Sulla configurabilità del reato di elusione dell’esecuzione di un provvedimento giudiziale

Ai fini della sussistenza del reato ex art. 388 c.p., l’elusione del provvedimento del giudice può consistere anche in una condotta che ostacola solo dall’esterno un’attività esecutiva affidata integralmente ad altri, poiché l’interesse tutelato non è l’autorità in sé, ma l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 23215/19, depositata il 27 maggio, chiamata ad intervenire in un giudizio all’interno del quale la Corte d’Appello, in conferma della decisione di primo grado, ribadiva la responsabilità dell’imputata per il reato di cui agli artt. 81 e 388, comma 2, c.p In particolare quest’ultima, con il motivo di ricorso, denuncia violazione di legge sostenendo che, in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 388, comma 2, c.p., il relativo elemento materiale non può consistere nel rifiuto a partecipare agli incontri fissati dai servizi sociali per valutare i termini e le modalità della prosecuzione degli incontri tra padre e figlio, poiché non correlato al provvedimento del giudice civile riguardante l’affidamento, appunto, del figlio minore. La mancata esecuzione del provvedimento giudiziale. In linea con il principio di diritto affermato al riguardo, la Suprema Corte si duole di osservare che il suddetto art. 388, comma 2, c.p. prevede la condotta di elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice e non del provvedimento in sé. Ciò significa che si impone il rispetto non solo del provvedimento originario ma anche di tutte quelle misure, demandate a soggetti terzi dal giudice civile, che diano attuazione all’ordine stesso e ne rendano in concreto possibile l’attuazione . Conseguentemente, secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità del reato di cui sopra, l’elusione del provvedimento del giudice può consistere anche in una condotta che ostacola solo dall’esterno un’attività esecutiva affidata integralmente ad altri. Questo perché l’interesse tutelato dall’art. 388 non è l’autorità, il giudice in sé, ma l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione e ciò non si evince dal caso in esame. Da tutto ciò deriva per il Supremo Collegio la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 aprile – 27 maggio 2019, n. 23215 Presidente Di Stefano – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Roma ha confermato quella del Tribunale di Roma in composizione monocratica del 05/07/2013, ribadendo la responsabilità di D.M. limitatamente al reato di cui all’art. 81 c.p., art. 388 c.p., comma 2 capo a nonché la pena a detto titolo inflittale nella misura di dieci mesi di reclusione oltre alle statuizioni disposte in favore della parte civile M.L. rigettando l’appello della parte civile, la Corte territoriale ha, inoltre, confermato la decisione anche riguardo alla pronuncia assolutoria riguardante il concorrente delitto di calunnia art. 368 c.p., capo b . 2. Avverso la sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione tanto la imputata D. , avverso la condanna per art. 388 c.p., comma 2, e le statuizioni accessorie, quanto la parte civile M. , avverso la ribadita assoluzione del reato di calunnia. 2.1 Ricorso D. imputata Con un primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge e vizi cumulativi di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 388 c.p., comma 2, sostenendo che il relativo elemento materiale non può consistere, come opinato dalla pronuncia impugnata nel rifiuto a partecipare a qualunque incontro fissato dai servizi sociali al fine di valutare i termini e le modalità della prosecuzione degli incontri tra padre e figlio in quanto non strettamente correlato al provvedimento del giudice civile riguardante l’affidamento del figlio minore G. , provvedimento che stabiliva l’esercizio del diritto di visita del padre unicamente alla presenza degli assistenti sociali del Comune di Roma. Con la sua decisione, la Corte di merito ha, pertanto, indebitamente esteso l’autorità propria del provvedimento giurisdizionale alle richieste ed iniziative dei servizi sociali, per di più difformi dalle specifiche prescrizioni che vincolavano la madre del minore. Con lo stesso primo motivo di censura, la ricorrente deduce, inoltre, l’insussistenza dell’elemento soggettivo nella misura in cui i giudici di merito hanno ravvisato una consapevolezza e una volontà di eludere un provvedimento del giudice civile, essendosi per contro essa limitata a non presentarsi agli incontri stabiliti dagli assistenti sociali a causa di impossibilità oggettive puntualmente e ragionevolmente argomentate. Con un secondo ed ultimo motivo, si deducono, inoltre, illogicità, contraddittorietà ed apparenza della motivazione nella parte in cui è stata ribadita la responsabilità in relazione all’omessa conduzione del minore agli incontri con il padre calendarizzati dagli assistenti sociali e in virtù di una ravvisata strategia di deliberata vanificazione di ogni possibile approccio finalizzato alla pianificazione di un nuovo calendario di incontri. 