La Suprema Corte definisce i limiti della libertà valutativa del giudice della prevenzione…

La Cassazione fa luce su una tematica alquanto complessa, tanto per l’intersecarsi di diversi scenari – ciascuno caratterizzato da regole probatorie e valutative proprie – quanto per l’esser stata innovata, nella lettera della legge prima e negli orientamenti esegetici poi, dai recenti arresti europei, intervenuti per sanzionare le violazioni convenzionali commesse dal nostro Paese.

Lo fa, da un lato, occupandosi di stabilire dove si collochi il confine tra carenze motivazionali ed error in procedendo e, dall’altro, approfondendo il grado di libertà di chi debba ricavare la pericolosità del proposto dai risultati di altri processi in cui sia coinvolto, che possano influire sulla ricorrenza dei requisiti normativi. Al contempo, approfitta per fornire al lettore una sorta di decalogo dei principi di diritto applicabili in subiecta materia. Così con sentenza n. 21735/19, depositata il 17 maggio. Il caso. Il sindacato di ultima istanza giunge al termine di un’articolata procedura, nella quale, oltre alla confisca, era stata disposta la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di anni quattro, per uno degli interessati, che evidenziava, secondo l’organo proponente, un profilo misto di pericolosità c.d. semplice e qualificata e per anni due per l’altra, i cui comportamenti potevano ricondursi alla sola pericolosità semplice. La Corte di Appello di Reggio Calabria confermava integralmente il decreto emesso dal Tribunale, incorporando testualmente e integralmente le parti più significative del primo iter motivo. Il decreto di secondo cure viene quindi impugnato per Cassazione da entrambi i prevenuti, deducendo con le prime due doglianze, le criticità dell’impianto motivo, che ricostruiva in modo solo apparente gli indicatori di pericolosità sociale dedotti per irrogare le misure, posto che alcune prove a carico erano estrapolate dai contenuti di una pronuncia di proscioglimento per intervenuta prescrizione, senza alcun efficace vaglio critico delle dichiarazioni rese dal teste con la terza, analoghe carenze degli argomenti a supporto della confisca dei beni di proprietà degli interessati, cui si è approdati senza un’effettiva rielaborazione dell’opinione fornita dal consulente tecnico, che, peraltro, aveva esaminato incrementi patrimoniali realizzatisi in epoca anteriore ai primi fatti contestati. La sentenza. La I Sezione – su parere conforme del Procuratore generale, espresso sin dalla requisitoria scritta – accoglie il ricorso, annullando il decreto impugnato e trasmettendo gli atti, per il giudizio di rinvio, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione citando, in proposito, Cass., SS. UU. Pen., 4.1.2018, n. 111, Pres. Canzio, Rel. Petruzzellis . L’Estensore fatica a contenere le dimensioni della parte motiva, non tanto per l’esigenza di passare in rassegna gli indirizzi interpretativi in campo – tutti piuttosto consolidati – quanto per la necessità di prender le mosse dalle corrette coordinate ermeneutiche che circoscrivono il giudizio in questione, al fine d’esporre correttamente la logica di sistema promossa dagli Ermellini. Prima di entrare nel merito, inoltre, precisa quale sia l’ottica in cui devono essere considerate le critiche della difesa. La lacuna della motivazione che genera la violazione di legge. Ed infatti, già dalla forma, spesso meramente riproduttiva del precedente decreto, il testo denuncia un eccesso di affidamento nei contenuti espressivi della decisione di primo grado” essendo ravvisabile il vizio di apparenza della motivazione [] che si realizza anche lì dove nella parte constatativa del giudizio di prevenzione si adottino criteri meramente probabilistici sulla identificazione delle condotte delittuose poste a base del giudizio di pericolosità”. Ebbene, in casi simili, il vizio dell’argomentare si traduce sempre” in una concorrente violazione della legge processuale, poiché incide sull’aspetto funzionale della motivazione. I limiti dell’autonomia valutativa del giudice della prevenzione. Il nucleo essenziale della sentenza si concentra, però, sugli effetti della giurisdizionalizzazione del procedimento in parola, effetto principale, su scala nazionale, della nota pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo vd. Corte EDU, Grande Camera, 21.2.2017, De Tommaso v. Italia . La sufficiente tassatività delle previsioni in punto di pericolosità, invero, si correla direttamente alla capacità di legare un fatto alla biografia criminale del prevenuto, leggendo il delittuoso” non come connotazione di disvalore generico della condotta pregressa, ma attributo che la qualifica”, rendendo la categoria criminologica descritta dalle disposizioni di riferimento l’equivalente dell’archetipo indicato dal precetto penale. E ciò significa che, nell’eventuale contrasto tra giudicati – con correlata interferenza dei diversi elementi conoscitivi – dovrà indefettibilmente darsi priorità, anche a scapito dell’autonomia dell’apprezzamento svolto in questa sede e tanto più quando si stia appurando la sussistenza della fattispecie delineata dall’art. 4, comma primo, lett. a e b d.lgs. n. 159/2011, all’esito del processo di cognizione, frutto di pieno contraddittorio e maggiori garanzie, questo reputi insussistente uno degli elementi tipici che caratterizza la norma incriminatrice – anche quando si concluda per cause puramente procedurali – e non vi siano emergenze ulteriori che modifichino l’assetto fattuale accertato altrove. Conseguentemente, pur non essendosi ancora conclusa la fase di merito, il decreto merita d’essere annullato, non contenendo alcuna valida giustificazione circa la mancata prova del sinallagma tra le richieste del sodalizio mafioso e gli asseriti vantaggi per gli imprenditori coinvolti, vittime di un accordo già stipulato, all’atto del loro intervento nella gestione dell’azienda, dal loro predecessore circostanza che aveva determinato, in sede cautelare, il venir meno della gravità indiziaria per concorso esterno in associazione mafiosa . Conclusioni. La decisione in analisi prende le distanze dall’impostazione dei Giudici calabresi, giustificando in modo puntuale ed analitico i passaggi che hanno condotto all’esito processuale. Fornisce inoltre, al giurista pratico, un ottimo compendio dei canoni che, per il Supremo Collegio, devono guidare il giudizio di prevenzione, sanzionando condivisibilmente l’attitudine di talune Corti territoriali a recepire passivamente le giustificazioni del Primo Giudice, tentando d’assolvere l’onere motivazionale per interposto magistrato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 febbraio – 17 maggio 2019, numero 21735 Presidente Mazzei – Relatore Magi Ritenuto in fatto 1. Con decreto emesso in data 19 gennaio 2018, la Corte di Appello di Reggio Calabria ha respinto gli appelli proposti da C.G. e C.F.B. avverso il decreto di primo grado, emesso dal Tribunale in data 8 giugno 2016 in sede di misure di prevenzione. 