Controllato per reati in materia di sostanze stupefacenti, si dà alla fuga in auto con una guida pericolosa

In tema di resistenza a pubblico ufficiale integra il reato la condotta di chi, alla guida di un’autovettura, pratichi manovre rischiose mettendo in pericolo la vita e l’incolumità degli operanti e degli altri utenti della strada.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24633/2019, depositata il 3 giugno. Il caso. Tre nigeriani venivano condannati per reati in materia di stupefacenti. Tutti ricorrono in Cassazione per vedere annullata la sentenza sotto plurimi profili la mancata qualificazione del fatto in fattispecie attenuata, la partecipazione di uno degli imputati a titolo di concorso, la configurazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale. La fattispecie attenuata. La fattispecie attenuata prevista dal testo unico stupefacenti può essere riconosciuta solo nell’ipotesi di minima offensività penale della condotta vale sia il dato qualitativo che quello quantitativo nonché altri parametri espressamente richiamati dalla disposizione mezzi, modalità, circostanze dell’azione . La minima offensività è giudicata all’esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entità invero, è possibile che in concreto uno di essi assuma valore assorbente. in concreto non configurabile. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha escluso la configurabilità del fatto lieve”, valutando globalmente gli indici del fatto e rimarcando che assumevano rilievo ostativo sia il dato ponderale che il principio attivo della sostanza inoltre, le modalità della condotta denotavano lo svolgimento in maniera stabile, organizzata e professionale dell’attività di spaccio. Concorso di persone. Per configurare il concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore. La condotta di partecipazione, dunque, può manifestarsi in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti è inoltre necessario che il partecipe, per effetto di tale condotta, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato di talché le sue condotte diventano anche attribuibili agli altri. La differente ipotesi di connivenza non punibile. La connivenza postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare un contributo causale alla realizzazione del fatto mentre il concorso di persone richiede un contributo positivo consapevole – di tipo morale o materiale – alla condotta criminosa altrui. È connivenza, dunque, il comportamento negativo del convivente che si limiti ad assistere passivamente alla perpetrazione del reato e non ne impedisca o ostacoli l’esecuzione, perché non sussiste un obbligo giuridico di impedire l’evento. Connivenza e concorso di persone in tema di stupefacenti. Il mero comportamento omissivo di mancata opposizione alla detenzione in casa di sostanze stupefacenti da parte di altri non costituisce segno univoco di partecipazione morale. Per configurare il concorso è sufficiente la partecipazione all’altrui attività criminosa con la volontà di adesione, che può manifestarsi in forme agevolative della detenzione, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla condotta altrui già in atto, assicurando all’agente una certa sicurezza oppure garantendo una collaborazione in caso di necessità, così da consolidare la consapevolezza nell’altro partecipe di poter fare affidamento su una collaborazione. Contributo concorsuale di tipo materiale. Nel caso concreto la condotta materiale attribuita al coimputato si connotava per contributo concorsuale di tipo materiale l’uomo era infatti sorpreso in casa dei coniugi coimputati a tagliare e confezionare la sostanza stupefacente. Resistenza a pubblico ufficiale. Integra l’elemento materiale del reato la condotta del soggetto che costituisca comportamento idoneo ad opporsi, in maniera concreta ed efficace, all’atto che il pubblico ufficiale stia legittimamente compiendo. se si tratta di fuga. La fuga, di per sé, non integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, ove non trascenda i limiti del mero ed inerte comportamento passivo non collaborativo. Diversa è l’ipotesi in cui si estrinsechi in atti che denotino in modo concreto ed efficace il proposito di interdire o ostacolare al pubblico ufficiale il compimento del proprio ufficio o servizio. Infatti, l’atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia integra il requisito della violenza e non una mera resistenza passiva, quando non costituisce una spontanea ed istintiva reazione al compimento dell’atto del pubblico ufficiale bensì