Omesso versamento contributi: i modelli DM10 inchiodano il datore di lavoro

In tema di omesso versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali operate dal datore di lavoro, la produzione dei modelli DM10 costituisce piena prova circa l’effettiva corresponsione delle retribuzioni.

Questo l’epilogo della decisione della Corte di Cassazione n. 24642/19, depositata il 3 giugno. I fatti. La Corte d’Appello di Milano confermava in parte la decisione del Tribunale di Monza con la quale si affermava la responsabilità dell’imputato titolare di un’impresa individuale in relazione al reato di omesso versamento dei contributi previdenziali e assistenziali trattenuti sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti, in esecuzione dello stesso disegno criminoso. Contro tale provvedimento, ricorre per cassazione l’imputato, contestando l’attribuzione della valenza probatoria, circa l’effettiva corresponsione delle retribuzioni ai propri dipendenti, dei modelli detti DM10, e l’aumento di pena applicato ex art. 81 c.p I modelli DM10. La Suprema Corte dichiara infondato il ricorso. In materia di mancato versamento delle ritenute di carattere previdenziale e assistenziale operate dal datore di lavoro, la Corte afferma che i modelli DM10, formati secondo il sistema informatico UNIEMENS, possono essere valutati come piena prova della effettiva corresponsione delle retribuzioni, trattandosi di dichiarazioni che, seppure generate dal sistema informatico dell’INPS, sono formate esclusivamente sulla base dei dati risultanti dalle denunce individuali e dalla denuncia aziendale fornite dallo stesso contribuente . L’onere di motivazione. Quanto al lamentato vizio di motivazione in merito all’aumento di pena, operato dalla Corte di merito in virtù del vincolo di continuazione, gli Ermellini osservano come in un caso analogo si sia rilevato che l’onere di motivazione del giudice in tal senso è molto lieve, potendo essere assolto, come avvenuto nel caso concreto, anche mediante il semplice richiamo alla proporzionalità della sanzione irrogata in aumento, considerando che l’onere più intenso è soddisfatto al momento della quantificazione della pena riguardante il reato ritenuto più grave. Per questi motivi, la Corte di Cassazione respinge il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 febbraio – 3 giugno 2019, n. 24642 Presidente Sarno – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Milano, con sentenza del 4 luglio 2018, ha solo in parte confermato la decisione, emessa il precedente 9 marzo 2017 dal Tribunale di Monza in esito a giudizio celebrato nelle forme ordinarie, con la quale era stata dichiarata la penale responsabilità di B.E. in ordine al reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., e L. n. 638 del 1983, art. 2, comma 1, per avere egli, in qualità di titolare di impresa individuale, omesso di versare, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, i contributi previdenziali ed assistenziali trattenuti sulle retribuzioni corrisposte ai propri dipendenti nel periodo da novembre a dicembre 2013, per un complessivo importo pari ad Euro 18.920,45, e lo stesso era stato, pertanto, condannato alla pena di giustizia. Nel riformare la sentenza emessa dal giudice di primo grado la Corte territoriale, rilevato che le omissioni contributive contestate riguardavano pagamenti da eseguirsi in due distinti anni civili, essendo le scadenze inutilmente decorse fissate l’una al 16 dicembre 2013 e l’altra al 16 gennaio 2014, e che solamente quella relativa a tale seconda data era relativa ad un importo superiore alla soglia di punibilità annuale di Euro 10.000,00 introdotta con la entrata in vigore del D.Lgs. n. 8 del 2016, ha assolto il B. quanto ad una delle mensilità contestate per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, e, quanto alla residua mensilità, ha rideterminato la pena inflitta, confermata la unificazione in continuazione del reato contestato con quello già oggetto di un precedente giudizio divenuto definitivo, contenendola in Euro 3.900,00 di multa, rideterminando, pertanto, la pena finale, tenuto conto della operata unificazione ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., in complessivi 9.850,00 di multa. Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il B. deducendo un primo motivo di impugnazione con il quale ha contestato, sotto il profilo della corretta applicazione della legge penale, la attribuzione di valenza probatoria in ordine alla effettiva corresponsione dei trattamenti economici da parte del B. ai propri dipendenti, della produzione dei modelli detti DM10. Con il secondo motivo ha, invece, lamentato la quantificazione dell’aumento di pena applicatogli dalla Corte di appello ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p.p Considerato in diritto Il ricorso proposto è infondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato. Rileva, infatti, questa Corte, altresì, la infondatezza delle censure formulate dal ricorrente. Infatti, con riferimento alla valenza probatoria della produzione dei modelli DM10 ai fini della dimostrazione dell’avvenuta corresponsione dei compensi ai propri dipendenti da parte del soggetto che abbia poi omesso il versamento delle trattenute previdenziali ed assistenziale operate su detti compensi, la giurisprudenza di questa Corte si è univocamente espressa in termini positivi. È stato, infatti, affermato che in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro, i modelli DM10 formati secondo il sistema informatico UNIEMENS, possono essere valutati come piena prova della effettiva corresponsione delle retribuzioni, trattandosi di dichiarazioni che, seppure generate dal sistema informatico dell’INPS, sono formate esclusivamente sulla base dei dati risultanti dalle denunce individuali e della denuncia aziendale fornite dallo stesso contribuente Corte di Cassazione, Sezione III penale, 10 ottobre 2016, n. 42715 sostanzialmente nello stesso senso, anche idem Sezione III penale, 18 dicembre 2014, n. 52494, non massimata . Quanto alla illegittimità della determinazione della sanzione penale in aggiunta a quella già irrogata con precedente sentenza in relazione alla quale il reato ivi accertato è stato poi ritenuto avvinto dal vincolo della continuazione con quello per cui ora si procede, si osserva che, essendo stata censurata dal ricorrente la sentenza della Corte territoriale di Milano sotto il profilo dl vizio di motivazione, in una fattispecie del tipo ora in scrutinio si è rilevato che l’onere di motivazione sotteso alla determinazione della pena in aumento è estremamente lieve, posto che, come questa Corte ha nell’occasione chiarito, esso può ritenersi assolto, come avvenuto nel caso di specie, anche attraverso il semplice richiamo alla congruità e proporzionalità della sanzione disposta in aumento, posto che il più inteso onere già è stato soddisfatto in sede di quantificazione della sanzione relativa al reato ritenuto più grave per tutte, da ultimo in ordine di tempo Corte di Cassazione, Sezione V penale, 10 maggio 2018, n. 20803 . Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato ed il ricorrente, visto l’art. 616 c.p.p., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.