1.1 Si è pertanto confermato il giudizio di pericolosità sociale nei confronti di C.G. con sottoposizione alla misura personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di anni quattro con profilo misto di pericolosità cd. semplice e qualificata e nei confronti di C.F.B. con sottoposizione a misura personale per anni due in riferimento alla, ritenuta, sola pericolosità semplice. Vi è stata confisca contestuale di numerosi beni, compiutamente indicati nelle decisioni in atti. 1.2 La motivazione espressa dalla Corte territoriale fa ampio rinvio con incorporazione di intere parti espositive e valutative a quella del decreto emesso in primo grado. Secondo la tesi di accusa, coltivata anche in un procedimento penale, i C. attraverso lo svolgimento di attività di impresa gestione di supermercati con marchio SMA nella zona di Reggio Calabria avrebbero posto in essere reati fiscali e truffe anni 2006 2008 nonché agevolato artt. 110 e 416 bis c.p. taluni appartenenti alla organizzazione di stampo mafioso operante in quei territori cosca D.S. -T. mediante la ricezione e promozione delle loro forniture di prodotti. La vicenda penale correlata ha dato luogo ad alcuni provvedimenti cautelari emessi nell’anno 2012, oggetto di rivisitazione in sede di impugnazione, aspetto che verrà approfondito nel prosieguo della trattazione. 2. Avverso detto decreto hanno proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore -C.G. e C.F.B. , articolando distinti motivi. 2.1 Al primo motivo si deduce, in riferimento alla posizione di C.G. , la mera apparenza di motivazione in punto di ricostruzione del profilo di pericolosità. Si afferma che la Corte di secondo grado ha sostanzialmente eluso i temi di critica posti in quella sede facendo ampio rinvio ai contenuti del decreto di primo grado, senza alcuna concreta rielaborazione critica. Ciò assume un particolare rilievo, in tesi, attesa la forza degli argomenti contrari che erano stati esposti, relativi alla assenza di conferma dei provvedimenti cautelari emessi in ambito penale a carico del C.G. , quanto alla ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa con produzione di decisioni emesse da questa Corte di legittimità in sede penale . Pur con generico richiamo alla autonomia valutativa del giudice della prevenzione, principio che la stessa difesa non pone in discussione, non sono in realtà state esplicitate le ragioni del diverso convincimento rispetto agli esiti provvisori del giudizio penale correlato. Anche in riferimento agli episodi contestati in sede penale come truffa per il conseguimento di pubbliche erogazioni, non si è tenuto conto del limitato arco temporale 2006-2008 cui tali condotte si riferiscono, nè di altri elementi di contrasto offerti dalla difesa. Una ulteriore fonte di prova a carico, nel giudizio di pericolosità, è stata tratta dai contenuti di una decisione penale dichiarativa di prescrizione, senza alcuna rielaborazione dei profili di attendibilità della relativa fonte dichiarativa. Si contesta, altresì, il fondamento logico della valutazione di attualità della pericolosità, essendo stata applicata la misura personale. 2.2 Al secondo motivo si deduce, in riferimento alla posizione di C.F.B. , la mera apparenza di motivazione, sempre sul tema della ricostruzione del profilo di pericolosità. Si riprendono le doglianze di metodo già esposte al primo motivo. Non si è fornita risposta al rilievo per cui le pretese condotte illecite relative ai fittizi crediti di imposta sono state poste in essere tra il 2006 e il 2008 quando il socio maggioritario e reale gestore delle compagini societarie era S.D. . Si ritiene del tutto apodittica la affermazione di attualità della pericolosità. 2.3 Al terzo motivo si deduce mera apparenza di motivazione in riferimento alla confisca dei beni. Si riproducono i profili di doglianza sul metodo seguito. Non vi è stata analisi concreta dei contenuti della consulenza di parte sui temi patrimoniali, così come non vi è risposta sul lamentato difetto di correlazione temporale tra insorgenza e durata della pericolosità e confisca. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, con particolare riferimento ai primi due motivi, per le ragioni che seguono. 1.1 La decisione impugnata soffre, come dedotto dai ricorrenti, di un eccesso di affidamento nei contenuti espressivi della decisione di primo grado, pure a fronte di emergenze in fatto e questioni in diritto tali da condizionare la stessa possibilità di formulazione di un valido giudizio di pericolosità dei proposti. In particolare, è ravvisabile il vizio di apparenza di motivazione, deducibile in sede di ricorso per cassazione anche avverso provvedimenti applicativi di misure di prevenzione, cui si unisce una errata considerazione in diritto dei limiti della autonomia valutativa tra giudizio di prevenzione e giudizio penale correlato. Su tali aspetti va in premessa ricordato che se l’art. 125 c.p.p., comma 3 impone la motivazione di un provvedimento che in materia di prevenzione ha forma di decreto ma natura di sentenza v. Sez. Unumero 600/2010, rv 245174 ,la mancanza del percorso giustificativo della decisione si realizza anche lì dove nella parte constatativa del giudizio di prevenzione si adottino criteri meramente probabilistici sulla identificazione delle condotte delittuose poste a base del giudizio di pericolosità, posto che a venire in rilievo è in simili casi la violazione del profilo funzionale della motivazione si veda, sul tema, in ambito cautelare, l’insegnamento fornito da Sez. Unumero 22.3.2000, Audino . In ogni caso, lì dove il percorso argomentativo seguito dal giudice del merito prenda le mosse da una erronea intepretazione del contenuto delle disposizioni incidenti sull’argomento trattato, il vizio argomentativo si traduce sempre in una concorrente violazione di legge. 