un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzare l’azione e sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga o altra condizione di libertà dalla costrizione del pubblico ufficiale conseguente al compimento dell’atto dell’ufficio. Una pericolosa fuga in macchina. Altresì integra il reato la condotta di chi si dia alla fuga alla guida di un’autovettura, non limitandosi a cercare di sottrarsi all’inseguimento, ma ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obiettivamente pericolosa, l’incolumità personale degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada. In ipotesi del genere, infatti, la fuga si estrinseca in atti che denotano il proposito di interdire od ostacolare al pubblico ufficiale il compimento del proprio ufficio o servizio, ma mettono volontariamente anche in pericolo la vita e l’incolumità personale degli stessi operanti e degli altri utenti della strada. Nel caso in esame, la condotta tenuta da uno dei coimputati, lungi dall’estrinsecarsi in un mero comportamento inerte non collaborativo, si accompagnava ad atti di contrasto all’atto che i pubblici ufficiali stavano legittimamente compiendo e che mettevano in pericolo l’incolumità degli stessi. Alla vista degli operanti, infatti, l’uomo teneva una condotta di guida pericolosa con manovre rischiose e, nel tentativo di opporsi al controllo, trascinava i militari che si erano avvicinati alla portiera, così mettendo in pericolo la vita e l’incolumità di tali agenti infine, sceso dall’auto, poneva in essere una resistenza fisica dimenandosi e spingendo gli operanti, realizzando in tal modo una condotta diretta a neutralizzarne l’azione ed a sottrarsi alla presa degli operanti. Il travisamento della prova. Un ulteriore profilo che si segnala è quello inerente il supposto travisamento della prova, vizio che si configura quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Inoltre, deve essere tale da disarticolare l’intero ragionamento probatorio rendendo la motivazione illogica per la essenziale forza dimostrativa del dato distorto o pretermesso. A tal fine è necessario che sia specificamente indicato l’atto del processo dal quale risulterebbe il vizio motivazionale, che sia individuato l’elemento fattuale o il dato probatorio emergente da tale atto e incompatibile con la ricostruzione propria della decisione impugnata inoltre, deve essere fornita la prova della corrispondenza al vero di tale elemento o dato e che vengano indicate le ragioni per le quali tale dato, non tenuto presente dal giudice, risulti decisivo per la tenuta logica della motivazione già adottata deve trattarsi, in altri termini, di un elemento o dato tale da mettere in crisi l’intero impianto argomentativo sottoposto ad esame. Inoltre, l’accesso agli atti del processo deve essere veicolato tramite l’atto di impugnazione che deve indicare specificamente quali siano gli atti ritenuti rilevanti al fine di consentire il controllo della motivazione del provvedimento impugnato, indicazione che potrà assumere forme diverse ma sufficienti ad evitare di costringere la corte di cassazione ad una lettura totale degli atti. Nel caso in esame, la ricorrente non ha adempiuto all’onere di allegazione a suo carico, limitandosi ad indicare quale atto oggetto di travisamento probatorio la produzione documentale effettuata in sede di appello e gli atti del procedimento di primo grado.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 febbraio – 3 giugno 2019, n. 24633 Presidente Lapalorcia – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19/04/2018, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza emessa in data 05/02/2017 dal Tribunale di Parma - con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, O.E. , A.P.D. e Ou.Fr. erano stati dichiarati responsabili del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 capo 1 ed il solo O.E. anche dei reati di cui ai capi b e c art. 81 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, art. 337 c.p. e condannati alle pene ritenute di giustizia - riconosceva a A.P.D. le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva e rideterminava la pena inflitta in anni tre, mesi sei e giorni venti di reclusione ed Euro 11.478,00 di multa e riduceva la pena inflitta ad O.E. ad anni quattro mesi sei di reclusione ed Euro 13.478,00 di multa, confermando nel resto. 