2.2 Ricorso M. parte civile . Il ricorrente deduce contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine al ritenuto difetto di prova circa la consapevolezza, da parte dell’imputata, della non corrispondenza al vero di quanto portato a conoscenza dell’autorità giudiziaria con la sua denunzia, atteso che l’intento di provocare l’instaurazione del procedimento penale a carico suo e della d.ssa B. dei servizi sociali risultava chiaramente volto a screditare la figura professionale di quest’ultima, autrice di positive relazioni circa il pieno recupero del rapporto tra padre e figlio. Considerato in diritto 1. Il ricorso dell’imputata è manifestamente infondato e come tale va dichiarato inammissibile va, invece, rigettato quello della parte civile. 2. Ricorso D. imputata . Con riferimento al punto nodale dell’impugnazione e cioè alla dedotta modificazione, indebita secondo la ricorrente e come tale non vincolante, da parte degli assistenti sociali, del contenuto del provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento della figlia minore e l’esercizio del diritto di visita da parte del padre separato non affidatario, il Collegio osserva che la Corte territoriale ha già respinto in linea di fatto la medesima censura formulata con l’atto di appello pag. 6 sent. impugnata . In linea di stretto diritto, inoltre, vale osservare che l’art. 388 c.p., comma 2, anche nella sua attuale formulazione, contempla la condotta di elusione della esecuzione di un provvedimento giudiziale e non già del provvedimento in sé, il che vuol dire che s’impone il rispetto non solo del provvedimento originario ma anche di tutte quelle misure, demandate o meno espressamente dal giudice civile a soggetti terzi, che diano attuazione all’ordine stesso e ne rendano in concreto possibile l’attuazione. La fase esecutiva di un ordine giudiziale è, infatti, quella che segue l’emissione dell’ordine in sé, assumendo una connotazione autonoma sebbene strettamente finalizzata a che il primo trovi effettiva esplicazione nell’ordinamento. A tal proposito, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità afferma da tempo che ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 388 c.p., comma 2, l’elusione del provvedimento del giudice può consistere anche in una condotta che ostacola dall’esterno un’attività esecutiva integralmente affidata ad altri” Sez. 6, sent. n. 11952 del 01/02/2017, Travaglianti, Rv. 269644 Sez. 6, sent. n. 16398 del 22/03/2016, P.C. in proc. Calcagno, Rv. 266797 , atteso che l’interesse tutelato dall’art. 388 c.p., non è l’autorità in sé delle decisioni giurisdizionali, bensì l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione” Sez. 6, sent. n. 2267 del 12/03/2014, dep. 2015, Agosta, Rv. 261796 . Gli ulteriori motivi articolati dall’imputata risultano, invece, semplicemente improponibili poiché investono direttamente il merito del giudizio, invocandone di fatto una revisione dell’esito decisorio, incompatibile con la funzione propria del giudizio di legittimità. 3. Ricorso M. parte civile . La ricorrente parte civile ravvisa una intrinseca contraddittorietà nelle determinazioni della Corte di merito che, facendo proprie le valutazioni del Tribunale in primo grado, ha escluso che sussistano prove della certa consapevolezza da parte dell’imputata dell’innocenza del coniuge separato all’epoca fatto segno di denuncia. La deduzione risulta, però, infondata. Il Collegio osserva, infatti, che gli elementi probatori sulla base dei quali i giudici di appello hanno escluso il dolo di calunnia in capo all’imputata appaiono vari ed articolati pagg. 7 e 8 motivazione e la relativa valutazione conseguente ad una ponderata considerazione dei diversi aspetti della vicenda v. in particolare i punti 1, 2 e 3 riguardanti termini e modalità di presentazione della denuncia da parte della D. , a loro volta correttamente analizzati nel quadro della tematica dell’elemento psicologico del reato di cui all’art. 368 c.p., e all’esito discrezionalmente apprezzati, sulla scorta, dunque, di considerazioni insuscetti-bili di censura sul piano logico, ancorché comprensibilmente non condivise dal ricorrente. 4. Alla dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione della ricorrente D. segue, come per legge, la condanna della stessa al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende che si reputa equo determinare nella misure di Euro 2.000,00 duemila . Al rigetto dell’impugnazione della parte civile M. ne consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. La soccombenza sia della ricorrente D. sia del M. , sul ricorso autonomamente presentato in qualità di parte civile, induce il Collegio a dichiarare compensate art. 91 c.p.c. le spese di rappresentanza e difesa sopportate da detta parte civile. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso di D.M. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta il ricorso di M.L. e lo condanna al pagamento delle spese processuali. Compensa le spese di costituzione di parte civile.