1.2 È stato, in particolare ritenuto che l’assenza o apparenza di motivazione, su un punto specifico della regiudicanda, è ravvisabile anche lì dove tale lacuna derivi da una scelta interpretativa in diritto del giudice del merito, non ostando a tale approdo la formulazione dell’art. 10 comma 3 Cod.Ant. così, secondo Sez. 1 numero 16038/2016, ric. Targia +1, numero m., la inammissibilità della deduzione relativa alla avvenuta prospettazione di vizio di motivazione per contraddittorietà o illogicità, vizio non previsto dalle vigenti disposizioni regolatrici, non esclude la rilevabilità, sul punto introdotto dal ricorrente, del diverso vizio di assenza di motivazione ove lo stesso derivi da una sottostante violazione di legge, posto che l’interpretazione in diritto dei presupposti applicativi della misura di prevenzione condiziona inevitabilmente la ricostruzione dei profili soggettivi di pericolosità e ne può limitare l’estensione argomentativa in modo illegittimo, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato per violazione di legge . Tale impostazione metodologica è stata peraltro recepita dalle Sezioni Unite nella recente decisione numero 111/2018 ric. Gattuso si veda quanto affermato al par. 2 appare necessario premettere all’analisi della questione proposta che è del tutto pacifico che sia possibile svolgere in sede di legittimità il controllo inerente all’esatta applicazione della legge, sui provvedimenti applicativi della misura di prevenzione, ove si profila la totale esclusione di argomentazione su un elemento costitutivo della fattispecie che legittima l’applicazione della misura, configurandosi, in caso di radicale mancanza di argomentazione su punto essenziale, la nullità del provvedimento ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 111 Cost., comma 6, art. 125 c.p.p., comma 3, D.Lgs. 6 settembre 2011, numero 159, art. 7, comma 1, poiché l’apparato giustificativo costituisce l’essenza indefettibile del provvedimento giurisdizionale 2. Nel caso in esame, pertanto, alla base delle carenze argomentative sui profili di pericolosità soggettiva imputati in sede di merito a C.G. e C.F.B. vi è come evidenziato anche dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta in primo luogo una erronea ricognizione in diritto dei profili dell’autonomia valutativa tra procedimento di prevenzione e procedimento penale , essendosi raggiunti in sede penale esiti processuali sia pure in sede di incidente cautelare tesi a neutralizzare sul piano oggettivo la valenza di quei medesimi dati indizianti che erano stati posti a carico dei due C. in sede di inquadramento soggettivo nella categoria della pericolosità qualificata dalla appartenenza alla organizzazione mafiosa. Ciò rileva in particolare per la posizione di C.G. , ma trattasi di un punto della decisione che assume valenza generale perché impone di realizzare una sia pur sintetica ricognizione dei recenti approdi della giurisprudenza di questa Corte di legittimità sul principio evocato. 2.1 Al contempo, anche la ricostruzione della pericolosità semplice che nel caso in esame andrebbe a coprire un arco temporale limitato è stata operata con sostanziale accantonamento degli esiti dei procedimenti incidentali del correlato giudizio penale, in modo difforme dagli insegnamenti più recenti di questa Corte di legittimità. In particolare, gli orientamenti interpretativi culi il Collegio intende riferirsi sono, negli arresti più recenti, stati espressi da Sez. I, numero 43826 del 19.4.2018, rv 273976 Sez. 24707 del 1.2.2018, rv 273361 Sez. II,numero 11846 del 19.1.2018, rv 272496. Le decisioni citate muovono da una necessaria riconsiderazione di alcuni assetti dogmatici del giudizio di prevenzione, maturata nel sistema interno già negli anni successivi alla riforma del 2011 e rafforzatasi dopo l’emissione della nota decisione 21 febbraio 2017 della Grande Camera della Corte Edu nel caso De Tommaso contro Italia, nel senso di un marcato recupero di tassatività nella interpretazione dei presupposti descritti dal legislatore in sede di descrizione delle categorie soggettive di pericolosità. 2.2 Va dunque ribadito in virtù della valenza pratica del principio il significato della giurisdizionalità del procedimento di prevenzione, aspetto da cui deriva in larga misura la promozione del rinnovato approccio interpretativo tassativizzante alle previsioni di legge in materia, ferma restando la peculiarità della disciplina oggetto di analisi. La Corte Costituzionale, in due pronunzie con cui rifiutò di emettere decisioni additive in tema di misure di prevenzione ord. numero 721 del 1988 sent. numero 335 del 1996 , ha fatto discendere tale scelta dalla constatazione per cui la giurisdizione preventiva è -quanto meno, da ritenersi limitativa di diritti , il che rappresenta una efficace definizione dei tratti peculiari di un settore dell’ordinamento presidiato in larga misura da garanzie comuni con quelle del sistema sanzionatorio, trattandosi per riprendere altra affermazione del giudice delle leggi di applicare in via giurisdizionale misure tese a delimitare la fruibilità di diritti della persona costituzionalmente garantiti, o ad incidere pesantemente e in via definitiva sul diritto di proprietà C. Cost. sent. numero 93 del 2010 . È dunque da ribadirsi che le misure di prevenzione, pur se sprovviste di natura sanzionatoria in senso proprio, rientrano in una accezione lata di provvedimenti con portata afflittiva sia pure in chiave preventiva il che impone di ritenere applicabile in siffatta materia il generale principio di tassatività e determinatezza dei contenuti della fattispecie astratta sia come limite al potere legislativo di costruzione della disposizione che come criterio interpretativo , lì ove si realizza la descrizione dei comportamenti presi in considerazione come prima fonte giustificatrice di dette limitazioni. È, pertanto, dalla matrice giurisdizionale del procedimento e dalle ricadute della decisione su diritti fondamentali della persona che deriva, come più volte evidenziato in plurimi arresti di questa Corte, la necessità di una valorizzazione a della dimensione probatoria della cd. fase constatativa del giudizio di prevenzione, base logica e giuridica della successiva prognosi di pericolosità b della aderenza di tale dimensione probatoria ai contenuti tipici della fattispecie astratta che si ritiene di applicare al soggetto proposto. Le decisioni di questa Corte antecedenti e successive alla pronunzia della Corte di Strasburgo che hanno dato corpo a tale linea interpretativa sono molteplici si vedano, sul tema Sez. ‘,numero 31209 del 2015 Sez. II, numero 26235 del 2015 Sez. I, numero 43720 del 2015 Sez. V, numero 