A quali condizioni viene revocata la custodia cautelare in carcere per l’imputato che sia padre di un minore?

La custodia cautelare in carcere, per l’imputato padre di prole non superiore a sei anni, può essere revocata o modificata a condizione che la madre-lavoratrice sia in una situazione di impedimento oggettivo ed assoluto ad assistere i figli, sempre che siano dimostrati gli elementi fattuali idonei e indispensabili a superare la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p

Così la Cassazione con la sentenza n. 20886/19, depositata il 15 maggio. Il caso. Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice cautelare, rigettava l’istanza di revoca o modifica della misura cautelare di custodia in carcere applicata verso l’imputato, escludendo la sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 275, comma 4, c.p.p., dedotti dall’appellante per effetto dell’attività lavorativa svolta dal coniuge, ritenendo che non ricorresse l’ipotesi di impossibilità assoluta della madre a prestare assistenza alla figlia di sei anni, poiché potevano prendersene cura i nonni. Inoltre il Tribunale escludeva che fossero venute meno le esigenze di cautela in relazione ai delitti contestati. Avverso tale decisione propone ricorso il difensore dell’imputato lamentando che fosse inadeguato il supporto educativo ed affettivo fornito dai nonni della minore e che il provvedimento impugnato non avesse specificato le ragioni per cui erano state ritenute perduranti le esigenze di cautela. Sull’impossibilità assolta della madre. In relazione al primo motivo sollevato dal ricorrente, la Corte riprende il principio Cass. pen., n. 18851/18 secondo cui in tema di divieto di custodia cautelare in carcere per l’imputato padre di prole non superiore a sei anni, la condizione di madre-lavoratrice rileva, quale impedimento assoluto ad assistere i figli, a condizione che venga adeguatamente dimostrata l’oggettiva impossibilità per la madre di conciliare le esigenze lavorative con l’assistenza alla prole, nonché di avvalersi dell’ausilio di parenti o altre figure di riferimento, ovvero di strutture pubbliche . Nel caso concreto risulta che è mancata la prova del fatto che i nonni della minore fossero impediti in assoluto a prestare aiuto alla moglie dell’imputato. Inoltre, osservano i Giudici, l’orario lavorativo della madre non configura un’impossibilità assoluta di assistenza e cura della figlia minore. Sull’idoneità della custodia cautelare in carcere. Relativamente al secondo motivo sollevato dal ricorrente, la Corte rileva che la natura e il contenuto delle imputazioni che gravano sul ricorrente, in ragione delle quali è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere, comporta che operi la presunzione della pericolosità sociale ex. art. 275, comma 3, c.p.p., posto che tale misura è stata applicata in riferimento ai reati di cui agli art 378 e 390 c.p. ma anche per l’incolpazione provvisoria per il delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso. Il Tribunale, dunque, ha correttamente escluso che fossero stati allegati elementi fattuali idonei e indispensabili per superare quella presunzione dell’art. 275 c.p.p., poiché non era stato dimostrato adeguatamente che l’imputato avesse stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa. Alla luce di ciò, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 marzo – 15 maggio 2019, n. 20886 Presidente Cammino – Relatore Di Paola Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’appello cautelare, con ordinanza in data 4/12/2018, rigettava l’istanza di revoca o modifica della misura cautelare della custodia in carcere applicata nei confronti di G.D. , imputato dei reati di cui all’art. 416 bis c.p., artt. 378 e 390, aggravati questi ultimi ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7. Il Tribunale escludeva la sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 275 c.p.p., comma 4, dedotti dall’appellante per effetto dell’attività lavorativa svolta dal coniuge, ritenendo che non ricorresse l’ipotesi in cui la madre è impossibilitata in assoluto a prestare assistenza al figlio minore escludeva che fossero venute meno le esigenze di cautela, in relazione ai delitti contestati, in ragione della perdurante presunzione di adeguatezza della misura ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3. 2.1. Ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, deducendo con il primo motivo di ricorso, violazione della legge penale, in relazione agli artt. 125 e 275 c.p.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. B e E il Tribunale, con motivazione contraddittoria e illogica, dopo aver riconosciuto l’impedimento assoluto della moglie del G. nel prestare l’assistenza alla figlia minore di sei anni, aveva ritenuto che la presenza dei genitori del ricorrente e della moglie fosse elemento sufficiente a escludere il presupposto normativo della carenza di assistenza della figlia minore, pur risultando le condizioni che impedivano ai nonni della bambina di assicurare un adeguato supporto affettivo e educativo per la compresenza di esigenze di lavoro presso l’azienda agricola condotta dai genitori dell’imputato e per l’età avanzata dei genitori della madre, peraltro a loro volta onerati dell’assistenza al proprio genitore invalido . 2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione della legge penale, in relazione agli artt. 125, 273 e 292 c.p.p., e il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. B e E . Il provvedimento impugnato non aveva specificato le ragioni che dovevano indurre a ritenere perduranti le esigenze di cautela, attesa la risalenza degli addebiti commessi sino al 2008 pur in presenza della presunzione relativa fissata dall’art. 275 c.p.p., comma 3. Considerato in diritto 1.1 Il ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato, oltre che generico per taluni aspetti. 