errore materiale e non di una vera e propria modifica dell’imputazione. 2.2. - In secondo luogo, si deduce l’inosservanza della disposizione incriminatrice e degli artt. 43 e 45 c.p., in relazione all’elemento soggettivo del reato. Si sostiene che, dalla documentazione prodotta, risulterebbe che la società dell’imputato, negli anni 2011-2012 aveva un patrimonio immobiliare di circa 40 milioni di Euro e aveva ingenti somme da riscuotere, di cui circa Euro 400.000,00 nei confronti del ministero dei Beni Culturali, per un’attività di restauro conservativo. Il 14 dicembre 2012 era stata depositata proposta di concordato preventivo, non essendovi disponibilità liquide in cassa. Secondo la prospettazione difensiva, ai sensi della L. Fall., art. 168, da quella data l’amministratore non avrebbe più potuto pagare i debiti anteriori, mentre il termine per il pagamento del debito Iva per il 2011 scadeva il 27 dicembre 2012. Si trattava, peraltro, di un debito di grado inferiore rispetto a quelli dei dipendenti, dei professionisti e degli artigiani, il cui pagamento avrebbe leso i diritti di tali categorie ed esposto l’amministratore a responsabilità penale. E non si sarebbe considerato che un testimone aveva riferito che il momento nel quale l’amministratore era di fatto impossibilitato ad eseguire pagamenti creditori doveva essere fatto retroagire al febbraio 2012, allorché il consiglio di amministrazione, in considerazione della grave crisi finanziaria in atto, aveva deliberato di incaricare alcuni professionisti per cercare di mettere a punto un piano piano poi non andato a buon fine. Questo complesso di circostanze farebbe emergere una improvvisa e imprevedibile difficoltà di ordine economico, che farebbe venire meno la responsabilità penale. 2.3. - Con un terzo motivo di doglianza, si deduce la violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 53 e 58, per la mancata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, motivata sulla base della prova del reato, dell’entità del debito, delle precarie condizioni economiche dell’imputato. Per la difesa si tratterebbe di elementi inidonei a giustificare il diniego di conversione. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è infondato. 3.1. - Il primo motivo di doglianza -con cui si deduce la violazione degli artt. 516 e 520 c.p.p., sul rilievo che il Tribunale avrebbe proseguito l’esame di un teste, pur dopo la modifica del capo di imputazione, prima di procedere alla notificazione del verbale all’imputato assente - è infondato. Dalla sentenza impugnata emerge l’erroneità dell’affermazione difensiva secondo cui la Corte d’appello avrebbe ritenuto che si fosse trattato di una correzione di errore materiale e non di una vera e propria modifica dell’imputazione. E deve ritenersi corretta la considerazione svolta sul punto dalla stessa Corte, secondo cui la mancata sospensione del dibattimento e, in particolare, dell’audizione del teste B. , che aveva proceduto all’accertamento, non ha provocato alcun vulnus sostanziale all’esercizio del diritto di difesa, che è stato regolarmente garantito dalla notificazione del verbale dell’udienza all’imputato assente. La stessa difesa non ha compiutamente prospettato quale sia stato il contenuto delle dichiarazioni rese dal teste B. dopo la richiesta di modifica dell’imputazione da parte del pubblico ministero e, in ogni caso, dalla lettura del verbale della deposizione prodotto in atti, non emerge che tali dichiarazioni abbiano avuto rilevanza ai fini della decisione sulla responsabilità penale, se non nella parte in cui si sono riferite alla regolarizzazione dell’imposta per il 2010, per la quale è intervenuto il proscioglimento. 3.2. - Infondato è anche il secondo motivo di censura, riferito all’inosservanza della disposizione incriminatrice e degli artt. 43 e 45 c.p., quanto alla mancata considerazione del dissesto della società ai fini dell’elemento soggettivo del reato, nonché all’effetto preclusivo del pagamento derivante dal deposito della domanda di concordato preventivo in data 14 dicembre 2012, ovvero prima della scadenza del termine per il pagamento del debito Iva per il 2011 27 dicembre 2012 . 