6067 del 2017 Sez. I, numero 16038 del 2016 Sez. I, numero 36258 del 2017 Sez. I,numero 54119 del 2017 Sez. VI, numero 53003 del 2017 Sez. I,numero 349 del 2018 Sez. I, numero 13375/2018 , e convergenti nel realizzare una lettura delle disposizioni in tema di pericolosità semplice di cui all’art. 1 lett. a b Cod. Ant. incentrata sulla valorizzazione della locuzione proventi di attività delittuose/ traffici delittuosi in chiave tassativizzante. Si è infatti affermato, in via generale, che nella fase preliminare della constatazione delle condotte potenzialmente indicative della pericolosità sociale, parlare di traffici delittuosi o di proventi di attività delittuose in senso non generico, significa che, pur senza indicare le fattispecie incriminatrici specifiche, il legislatore ha inteso prendere in esame la condizione di un soggetto che ha, in precedenza, commesso dei delitti consistenti in attività di intermediazione in vendita di beni vietati traffici delittuosi o tipologicamente produttivi di reddito provento di attività delittuose . 2.3 In tal senso, le categorie tipizzate della personalità semplice art. 1 Cod.Ant. presentano aspetti il riferimento alla abitualità e la descritta connotazione dell’attività pregressa svolta dal soggetto di più elevata aderenza al paradigma classico della pericolosità penalistica rispetto a quelle della cd. pericolosità qualificata art. 4, comma 1, lett. a e lett. b , posto che in tale secondo caso il legislatore proprio in riferimento al maggior disvalore delle fattispecie penali evocate non richiede la precedente verifica della commissione del reato ma consente l’intervento preventivo sulla base dell’indizio di commissione del medesimo. In altre parole, va condivisa e ribadita l’affermazione Sez. I numero 349/2018 per cui, nella costruzione della fattispecie legale di pericolosità il delittuoso non è connotazione di disvalore generico della condotta pregressa ma attributo che la qualifica, dunque il giudice della misura di prevenzione deve, preliminarmente, attribuire al soggetto proposto una pluralità di condotte passate dato il riferimento alla abitualità che vuoi facendosi riferimento ad accertamenti realizzati in sede penale, vuoi attraverso una autonoma ricostruzione incidentale che non risulti contraddetta da esiti assolutori siano rispondenti al tipo di una previsione di legge penalmente rilevante. Ciò impone di ritenere che nella ricognizione del contenuto delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 1 lett. a b, Cod.Ant. l’interprete è tenuto ad aderire ad una lettura del contenuto prescrittivo che si fondi sull’apprezzamento di ripetute condotte di reato corrispondenti ai tratti e alle finalità delineati dal legislatore. Si rievoca, nei citati arresti, la necessaria aderenza del momento cognitivo della prevenzione al contenuto tipico della previsione legale come del resto già evidenziato dalla nota decisione Corte Cost. numero 17711980 decisivo è che anche per le misure di prevenzione, la descrizione legislativa, la fattispecie legale, permetta di individuare la o le condotte dal cui accertamento nel caso concreto possa fondatamente dedursi un giudizio prognostico, per ciò stesso rivolto all’avvenire . In tale passaggio argomentativo, peraltro, si riconosce con chiarezza il fondamento di quella posizione concettuale che scinde il giudizio di prevenzione in due fasi, constatativa e prognostica v. Sez. I, numero 23641 del 2014, ric. Mondini , con diversità degli standard probatori relativi a tali due segmenti dell’operazione valutativa certezza processuale del fatto constatato + probabilità della sua riproduzione o della realizzazione di condotte dal disvalore omogeneo con affermazione che appare opportuno riprendere. In particolare, la scissione del giudizio prevenzionale in due fasi è ormai patrimonio comune sul piano interpretativo degli istituti coinvolti, atteso che solo a seguito di una prima fase constatativa ossia di apprezzamento di fatti idonei ad iscrivere il soggetto in una delle categorie criminologiche tipizzate dal legislatore può seguire la fase prognostica in senso stretto ossia la valutazione delle probabili, future condotte, in chiave di offesa ai beni tutelati , logicamente influenzata dai risultati della prima, secondo il generale paradigma logico di cui all’art. 203 c.p Come è stato osservato in ulteriore arresto Sez. I, 31209 del 2015 ric. Scagliarini, cit. , nessuna misura di prevenzione sia essa personale o patrimoniale può essere, dunque, applicata lì dove manchi una congrua ricostruzione di fatti idonei a determinare l’inquadramento attuale o pregresso del soggetto proposto in una delle categorie specifiche di pericolosità espressamente tipizzate dal legislatore all’art. 1 e all’art. 4 dell’attuale D.Lgs. numero 159 del 2001. Solo l’avvenuto inquadramento del proposto in una delle categorie tipiche di pericolosità, derivante dall’apprezzamento di fatti, consente, li dove tale giudizio sia formulato in termini di attualità all’esito del giudizio di primo grado, di applicare la misura di prevenzione personale, se del caso congiunta a misura patrimoniale mentre in ipotesi di pericolosità tipica sussistente ma non più attuale sempre al momento della decisione di primo grado può essere, in presenza degli ulteriori presupposti di legge, applicata la misura patrimoniale della confisca disgiunta. In tali arresti si è evidenziato, altresì, che affermare la condizione di pericolosità sociale di un individuo in un dato momento storico è peraltro operazione complessa che nel giudizio di prevenzione non si basa esclusivamente sulla ordinaria prognosi di probabile e concreta reiterabilità di qualsivoglia condotta illecita così come previsto in via generale dall’art. 203 c.p. norma che non distingue la natura della violazione commessa a monte e postula la semplice commissione di un reato ma implica il precedente inquadramento del soggetto in una delle categorie criminologiche tipizzate dal legislatore, sicché la espressione della prognosi negativa deriva, appunto, dalla constatazione di una specifica inclinazione mostrata dal soggetto, cui non siano seguiti segni consistenti di modifica comportamentale. 