2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo dei difensori di fiducia, chiedendone l’annullamento ed articolando i motivi di seguito enunciati. O.E. e Ou.Fr. articolano quattro motivi di ricorso. Con il primo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata qualificazione del reato ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, lamentando che sul punto la Corte territoriale non aveva considerato, quali elementi rilevanti, che i precedenti penali degli imputati erano risalenti nel tempo e non specifici e che il giro di consumatori della sostanza stupefacente era ristretto. Con il secondo motivo deducono vizio di motivazione e travisamento della prova in ordine alla sussistenza del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, lamentando che la Corte territoriale non si era pronunciata in ordine alle doglianze relative alla somma di denaro rinvenuta nella camera da letto dei coniugi O. -A. ed alle modalità di confezionamento della sostanza stupefacente risultava, inoltre, indimostrato che Ou.Fr. fosse concorrente nell’attività posta in essere dall’O. , in quanto era ospite dei predetti coniugi, estraneo ai fatti e da considerarsi, quindi, quale connivente non punibile. Con il terzo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata assoluzione di O.E. per il reato di resistenza a pubblico ufficiale contestato al capo c dell’imputazione, essendo consistita la condotta in una semplice fuga che si era risolta in mera resistenza passiva. Con il quarto motivo deducono violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio, lamentando che il Giudice di appello non aveva usato correttamente i parametri di cui all’art. 133 c.p., in quanto avrebbe dovuto configurare la fattispecie contestata in quella di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, nonché determinato in maniera eccessiva pena, che avrebbe dovuto quantificare nella misura pari al minimo edittale entrambi i ricorrenti, infine, erano meritevoli del beneficio della sospensione condizionale della pena, essendo Ou.Fr. , addirittura incensurato. A.P.D. articola due motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità, lamentando che le sue dichiarazioni erano state ritenute credibili a fondare una pronuncia di condanna nei confronti dei due coimputati ma, allo stesso tempo, non erano state considerate nella parte in cui aveva fornito della propria posizione spiegazioni tali da giustificare una pronuncia di assoluzione per non aver commesso il fatto. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione per travisamento della prova in relazione alla affermazione di responsabilità, in quanto la circostanza che l’attività illecita organizzata a livello familiare costituisse l’unica fonte di sostentamento in assenza di un’attività lavorativa lecita e stabile, si poneva in contraddizione con la documentazione prodotta in sede di appello -copia del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato della A. come colf - e con gli atti del procedimento di primo grado che comprovavano, invece, che la ricorrente svolgeva attività lavorativa. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto da O.E. e Ou.Fr. va dichiarato inammissibile perché basato su motivi generici e manifestamente infondati. 1.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, che si trattano congiuntamente perché oggettivamente connessi, sono manifestamente infondati. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, può essere riconosciuta solo nell’ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia degli altri parametri espressamente richiamati dalla disposizione mezzi, modalità, circostanze dell’azione , all’esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entità, essendo possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioè che la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 e Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668 Sez.U, n. 51063 del 27/09/2018, Rv.274076 . La Corte di merito ha escluso la configurabilità del fatto lieve , valutando globalmente gli indici del fatto e rimarcando che assumevano rilievo ostativo sia il dato ponderale ed il principio attivo della sostanza gr 221,936 di cocaina con principio attivo totale di 89,765 dal quale era possibile ricavare ben 598,4 dosi medie , che le modalità della condotta, le quali denotavano lo svolgimento in maniera stabile, organizzata e professionale dell’attività di spaccio. Le argomentazioni sono congrue e non manifestamente illogiche e, pertanto, si sottraggono al sindacato di legittimità. I ricorrenti, peraltro, si limitano sostanzialmente a proporre una lettura alternativa del materiale probatorio posto a fondamento della affermazione di responsabilità penale, dilungandosi