3.2.1. - Deve rilevarsi, sotto il primo profilo, che la Corte d’appello ha correttamente escluso cause di forza maggiore o situazioni che potessero far ritenere insussistente il dolo del reato. Come ben evidenziato dai giudici di merito, la difesa non ha dedotto elementi tali da dimostrare l’assoluta impossibilità, e non la semplice difficoltà, di porre in essere il comportamento doveroso omesso. Non sono sufficienti allo scopo i documenti che dimostrano la crisi economica dell’impresa, in mancanza di azioni efficaci dirette al risanamento dell’impresa stessa, perché tale non può essere considerato l’incarico, attribuito ad alcuni professionisti, di cercare di mettere a punto un piano, non essendo il piano in questione andato a buon fine. Ne deriva che l’inadempimento nei termini del debito erariale deve essere considerato il frutto di una scelta strategica imprenditoriale pienamente ascrivibile all’imputato, il quale ha sostanzialmente ammesso di avere preferito utilizzare ad altri fini - come il pagamento dei dipendenti - le somme che avrebbe dovuto accantonare per l’erario. Così argomentando, la Corte d’appello ha correttamente applicato e interpretato i principi di diritto più volte ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, relativamente alla configurazione dell’esimente della forza maggiore rispetto al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, in forza dei quali risulta indispensabile che il contribuente dimostri che gli sia stato impossibile reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie all’adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo esperito tutte le possibili azioni, comprese quelle svantaggiose per il proprio patrimonio personale, tese a recuperare le somme necessarie a estinguere il debito erariale, senza esservi riuscito per ragioni a lui non imputabili e, comunque, indipendenti dalla sua volontà ex plurimis, Sez. 3, 9 settembre 2015, n. 43599 Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905 Sez. 3, 8 gennaio 2014, n. 15416 Sez. 3, 5 dicembre 2013, n. 5467 . E va ribadito, in generale, che la forza maggiore presume il verificarsi di un evento imprevisto e imprevedibile, impossibile da collegare a un’azione o - come nel caso in oggetto - a un’omissione volontaria dell’agente sicché, per la sua configurazione, è necessario che si dimostri l’assoluta impossibilità e non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso ex multis, Sez. 3, 9 settembre 2015, n. 43599 . In ogni caso, l’omesso versamento dell’Iva cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, non può essere giustificato, ai sensi dell’art. 51 c.p., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente art. 2777 c.c. rispetto ai crediti erariali art. 2778 c.c. , vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della par condicio creditorum, al fine di escludere l’elemento soggettivo del reato Sez. 3, n. 52971 del 06/07/2018, Rv. 274319 - 01 . 3.2.2. - Quanto al preteso effetto preclusivo della domanda di concordato, precedente alla scadenza del termine per il pagamento del debito Iva per il 2011, deve ricordarsi che non assume rilevanza, nè sul piano dell’elemento soggettivo, nè su quello della esigibilità della condotta, la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, la quale non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengano a scadere successivamente alla sua presentazione Sez. 3, n. 49795 del 23/05/2018, Rv. 274199 - 01 Sez. 3, n. 12912 del 04/02/2016, Rv. 266708 - 01 Sez. 3, n. 44283 del 14/05/2013, Rv. 257484 - 01 . Del resto la domanda di concordato preventivo è conseguenza della crisi di impresa che - come visto - l’imputato non ha adeguatamente fronteggiato. E non può attribuirsi efficacia sostanzialmente scriminante ad una domanda presentata callo stesso imputato che aveva provocato dissesto. Diversamente opinando, si dovrebbe concludere che il soggetto responsabile, con la mera presentazione della domanda di concordato prima della scadenza del termine per il versamento Iva rilevante a fini penali, possa evitare di incorrere in responsabilità penale. 3.3. - Il terzo motivo di doglianza, con cui si deduce la violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 53 e 58, per la mancata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, è anch’esso infondato. La sentenza impugnata esclude, infatti, la richiesta conversione richiamando, tra gli altri, un elemento che deve essere considerato da solo decisivo, rappresentato dalla notevole entità del debito, di molto superiore rispetto alla soglia di punibilità. 4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.