2.4 Dunque parlare di pericolosità sociale come caratteristica fondante del giudizio di prevenzione se da un lato è esatto, in quanto si intercetta il valore sistemico della misura di prevenzione, che è strumento giuridico di contenimento e potenziale neutralizzazione della pericolosità, dall’altro può essere fuorviante lì dove tale nozione venga intesa in senso del tutto generico, senza tener conto della selezione normativa delle specifiche categorie di pericolosità. Le indicazioni del legislatore, in quanto tipizzanti, determinano la esclusione dal settore in esame di quelle condotte che, pur potendo percepirsi come manifestazione di pericolosità, risultino estranee al perimetro descrittivo di cui agli attuali D.Lgs. numero 159 del 2011, artt. 1 e 4. La prognosi di pericolosità, infatti, segue gli esiti positivi o negativi di tale preliminare inquadramento e pertanto si manifesta in forme, costituzionalmente compatibili, che riducono la discrezionalità del giudice agli ordinari compiti di interpretazione del valore degli elementi di prova e di manifestazione di un giudizio prognostico che da quelle risultanze probatorie è oggettivamente influenzato. La descrizione della categoria criminologica di cui al D.Lgs. numero 159 del 2011, artt. 1 e 4 ha, pertanto, il medesimo valore che nel sistema penale è assegnato alla norma incriminatrice, ossia esprime la previa selezione e connotazione, con fonte primaria, dei parametri fattuali rilevanti, siano gli stessi rappresentati da una condotta specifica le ipotesi di indizio di commissione di un particolare reato, con pericolosità qualificata o da un fascio di condotte le ipotesi di pericolosità generica . Ciò peraltro consente di qualificare come non condivisibile anche alla luce delle più recenti linee interpretative interne il giudizio negativo espresso dalla Corte Edu nel caso De Tommaso in punto di qualità della legge, nel senso che le disposizioni di riferimento, qui limitate ai casi di dedizione abituale a traffici delittuosi lettera art. 1 comma 1 e/o al vivere abitualmente, anche in parte, con il provento di attività delittuose lettera b , contengono gli spunti tassativizzanti che consentono di ritenerle disposizioni idonee ad orientare le condotte dei consociati in modo congruo con rispetto del canone logico-giuridico della prevedibilità, richiamato nella decisione Corte Edu . Ciò, ovviamente, nella misura in cui tale approccio tassativizzante alla lettura delle norme venga rispettato in concreto, sulla base dei contenuti dei numerosi precedenti interni già orientati in tale direzione. 3. Da tale premessa derivano una serie di conseguenze, che è opportuno ribadire, proprio in tema di autonomia valutativa del giudice della misura di prevenzione. 3.1 La prima riguarda il modo di essere della cd. fase constatativa del giudizio di prevenzione, rappresentata dalla iscrizione del soggetto proposto attuale o pregressa nella categoria tipica di riferimento, base logica della prognosi. Se l’iscrizione nella categoria è una condizione della prognosi non essendo sufficiente per la formulazione della medesima, dovendo la pericolosità porsi come giudizio rivolto al futuro è evidente che la base cognitiva deve essere processualmente certa, altrimenti la prognosi giudizio ontologicamente probabilistico nasce viziata in radice. Ove si tratti delle ipotesi di cui all’art. 1, lett. a/b. Cod. Ant. si è detto che le precedenti condotte del soggetto vanno qualificate in termini di ricorrenti attività delittuose produttive di reddito o consistenti in traffici il che tendenzialmente esclude la possibilità di ritenere tali, in sede di prevenzione, quelle condotte che il giudice penale nell’esercizio della sua funzione cognitiva ha ritenuto non conformi al tipo o addirittura insussistenti nella loro dimensione fattuale o giuridica. Non è un caso, infatti, che l’origine giurisprudenziale Sez. Unumero Simonelli del 1996 del principio della autonoma valutazione riguardi il settore della pericolosità qualificata appartenenza ad associazione mafiosa nel cui ambito la descrizione normativa prevenzionale è operata in termini meno stringenti si evoca l’indizio rispetto a quelli prima evidenziati, il che rende sostenibile in una con lo sviluppo autonomo dei dati informativi l’approdo ad una diversità di esito dei due giudizi penale e di prevenzione qualificata . Ma lì dove la parte constatativa del giudizio debba fondarsi sulla constatazione di precedenti attività delittuose art. 1 Cod. Ant. , il sistema attuale della pericolosità semplice arricchito, come si dirà, dalla previsione specifica di cui all’art. 28 Cod.Ant. non tollera la rielaborazione autonoma di un giudicato penale assolutorio nel merito da parte del giudice della prevenzione, se non nella marginale ipotesi di un consistente apporto di elementi informativi non valutati in sede penale. 3.2 Tale riflessione è stata in più arresti elaborata da questa Corte di legittimità. Conviene rievocare, sul punto, la medesima decisione Sez. I, numero 31209/2015, ric. Scagliarini e la più recente Sez. I, numero 24707/2010 ric. Oliveri, unitamente alla già evocata Sez. II, numero 11846 del 19.1.2018, Carnovale. Nella prima decisione si è affermato con linea non smentita nei successivi arresti – che tale inquadramento art. 1, comma 1, lett. b, Cod. Ant. -presuppone come realizzate con esito positivo, quanto alla parte constatativa del giudizio, le seguenti verifiche a la realizzazione di attività delittuose trattasi di termine inequivoco non episodica ma almeno caratterizzante un significativo intervallo temporale della vita del proposto b la realizzazione di attività delittuose che, oltre ad avere la caratteristica che precede siano produttive di reddito illecito il provento c la destinazione, almeno parziale, di tali proventi al soddisfacimento dei bisogni di sostentamento della persona e del suo eventuale nucleo familiare. L’attività contra legem importata da correlato procedimento penale o ricostruita in via autonoma in sede di prevenzione deve pertanto caratterizzarsi in termini di delitto quantomeno ricorrente produttivo di reddito. In ciò la norma non eleva a presupposto di pericolosità generica rilevante la realizzazione di un qualsiasi illecito. Sul punto, se è vero che l’autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale consente in termini generali la valutazione del fatto comunque accertato, quale eventuale sintomo di pericolosità, è pur vero che tale affermazione esige da un lato la effettività di una autonoma valutazione, ma soprattutto va rapportata alla tipologia di pericolosità prevenzionale che si ipotizza sussistente. Il principio della autonoma valutazione di fatti accertati o, comunque, desumibili da decisioni di assoluzione emesse in sede penale si è infatti affermato, quasi in via esclusiva, nel settore della contiguità mafiosa ed