1.2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché generico nella formulazione. Il Tribunale, con motivazione priva dei denunciati vizi, ha stimato che l’esistenza di parenti prossimi, in entrambe le famiglie di origine della coppia, unitamente all’assenza di specifiche dimostrazioni dell’impossibilità di costoro di fornire assistenza alla madre per i periodi di svolgimento dell’attività lavorativa, così come la non valutata possibilità di ottenere prestazioni di assistenza da parte di persone estranee al nucleo familiare, dovessero condurre ad escludere che lo svolgimento dell’attività lavorativa da parte del coniuge del G. , per fasce orarie delimitate nel tempo dell’intera giornata, integrasse la nozione di assoluta impossibilità nel dare assistenza alla figlia minore. La decisione è in sintonia con gli insegnamenti di legittimità, a mente dei quali in tema - di divieto di custodia cautelare in carcere per l’imputato padre di prole non superiore ai sei anni, la condizione di madre-lavoratrice rileva, quale impedimento assoluto ad assistere i figli, a condizione che venga adeguatamente dimostrata l’oggettiva impossibilità per la madre di conciliare le esigenze lavorative con l’assistenza alla prole, nonché di avvalersi dell’ausilio di parenti od altre figure di riferimento, ovvero di strutture pubbliche in questi termini, da ultimo, Sez. 6, n. 18851 del 06/03/2018, Gioffrè, Rv. 273382 nello stesso senso Sez. 1, n. 36344 del 23/07/2015, Casesa, Rv. 264540 . Come evidenziato, il provvedimento impugnato ha dato conto della mancata prova che i genitori del G. fossero impediti in assoluto dal prestare aiuto alla nuora, non essendo stato allegato e provato che la conduzione dell’azienda agricola di famiglia fosse attività di esclusiva pertinenza dei nonni della bambina, non delegabile ad altri soggetti e di tale impegno da impedire di assicurare la propria collaborazione nell’assistenza alla minore. Per altro verso, alla luce dell’orario di lavoro della madre e dell’assenza nella fascia mattutina per la settimana lavorativa, con soli due pomeriggi in cui era previsto lo svolgimento di attività di lavoro, non può correttamente definirsi come assoluta l’impossibilità per la madre di prestare la necessaria assistenza alla figlia minore come già affermato da Sez. 5, n. 27000 del 28/05/2009, P., Rv. 244485, secondo la quale l’attività di lavoro svolta dalla madre non costituisce di per sé ostacolo tale da impedirle di attendere alla cura del minore, anche con l’eventuale aiuto di familiari disponibili o con il ricorso a strutture pubbliche abilitate, poiché il solo impegno lavorativo di 39 ore settimanali della madre non integra un impedimento assoluto alla assistenza alla prole, trattandosi di situazione comune alla maggioranza delle situazioni familiari . Nè va dimenticato che, rispetto alle valutazioni in fatto condotte dal Giudice di merito in ordine alle caratteristiche dell’attività lavorativa svolta, e alle opportunità di individuare familiari d altri soggetti in grado di sostituire temporaneamente il genitore nella cura ed assistenza del minore, ove sostenute da motivazione idonea e pertinente, non vi è spazio per il sindacato di legittimità Sez. 5, n. 38067 del 05/04/2006, Greco, Rv. 235757 . 1.3. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile. La natura e il contenuto delle imputazioni che gravano sul ricorrente, e in ragione delle quali è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere, comportano l’operatività della presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. Infatti, l’attuale misura è stata applicata non solo in riferimento ai reati di cui agli artt. 378 e 390 c.p., fatti commessi nell’anno 2008, ma anche in relazione all’incolpazione provvisoria per il delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso ex art. 416 bis c.p., contestata come permanente alla data della richiesta del P.m La prospettazione del ricorrente, dunque, risulta parziale e rende inconsistente il profilo dell’accertamento dell’attualità delle esigenze, poiché non corrisponde alla realtà processuale la deduzione formulata secondo la quale l’indagato sarebbe raggiunto esclusivamente da contestazioni relative a fatti risalenti nel tempo. Pertanto, operando il sistema delle presunzioni fissato dall’art. 275 c.p.p., comma 3, correttamente il Tribunale ha escluso che fossero stati allegati elementi fattuali idonei e indispensabili per superare quella presunzione, come ribadito ancora di recente dalla giurisprudenza di legittimità In tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato del reato di associazione mafiosa, la presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, come novellato dalla L. n. 47 del 2015, può essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice presenti agli atti o addotti dalla parte interessata emerga che l’associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa, sicché, in assenza di elementi a favore, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze cautelari Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M, Rv. 274180 . 2. All’inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. 3. Copia del presente provvedimento deve essere trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario, affinché provveda a quanto previsto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.