in considerazioni in punto di fatto, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non essendo demandato alla Corte di cassazione un riesame critico delle risultanze istruttorie. Del pari destituita di fondamento è la doglianza avente ad oggetto la mancata qualificazione della condotta riferibile a Ou.Fr. in termini di connivenza non punibile. Va premesso che, secondo principio consolidato, ai fini della configurazione del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, poiché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti Sez.6, n. 36818 del 22/05/2012, Rv.253347 Sez.4, n. 4383 del 10/12/2013, dep. 30/01/2014, Rv.258185 Sez.4, n. 24895 del 22/05/2007, Rv.236853 Sez.1, n. 5631 del 17/01/2008, Rv.238648 . Ed è stato affermato, con specifico riferimento al tema del concorso nel reato di detenzione di sostanze stupefacenti, che la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare un contributo causale alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un consapevole contributo positivo - morale o materiale - all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente Sez.3, n. 41055 del 22/09/2015, Rv.265167 Sez.3, n. 34985 del 16/07/2015, Rv.264454 Sez.6, n. 44633 del 31/10/2013, Rv.257810 Sez.4, n. 21441 del 10/04/2006, Rv.234569 . Deve, quindi, essere escluso il concorso del convivente ex art. 110 c.p. in ipotesi di semplice comportamento negativo di quest’ultimo che si limiti ad assistere passivamente alla perpetrazione del reato e non ne impedisca od ostacoli in vario modo la esecuzione, dato che non sussiste in tale caso un obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 c.p. giacché il solo comportamento omissivo di mancata opposizione alla detenzione in casa di droga da parte di altri non costituisce segno univoco di partecipazione morale. Di contro, per la configurazione del concorso, è sufficiente la partecipazione all’altrui attività criminosa con la volontà di adesione, che può manifestarsi in forme agevolative della detenzione, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla condotta altrui già in atto, assicurando all’agente una certa sicurezza ovvero garantendo, anche implicitamente, una collaborazione in caso di bisogno, in modo da consolidare la consapevolezza nell’altro di poter contare su una propria attiva collaborazione cfr., con riferimento al concorso del coniuge, Sez. 6, n. 9986 del 20/05/1998, Costantino, Rv. 211587 . Nel caso di specie, la Corte territoriale ha esposto congrue e logiche argomentazioni atte a corroborare l’affermazione di responsabilità di Ou.Fr. , in linea con i principi di diritto suesposti, rimarcando come la condotta materiale attribuibile al predetto, emergente dal verbale di arresto, si connotava quale contributo concorsuale di carattere materiale, essendo stato sorpreso in casa dei coniugi O. -A. nell’atto di tagliare e confezionare lo stupefacente. Tale inequivoco comportamento, unitamente alla chiamata in correità dell’A. , che ha attribuito al coniuge ed al congiunto loro ospite la diretta gestione dello spaccio della sostanza stupefacente, sono stati ritenuti, elementi probanti la piena consapevolezza in capo ad Ou.Fr. anche della detenzione della ulteriore sostanza stupefacente rinvenuta nella camera da letto e nella cantina dell’abitazione e della sua volontà di agevolare l’autore materiale fornendo un contributo causale alla condotta altrui già in atto, assicurando all’agente sicurezza e garantendo, come di fatto avvenuto, una collaborazione fattiva. 1.2. Il terzo motivo di ricorso, in più punti genericamente formulato, è manifestamente infondato. Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra l’elemento materiale della violenza la condotta del soggetto che si estrinseca come comportamento idoneo ad opporsi, in maniera concreta ed efficace, all’atto che il pubblico ufficiale stia legittimamente compiendo Sez. 2, n. 41419 de118/09/2009, Rv.245243 Sez.6, n. 31716 del 08/04/2003, Rv.226251 . La fuga in quanto tale, ove non trascenda i limiti del mero ed inerte comportamento passivo non collaborativo, di per sé, non integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale. Diversamente è a dirsi, nel caso in cui essa si estrinsechi in atti che denotino in modo concreto ed efficace il proposito d’interdire od ostacolare al pubblico ufficiale il compimento del proprio ufficio o servizio. È stato, infatti, affermato che l’atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza e non una condotta di mera resistenza passiva, quando non costituisce