Povero, sotto sfratto e senza cibo: nessuna giustificazione per la tentata rapina

Respinta la linea difensiva centrata su un presunto stato di necessità” del ladro. Pur a fronte della sua precaria situazione socio-economica, i Giudici osservano che ad essa è possibile porre rimedio in modo lecito, ad esempio facendo ricorso a istituti di assistenza sociale.

Sotto sfratto, senza cucina e senza energia elettrica situazione difficile, quella vissuta da un uomo, che però non può così giustificare la scelta di provare a mettere a segno una rapina. Così, respinta l’ipotesi dello stato di necessità”, è definitiva la sua condanna Cassazione, sentenza n. 21990/19, sez. II Penale, depositata oggi . Rapina. Pesante il quadro accusatorio nei confronti di un uomo a lui vengono contestati i reati di tentata rapina, esercizio arbitrario delle proprie ragioni, resistenza e minaccia a pubblico ufficiale . E, una volta raccolti tutti gli elementi probatori, i Giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, optano per una pronuncia di condanna. Respinta la linea difensiva centrata sul presunto stato di necessità dell’uomo. A questo proposito, i Giudici pongono in evidenza l’accoglimento delle istanze proposte da lui al Comune e aggiungono che comunque egli avrebbe potuto ricorrere all’assistenza di associazioni di volontariato . Indigenza. Anche nel contesto della Cassazione, però, il legale dell’uomo sotto processo prova a ridimensionare le condotte contestate, puntando sulla difficile situazione economica del proprio cliente. In questa ottica, l’avvocato ricorda che l’uomo aveva subito lo sfratto e la disconnessione dalla rete elettrica, non sapeva come mangiare – non avendo una cucina – e non sapeva come vivere . Per completare il quadro, poi, viene anche spiegato che la rapina è stata commessa per pure finalità dimostrative difatti, la volontà era quella di impossessarsi della pistola e non di usare violenza nei confronti di chi la deteneva la guardia giurata non è stata toccata né aggredita né ha subito spinte . Inoltre, il successivo allontanamento corrisponde a una desistenza volontaria , secondo il legale. Queste obiezioni non convincono però i Giudici della Cassazione, che respingono anch’essi l’ipotesi dello stato di necessità , anche perché basata solo su una situazione di indigenza dell’uomo finito sotto processo per una tentata rapina. Decisiva l’osservazione secondo cui a una situazione socio-economica difficile può comunque ovviarsi mediante comportamenti non criminalmente rilevanti , come, ad esempio, il ricorso ad istituti di assistenza sociale .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 6 marzo – 20 maggio 2019, n. 21990 Presidente De Crescienzo – Relatore Tutinelli Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Potenza ha confermato la sentenza del Tribunale di Matera-sezione distaccata di Pisticci - in data 28 febbraio 2013, di condanna dell'odierno ricorrente per i delitti di minaccia a pubblico ufficiale, tentata rapina, esercizio arbitrario delle proprie ragioni e resistenza a pubblico ufficiale. A fondamento della condanna, le dichiarazioni delle persone offese, l'impossibilità di ipotizzare che l'indagato versasse in stato di necessità in difetto di prova di situazione qualificante e in presenza di un accoglimento delle istanze proposte al Comune nonché il fatto che l'imputato avrebbe potuto ricorrere alla assistenza di associazioni di volontariato. 2. Propone ricorso per cassazione l'imputato, MA. Fr., articolando i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione non essendovi nel provvedimento menzione della richiesta di applicazione della causa di giustificazione dello stato di necessità e non essendosi tenuto conto della richiesta di giudizio abbreviato e dell'ammissione dei fatti. Inoltre, sarebbe contraddittoria la motivazione nella parte in cui si esclude la sussistenza dello stato di necessità in ragione della possibilità di rivolgersi a organizzazioni di volontariato. Peraltro, gli elementi relativi allo stato di necessità risulterebbero dalla notazione di polizia giudiziaria del 30 agosto 2012 e segnatamente dal fatto che l'imputato aveva subito uno sfratto e la disconnessione dalla rete elettrica, non sapeva come mangiare non avendo nemmeno una cucina e non sapeva come vivere. Quanto alla rapina, questa sarebbe stata commessa per pure finalità dimostrative per cui la volontà era quella di impossessarsi della pistola e non di usare violenza nei confronti di chi la deteneva, la guardia giurata non sarebbe stata toccata, né aggredita ne avrebbe subito spinte. Inoltre il successivo spontaneo allontanamento da parte del MA. avrebbe integrato una desistenza volontaria. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. Quanto all'evocato stato di necessità, sussiste nel provvedimento impugnato una specifica motivazione. Peraltro, deve rilevarsi che la giurisprudenza di questa Corte cfr. Sez. 3, Sentenza n. 35590 del 11/05/2016 Rv. 267640 - 01 è nel senso che la situazione di indigenza non è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo, posto che l'esimente dello stato di necessità, che postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona non altrimenti evitabile, non può applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di indigenza connesso alla situazione socio-economica qualora ad essa possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti Sez. 7, n. 26143 del 16/05/2006, Cissè, Rv. 234529 . In questo senso è possibile comprendere il riferimento fatto dalla Corte territoriale ad istituti di assistenza sociale Sez. 6, n. 27049 del 19/03/2008, Niang, Rv. 241014 in quanto possibili rimedi alternativi alla commissione di delitti. Quanto alla presenza di una volontà meramente dimostrativa, questa non permette di ritenere sussistente lo svolgimento di condotte di particolare valore morale o sociale né la sussistenza di scriminanti. In sostanza, l'affermata insussistenza dei delitti contestati risulta essere del tutto apodittica e sganciata dal contenuto del fascicolo processuale e della motivazione delle sentenze di merito dei cui passaggi argomentativi non si tiene conto limitandosi il ricorrente ad una generica contestazione. Nemmeno la prospettazione della desistenza appare minimamente fondata. Infatti, nei reati di danno a forma libera, quali rapina e resistenza a pubblico ufficiale, la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto e non è configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale capace di produrre l'evento, pacificamente avvenuti nel caso di specie in relazione alle condotte violente assunte, rispetto ai quali può, al più, operare la diminuente per il cd. recesso attivo, qualora il soggetto tenga una condotta attiva che valga a scongiurare l'evento Sez. 2, Sentenza n. 24551 del 08/05/2015 Rv. 264226 situazione - questa - non verificatasi nel caso di specie. 3. Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Non si dispone il versamento in favore della Cassa delle Ammende di alcuna somma in conseguenza della peculiarità del caso concreto. L'inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata Sez. Un., n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto disposto dalla legge.