in riferimento ad una descrizione della categoria criminologica il soggetto indiziato di appartenenza all’organismo mafioso che tollera, per la sua diversità ontologica dalla prova della condotta partecipativa in senso pieno art. 416 bis , la diversità di apprezzamento, nei due settori dell’ordinamento, delle medesime circostanze di fatto, sia pure nei limiti che si andranno a precisare. Ma nel settore della pericolosità semplice di cui al D.Lgs. numero 159 del 2011, art. 1, ed in particolare per quanto riguarda l’ipotesi della lett. b, molto minore, per non dire assente, è la possibilità di porre in essere, sul piano interpretativo ed in rapporto alla mediata osservanza del principio di tassatività prima descritta, una simile operazione. La norma di riferimento, come si è detto, impone di constatare la ricorrente commissione di un delitto attività delittuose produttivo di reddito. Se la realizzazione del delitto è esclusa in sede penale e ciò sia in rapporto all’elemento materiale che a quello psicologico, non potendosi certo sostenere una sopravvivenza del disvalore di un delitto in assenza di dolo manca uno dei presupposti su cui lo stesso legislatore articola la costruzione della fattispecie. Di ciò il giudice della prevenzione ha l’obbligo di tener conto, pena la violazione del principio di tassatività e di quello, ancor più generale, di unitarietà dell’ordinamento e di non contraddizione in termini generali, nel settore delle impugnazioni, si veda Sez. VI, numero 624 del 14.2.1997, rv 208003 . L’unica ipotesi a ben vedere di possibile valutazione autonoma dei fatti accertati in sede penale che non abbiano dato luogo a sentenza di condanna, lì dove si discuta dell’inquadramento del soggetto proposto nella categoria di cui al D.Lgs. numero 159 del 2011, art. 1, comma 1, lett. b riguarda le ipotesi di proscioglimento per intervenuta prescrizione limite esterno alla punibilità del fatto , lì dove il fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza nella decisione di proscioglimento o sia comunque ricavabile in via autonoma dagli atti. 3.3 Nella seconda decisione indicata, ric. Oliveri, si è ulteriormente affermato, in riferimento ad un caso di domanda di revoca ex tunc di decisione di prevenzione per successivo giudicato penale favorevole, che non può prescindersi dal fatto che il giudizio di prevenzione specie in riferimento alle elaborazioni più recenti, tese a riconsiderare talune passate ambiguità concettuali in chiave costituzionalmente e convenzionalmente orientata è strutturato come giudizio cognitivo teso a ricostruire, preliminarmente, talune condotte poste in essere dal soggetto attenzionato, in virtù del fatto che la formulazione di un giudizio prognostico rivolto al futuro il giudizio di pericolosità attuale è affrancata da un inaccettabile soggettivismo che contrasterebbe con la natura giurisdizionale del procedimento se ed in quanto trae origine da un previa operazione di tipo ricostruttivo, del tutto analoga a quella che si realizza in sede penale lì dove si ricostruisce il rapporto tra fatto concreto e fattispecie astratta. In particolare, secondo gli arresti univoci di questa Corte antecedenti e successivi alla pronunzia Corte Edu De Tommaso c. Italia, citata dal ricorrente la parte prognostica del giudizio è preceduta e condizionata da una parte ricostruttiva di fatti con strumenti dimostrativi analoghi a quelli utilizzati in sede penale e delle singole condotte tenute dal proposto, sì da determinare la previa iscrizione del soggetto nella categoria normativa tipizzata di cui al D.Lgs. numero 159 del 2011, artt. 1 e 4. Ora, li dove detta ricostruzione preliminare e funzionale alla formulazione della prognosi di pericolosità in prevenzione venga successivamente smentita dagli esiti definitivi di un giudizio penale, è evidente che a venire in rilievo come giù emerso nella linea interpretativa formatasi sulla L. numero 1423 del 1956, art. 7, seguita a partire da Sez. Unumero , numero 18 del 10.12.1997, dep.1998, Pisco è qui il tema del contrasto tra giudicati che rimanda all’istituto della revisione , con tendenziale prevalenza della valutazione realizzata nel contesto dotato di maggiori garanzie di affidabilità della decisione, rappresentato, indubbiamente, dal giudizio penale. Si tratta, in altre parole, del risvolto del tema che già questa Corte ha esaminato trattando i profili delle misure di prevenzione in cognizione, lì dove si è affermato che lì dove le condotte sintomatiche della pericolosità risultino legislativamente caratterizzate nell’ambito di previsioni da ritenersi tipizzanti, come quelle di cui agli artt. 1 e 4 del Cod.Ant. in termini per lo più evocativi di fattispecie penali quali le ricorrenti condotte delittuose da cui il soggetto trae sostegno, i traffici illeciti, l’indizio di appartenenza ad organismo mafioso, l’indizio di commissione di uno o più fatti di reato ricompresi in una norma di rinvio , è evidente che il giudice della misura di prevenzione nel preliminare apprezzamento di tali fatti non può evitare di porsi il problema rappresentato dalla esistenza di una pronunzia giurisdizionale che proprio su quella condotta ingrediente necessario della preliminare iscrizione nella categoria normativa di pericolosità ha espresso una pronunzia in termini di insussistenza o di non attribuibilità del fatto all’individuo di cui si discute si rinvia, sul tema a quanto affermato da Sez. 1,numero 31209 del 2015, ric. Scagliarini, rv 264319/264322, nonché, in epoca successiva, da Sez. V numero 6067 del 6.12.2016, ric. Malara, rv 269026 e da Sez. I, numero 36258 del 2017, ric. Celini ed altri . L’interferenza cognitiva tra i due procedimenti penale e di prevenzione è tema ormai ineiudibile, sia pure nell’ambito di previsioni di legge che realizzino un bilanciamento, imposto dalle particolari caratteristiche del giudizio di prevenzione. Questa è, peraltro, la linea seguita dal legislatore delegato del 2011 D.Lgs. numero 159 in tema di revocazione della confisca art. 28 , istituto che realizza per la prima volta una normativizzazione dei principi affermatisi in giurisprudenza dal 1998 in poi, attraverso la previsione di cui al comma 1, lettera b dell’art. 28, disposizione che facoltizza la proposizione della domanda di revocazione quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca. È bene affermare, sul punto, che la non applicabilità di tale disposizione alle misure esclusivamente personali regolamentate dal solo istituto generale della revoca, ora collocato