una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzarne l’azione ed a sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga, o, comunque, una condizione di libertà dalla costrizione del pubblico ufficiale conseguente al compimento dell’atto dell’ufficio cfr Sez.6, n. 8997 del 11/02/2010,Rv.246412 . Integra, inoltre, il reato di resistenza a pubblico ufficiale anche la condotta di chi si dia alla fuga, alla guida di una autovettura, non limitandosi a cercare di sottrarsi all’inseguimento, ma ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obiettivamente pericolosa, l’incolumità personale degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada Sez.2, n. 46618 del 20/11/2009, Rv.245420 Sez.2 n. 41419 del 18/09/2009, Rv.245243 Sez.4,n. 41936 del 14/07/2006, Rv.235535 . In tale caso la fuga si estrinseca in o si accompagna ad atti che non soltanto denotano in modo concreto il proposito d’interdire od ostacolare al pubblico ufficiale il compimento del proprio ufficio o servizio, ma mettono anche, e deliberatamente, in pericolo la vita e l’incolumità personale degli stessi operanti e/o dei passanti Sez F, n. 40 del 10/09/2013, dep.02/01/2014, Rv.257915 . Nella specie, la condotta tenuta dall’O. , non si è estrinsecata in un mero ed inerte comportamento passivo non collaborativo ma si è accompagnata ad atti di contrasto, in maniera concreta ed efficace, all’atto che i pubblici ufficiali stavano legittimamente compiendo e che hanno anche messo in pericolo l’incolumità personale degli stessi. La Corte territoriale ha, infatti, confermato la responsabilità per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, rilevando come O. , dandosi alla fuga alla vista degli agenti operanti, teneva una condotta di guida pericolosa con manovre rischiose ènel tentativo di opporsi al controllo, trascinava i militari che erano riusciti ad avvicinarsi alla portiera e ad aprirla, in tal modo mettendo a repentaglio la vita e l’incolumità degli agenti operanti inoltre, dopo essere sceso dall’auto poneva in essere una resistenza fisica dimenandosi e spingendo gli operanti, realizzando in tal modo una condotta diretta a neutralizzarne l’azione ed a sottrarsi alla presa degli operanti. La motivazione è logica e coerente, ed è in linea con i principi di diritto suesposti essa, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità. Il motivo di ricorso, peraltro, si pone anche ai limiti dell’ammissibilità, perché neppure si confronta criticamente con la motivazione della Corte territoriale, confronto doveroso per l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 581 c.p.p., attesa la sua funzione tipica che è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso Sez.6, n. 20377 del 11/03/2009, Rv.243838 Sez.6, n. 22445 del 08/05/2009, Rv.244181 . 1.3. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato. Quanto alla mancata qualificazione della condotta ai sensi dell’art. 73, comma 5, D.P.R. vanno richiamate le argomentazioni già esposte al punto 1.1. Deve, poi, ricordarsi che la graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p., sicché è inammissibile la censura che nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della congruità della pena Sez.3, n. 1182 del 17/10/2007, dep.11/01/2008, Rv.238851 Sez.5, n. 5582 del 30/09/2013, dep.04/02/2014, Rv.259142 . E va evidenziato che, ai fini del trattamento sanzionatorio, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello o quelli che ritiene prevalente e atto a consigliare la determinazione della pena e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, a fortiori , anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione Sez.2, n. 19907 del 19/02/2009, Rv.244880 Sez. 4, 4 luglio 2006, n. 32290 . Nella specie, la sentenza impugnata ha fatto corretto uso dei criteri di cui all’art. 133 c.p., richiamando per la rideterminazione della pena effettuata per l’imputato O. il disvalore della condotta ed il ruolo svolto nella vicenda criminosa la motivazione è congrua e priva di vizi logici e si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità. Quanto all’imputato Ou. , la Corte di appello ha dato atto che la pena non era suscettibile di riduzione, essendo la pena base quantificata nel minimo edittale e le circostanze attenuanti generiche concesse nella massima valenza. Del tutto destituita di fondamento è, poi, la doglianza avente ad oggetto la mancata concessione agli imputati del beneficio della sospensione condizionale, ostandovi, come già rimarcato nella sentenza impugnata, l’entità della pena inflitta. 