al D.Lgs. numero 159 del 2011, art. 11 , così come la impossibilità di applicazione del medesimo art. 28 secondo quanto previsto in tema di disciplina transitoria dall’art. 117 del medesimo D.Lgs. numero 159 alle procedure definite con l’applicazione della previgente disciplina, non ne sminuisce il valore sistematico, di orientamento della interpretazione. È evidente infatti, che a fronte della costruzione solo giurisprudenziale di una revocabilità ex tunc della misura di prevenzione per vizio genetico sul modello della revisione v., per tutte, Sez. I numero 21369 del 14.5.2008, rv 240094 , l’esistenza di un modello normativo tipizzato è dato che deve portare l’interprete verso linee il più possibili conformi ai contenuti della normazione sopravvenuta. Con ciò si intende dire che gli aspetti di maggior interesse di tale formalizzazione legislativa, tali da transitare nella interpretazione corrente in linea, peraltro, con considerazioni già presenti nella giurisprudenza formatasi sui contenuti della L. numero 1423 del 1956, art. 7, come la citata Sez. I numero 21369/2008 , sono rappresentati da la netta scissione tra l’ipotesi della sopravvenienza di nuove prove decisive lett. a del comma 1 art. 28 e il particolare caso di contrasto tra giudicati tra esito del giudizio di prevenzione ed esito del giudizio penale lett. b del comma 1 art. 28 , sì da rendere possibile una richiesta di revoca ex tunc della misura di prevenzione anche in presenza dei medesimi elementi istruttori, lì dove siano stati diversamente apprezzati in sede penale la opzione legislativa verso la prevalenza del giudicato favorevole venutosi a determinare in sede penale, lì dove tale giudicato sia interpretabile nel senso di escludere in modo assoluto i presupposti applicativi della misura di prevenzione. Ora, l’assenza di casistica sulla disposizione testè citata in virtù della opzione interpretativa adottata in più arresti relativi al regime transitorio non ha consentito di realizzare affinamenti interpretativi tesi a delimitare il concetto di esclusione in modo assoluto non privo di ambiguità semantica , ma appare evidente che con simile locuzione il legislatore abbia inteso preservare da automatismi sia pure in un ambito di favor verso la revocabilità la tenuta del giudicato di prevenzione, favorendo la costruzione interpretativa di quegli spazi di autonomia del giudice della prevenzione che il provvedimento qui impugnato rivendica, specie in tema di misura di prevenzione applicata per una ipotesi di pericolosità qualificata di cui al D.Lgs. numero 159 del 2011, art. 4, comma 1 lett. a, sulla scia di una costante linea interpretativa pregressa di legittimità si vedano, in particolare Sez. VI, numero 50946 del 18.9.2014, rv 261591 Sez. I, numero 6636 del 7.1.2016, rv 266364 Sez. V, numero 9505 del 17.1.2006, rv 233892 . Ora, ferma restando la riaffermazione di tali, sia pur ridotti, spazi di autonomia, va precisato che il generale principio di non-contraddizione dell’ordinamento, in una con la scelta legislativa di accordare tendenziale preferenza al giudicato penale favorevole ove di merito , impone di costruirne il senso non già in chiave di mera discrezionalità quanto in termini di possibile valorizzazione di dati obiettivi normativi o fattuali che si pongano come congruo fattore di giustificazione al mantenimento della misura di prevenzione pure a fronte di un incidente giudicato penale di assoluzione. In particolare, lì dove la interferenza cognitiva tra i due procedimenti di prevenzione e penale vada a cadere su un ingredente essenziale della parte ricostruttiva del giudizio di prevenzione, è da escludersi che possa farsi leva su tale spazio di autonomia per giustificare, in sede di esame della domanda di revoca, il mantenimento in essere del provvedimento applicativo della misura di prevenzione. Ciò perché, come si è detto in precedenza, il recupero di tassatività descrittiva delle categorie tipiche di pericolosità è stato realizzato negli arresti prima citati specie sul fronte della cd. pericolosità generica proprio attraverso la valorizzazione della correlazione con uno o più delitti ritenuti come realizzati dal soggetto proposto sicché, lì dove la valutazione del giudice della prevenzione sia,sìti smentita dal giudice della cognizione penale, viene meno uno dei presupposti tipici cui era ancorata la misura di prevenzione . Risulta, per converso, possibile realizzare un simile effetto – di mantenimento della misura lì dove il segmento fattuale azzerato dal diverso esito del giudizio penale si inserisca come ingrediente fattuale solo concorrente e minusvalente rispetto ad altri episodi storici rimasti confermati o non presi in esame in sede penale , o dove il giudizio di prevenzione si basi su elementi cognitivi realmente autonomi e diversi rispetto a quelli acquisiti in sede penale, o ancora lì dove la conformazione legislativa del tipo di pericolosità prevenzionale risulti essere realizzata in modo sensibilmente diverso rispetto ai contenuti della disposizione incriminatrice oggetto del giudizio penale è il caso del rapporto che intercorre tra la nozione di appartenenza e quella di partecipazione alla associazione di cui all’art. 416 bis c.p., con le precisazioni che seguiranno . 3.4 Dunque, ragionando in termini sistematici, dai contenuti dei citati arresti che per comodità espositiva sono stati qui riproposti per stralcio emergono una serie di principi di diritto, che il Collegio condivide e fa propri e che possono essere sintetizzati nel modo che segue a nel giudizio cognitivo di prevenzione, l’applicazione delle previsioni di legge di cui all’art. 1, comma 1, lett. a b, Cod. Ant. richiede adeguata motivazione circa la esistenza pregressa delle condotte delittuose commesse dal proposto, aderenti ai contenuti della previsione astratta, declinata quest’ultima in termini tassativi, trattandosi della base logica e normativa del giudizio di pericolosità soggettiva b il giudice della misura di prevenzione può fare riferimento, in tale parte della motivazione, a provvedimenti emessi in sede penale che abbiano affermato anche in via provvisoria la ricorrenza dei delitti in questione, esprimendo argomentata condivisione e confrontandosi pena l’apparenza di motivazione con gli argomenti contrari introdotti dalla difesa c il giudice della misura di prevenzione può ricostruire in via totalmente autonoma gli episodi storici in questione anche in assenza di procedimento penale correlato in virtù della assenza di pregiudizialità e della possibilità di azione autonoma di prevenzione art. 29 Cod.Ant. d il giudice della misura di prevenzione è tuttavia vincolato a recepire l’eventuale esito assolutorio non dipendente dall’applicazione di cause estintive sul fatto posto a base del giudizio di pericolosità prodottosi nel correlato giudizio penale art. 28 Cod.Ant. con le sole eccezioni che seguono 1 il segmento fattuale oggetto dell’esito assolutorio del giudizio penale si pone come ingrediente fattuale solo concorrente e minusvalente rispetto ad altri episodi storici rimasti confermati o non presi in esame in sede penale 2 il giudizio di prevenzione si basa su elementi cognitivi autonomi e diversi rispetto a quelli acquisiti in sede penale 3 la conformazione legislativa del tipo di pericolosità prevenzionale è descritta in modo sensibilmente diverso rispetto ai contenuti della disposizione incriminatrice oggetto del giudizio penale ipotesi di pericolosità qualificata . 3.5 Inoltre, circa il margine di discrezionalità valutativa di cui è titolare il giudice della misura di prevenzione rispetto agli esiti del giudizio penale in tema di pericolosità qualificata, va anche detto che la diversità tra la nozione di appartenenza alla associazione di cui all’art. 416 bis c.p. attuale D.Lgs. numero 159 del 2011, art. 4, comma 1, lett. a e quella di partecipazione chiunque fa parte di contenuta nella disposizione incriminatrice di cui all’art. 416 bis c.p. è stata di recente ridimensionata dai contenuti dell’arresto rappresentato da Sez. Unumero 2018, ric. Gattuso, lì dove si è affermato che il concetto di appartenenza ad una associazione mafiosa, rilevante per l’applicazione delle misure di prevenzione, comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla partecipazione , si sostanzia in un’azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale. In ciò risulta superato l’orientamento giurisprudenziale teso, per converso, a valorizzare, a fini di inquadramento nella categoria tipica di prevenzione, forme di vicinanza meramente ideologica o espressive di cultura comune. È stata affermata, dunque, come preferibile l’opzione interpretativa che consente di ricomprendere nella nozione di appartenenza tanto le condotte indicative della vera e propria partecipazione che quelle di supporto causale del non-associato, rientranti sul versante penale nell’area del concorso esterno v. Sez. VI numero 17229 del 2009 Sez. I numero 16783 del 2010 o comunque idonee ad apportare un contributo fattivò alle attività e allo sviluppo del sodalizio criminoso v. Sez. VI, numero 3941 del 8.1.2016, ric. Gaglianò, per cui il concetto di appartenenza ad una associazione mafiosa, rilevante per l’applicazione delle misure di prevenzione, richiede l’apprezzamento di una situazione di contiguità all’associazione stessa che risulti funzionale agli interessi della struttura criminale . Da ciò deriva, tornando al tema della autonomia valutativa che il giudice della prevenzione non può realizzare, in aderenza ai presupposti sin qui descritti derivanti sia dal recupero complessivo di tassatività descrittiva che dalle ricadute ermeneutiche dei contenuti dell’art. 28 Cod.Ant. un arbitrario superamento di una statuizione favorevole al proposto emessa in sede penale lì dove gli elementi indizianti posti a carico siano i medesimi e la decisione intervenuta in sede penale ne abbia qualificato la piena irrilevanza a fini di qualificazione della condotta come funzionale agli scopi associativi , pena la riproposizione di schemi concettuali ormai desueti e abbandonati tanto dal legislatore che dalla prevalente giurisprudenza. 4. Operate tali premesse, risulta evidente l’apparenza motivazionale della decisione adottata nei confronti di C.G. , essendo stati posti in tema di pericolosità qualificata a base dell’inquadramento soggettivo prevenzionale i medesimi elementi che, in sede cautelare penale il giudizio di merito penale non risulta definito , sono stati ritenuti del tutto inidonei a configurare la gravità indiziaria del concorso esterno in associazione mafiosa v. le decisioni emesse da questa Corte ed allegate al ricorso, con particolare riferimento a Sez. I, numero 9795 del 2014,e Sez. VI, numero 47893 del 2013 . In particolare, va ricordato che in sede penale è stata ritenuta assente la gravità indiziaria su un punto essenziale della fattispecie, rappresentato dalla sinallagmaticità del rapporto intrattenuto dai C. con la cosca mafiosa, data l’assenza di dati idonei a configurare il vantaggio per la parte imprenditoriale, con sostanziale qualificazione della condizione dei C. in termini di vittime di un accordo in realtà stipulato dal precedente gestore delle compagini societarie nella persona di S.D. . Ora, tale segmento valutativo, in assenza di incrementi cognitivi non indicati nella decisione impugnata , appare non superabile in sede di prevenzione, data la particolare pregnanza della affermazione emessa in sede penale e la segnalata tendenziale prevalenza della pronunzia penale in punto di qualificazione del fatto. 4.1 Quanto alle valutazioni in tema di pericolosità semplice riguardanti anche la C.F.B. , la decisione impugnata appare ugualmente carente, sia sotto il profilo della assenza di effettiva valutazione degli elementi a discarico specie in tema di assenza di profitto illecito conseguito dai C. che in riferimento al decisivo parametro della attualità della condizione di pericolosità al momento della decisione di primo grado, intervenuta nel 2016 a fronte di condotte ipotizzate come sussistenti sino al 2010. 4.2 Le lacune riscontrate in punto di inquadramento soggettivo della condizione di pericolosità appaiono condizionanti ed assorbenti anche rispetto alle doglianze introdotte al terzo motivo di ricorso , dovendosi qui ribadire che anche in ipotesi di pericolosità da ritenersi temporalmente limitata in sede di giudizio di rinvio ciò imporrebbe di ricostruire in chiave storica il rapporto tra periodo di pericolosità ed incrementi patrimoniali, con attuazione dei principi di diritto espressi nella decisione Sez. Unumero 2014, Spinelli. Va pertanto disposto l’annullamento, per nuovo esame, del provvedimento impugnato, con necessaria osservanza dei principi di diritto espressi ai paragrafi che precedono. La trattazione del procedimento, in sede di rinvio, dovrà avvenire presso la medesima Corte di Appello ma in diversa composizione v. sul punto Sez. Unumero , numero 111 del 2018, ric. Gattuso . P.Q.M. Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Reggio Calabria.