2. Il ricorso di A.P.D. va dichiarato inammissibile. 2.1. Il primo motivo di ricorso ha ad oggetto doglianze non consentite in sede di legittimità. La ricorrente, attraverso una formale denuncia di vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali. Nel motivo in esame, in sostanza, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507 sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510 Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, Rv. 235508 . Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il travisamento del fatto , stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito Sez.6,n. 27429 del 04/07/2006, Rv.234559 Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215 Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099 ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148 . La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con atti del processo , specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione Sez. 4 08/04/2010 n. 15081 Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989 Sez.5, n. 6754 del 07/10/2014, dep.16/02/2015, Rv.262722 . 2.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Va osservato che la novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1 lett. e , ad opera della L. n. 46 del 2006 consente che, per la deduzione dei vizi della motivazione, il ricorrente faccia riferimento come termine di comparazione anche ad atti del processo a contenuto probatorio, ed introduce così un nuovo vizio definibile come travisamento della prova . Il vizio di travisamento della prova è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia così, per tutte, Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 , ed è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato distorto o pretermesso cfr., tra le tante, Sez. 6, 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774, e Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Rv. 237207 . In particolare Sez.1, n. 6112 del 22/01/2009, Rv.243225 Sez.6, n. 10951 del 15/03/2006, Rv.233711 Sez.6, n. 14054 del 24/03/2006, Rv.233454 è necessario perché si possa fare utile applicazione della predetta disposizione che sia specificamente indicato l’atto del processo dal quale risulterebbe in tesi il vizio motivazionale sia individuato l’elemento fattuale o il dato probatorio emergente da tale atto e incompatibile con la ricostruzione propria della decisione impugnata sia fornita la prova della corrispondenza al vero di tale elemento o dato vengano indicate le ragioni per le quali tale dato, non tenuto presente dal giudice, risulti decisivo per la tenuta logica della motivazione già adottata, sia cioè tale da mettere in crisi, disarticolandolo, l’intero impianto argomentativo sottoposto ad esame. L’accesso agli atti del processo, in particolare, non è indiscriminato, ma veicolato dall’atto di impugnazione che deve indicare specificamente quali siano gli atti ritenuti rilevanti al fine di consentire il controllo della motivazione del provvedimento impugnato, indicazione che potrà assumere le forme più diverse integrale riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, individuazione precisa della collocazione dell’atto nel fascicolo processuale di merito ecc. , ma sempre tali da non costringere la Corte di cassazione ad un lettura totale degli atti comunque esclusa dal preciso disposto della norma, tanto che la relativa richiesta con i motivi di ricorso deve ritenersi sanzionata dall’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c , e art. 591 c.p.p. Sez.3, n. 12014 del 06/02/2007, Rv.236223, Sez.2, n. 31980, del 14/06/2006, Rv. 234929 Nel caso di specie, la ricorrente non ha adempiuto all’onere di allegazione a suo carico, essendosi limitata solo ad indicare quale atto oggetto di travisamento probatorio la produzione documentale effettuata in sede di appello e gli atti del procedimento di primo grado, senza integrale riproduzione nel testo del ricorso o allegazione in copia o individuazione precisa della collocazione degli atti nel fascicolo processuale di merito. Ne consegue, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, l’inammissibilità del motivo proposto Sez.6, n. 29263 del 08/07/2010, Rv.248192 Sez.2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv.256723 Sez.3, n. 43322 del 02/07/2014, Rv.260994 Sez.4, n. 46979 del 10/11/2015, Rv.265053 Sez.2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv.270071 . 3. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000 , alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.