Ancora sull’istanza di rinvio dell’udienza trasmessa a mezzo PEC

Posto che anche alle parti private è consentito utilizzare strumenti di comunicazione attualmente nella disponibilità dell’Autorità giudiziaria, occorre tuttavia precisare che in tal caso è ravvisabile a carico dell’interessato un maggiore onere di diligenza nel verificare l’effettività dell’inoltro delle istanze di rinvio tramite canali diversi .

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20460/19, depositata il 13 maggio. La vicenda. La Corte d’Appello di Messina confermava la pronuncia di prime cure condannando due imputati, previa sospensione condizionale della pena, per il reato di furto pluriaggravato. La Corte di Cassazione, adita dal Procuratore Generale, annullava con rinvio la pronuncia. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, decidendo in sede di rinvio, confermava l’originaria sentenza di primo grado. Gli imputati tornano dunque in Cassazione. Istanza a mezzo PEC. Tra le diverse censure proposte, uno dei ricorrenti lamenta che la Corte territoriale avesse indebitamente rigettato l’istanza di differimento dell’udienza perché trasmessa a mezzo PEC. Sul punto, gli Ermellini sottolineano che l’istanza di rinvio trasmessa a mezzo PEC dal difensore di fiducia non era stata esaminata perché materialmente introdotta nel fascicolo processuale solo dopo la sua definizione. Fermo restando che la mancata valutazione dell’istanza difensiva di rinvio dell’udienza può determinare l’assenza di assistenza dell’imputato che ha invece diritto di essere rappresentato e difeso dal suo avvocato, con conseguente nullità assoluta della sentenza, precisa la sentenza in oggetto che tale principio generale può valere solo per le istanze di rinvio tempestivamente e ritualmente depositate in cancelleria. La giurisprudenza ha ammesso l’invio dell’istanza tramite telefax e successivamente anche tramite PEC, precisando che il giudice che ne sia portato tempestivamente a conoscenza deve valutarle a pena di nullità assoluta per violazione del diritto di difesa. Tuttavia, in ragione della scelta effettuata dalla parte, che esula dalla previsione di cui all’art. 121 c.p.p., incombe su essa il rischio della mancata tempestiva trasmissione dell’istanza al giudice competente. L’omessa valutazione può comunque essere dedotta con ricorso di legittimità previa verifica, mediante un sostituto processuale, un addetto allo studio o anche solo un contatto telefonico, che l’istanza sia effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice competente e a lui resa nota. In conclusione, posto che anche alle parti private è consentito utilizzare strumenti di comunicazione attualmente nella disponibilità dell’Autorità giudiziaria, occorre tuttavia precisare che in tal caso è ravvisabile a carico dell’interessato un maggiore onere di diligenza nel verificare l’effettività dell’inoltro delle istanze di rinvio tramite canali diversi . Nel caso di specie, tale parametro di diligenza non risulta rispettato posto che l’istanza di rinvio è stata portata a conoscenza del giudice dolo la definizione del processo senza che la parte interessata abbia eccepito nulla in tal senso. L’infondatezza delle ulteriori censure proposte, porta la Corte di Cassazione alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 gennaio – 13 maggio 2019, n. 20460 Presidente Rosi – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16 settembre 2011, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del 7 gennaio 2011, con cui il Tribunale di Messina aveva condannato A.A. e M.J. alla pena di anni 2 di reclusione ed Euro 300 di multa ciascuno, in ordine al reato di furto pluriaggravato, concedeva agli imputati la sospensione condizionale della pena, confermando nel resto la pronuncia di primo grado. La Quarta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 2 aprile 2014, in accoglimento del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Messina, annullava con rinvio la sentenza della Corte di appello siciliana, limitatamente alla concessione della sospensione condizionale della pena. Decidendo in sede di rinvio, la Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza del 6 febbraio 2018, confermava la sentenza di condanna del Tribunale di Messina del 7 gennaio 2011, anche nella parte in cui non era stata riconosciuta nei confronti degli imputati la sospensione condizionale della pena. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello reggina, A. e M. , tramite i rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione. 2.1 M.J. ha sollevato due motivi. Con il primo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 148 c.p.p., comma 2 bis, art. 178 c.p.p., lett. C, e art. 430 ter c.p.p., osservando che la Corte di appello aveva indebitamente rigettato l’istanza di differimento della difesa, nel presupposto che fosse irricevibile perché trasmessa a mezzo p.e.c., senza considerare che l’istanza, una volta pervenuta, andava comunque valutata, come peraltro era accaduto rispetto all’invio di precedenti istanze, anch’esse trasmesse a mezzo p.e.c., non assumendo rilievo il mezzo con cui la richiesta viene inoltrata. Con il secondo motivo, infine, viene lamentata la violazione dell’art. 163 c.p., dolendosi la difesa della mancata concessione della sospensione condizionale della pena, non potendosi ritenere ostativa alla formulazione del giudizio prognostico favorevole sui futuri comportamenti dell’imputato la pendenza di un procedimento penale per fatti risalenti a epoca anteriore a quelli di causa, a fronte di un comportamento del tutto lineare nel periodo successivo. 2.2 A.A. ha sollevato tre motivi. Con il primo, eccepisce la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 546 c.p.p., evidenziando che la sentenza impugnata doveva ritenersi priva di motivazione, in quanto la Corte territoriale si era limitata a confermare la decisione di primo grado, senza dare conto delle specifiche censure difensive. Con il secondo motivo, il ricorrente contesta la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, rilevando che A. , essendo incensurato, non poteva essere ritenuto dedito alla commissione di delitti contro il patrimonio, come ritenuto dai giudici di appello all’esito di una valutazione erronea e parziale, sia delle modalità del fatto che dei suoi carichi pendenti. Con il terzo motivo, infine, viene dedotta la violazione dell’art. 164 c.p., comma 2, n. 1, osservandosi che allo stato A. è incensurato, per cui non vi erano ragioni ostative alla concessione della sospensione condizionale della pena. Considerato in diritto I ricorsi sono inammissibili perché manifestamente infondati. 1. Iniziando dal primo motivo del ricorso di M. , occorre premettere che è la stessa sentenza impugnata a dare atto, in motivazione, che, dopo la trattazione e la decisione del processo, la cancelleria aveva allegato al verbale di udienza un’istanza di rinvio trasmessa via p.e.c. dal difensore di fiducia di M. , che dunque non è stata esaminata, in quanto materialmente introdotta nel fascicolo processuale il dato è pacifico solo dopo la sua definizione. Orbene, l’omessa considerazione da parte della Corte di appello della richiesta di rinvio trasmessa via p.e.c. dal difensore non appare censurabile in questa sede. Se infatti deve ribadirsi che la mancata valutazione dell’istanza difensiva di rinvio dell’udienza è suscettibile di determinare il difetto di assistenza dell’imputato, che ha diritto di essere rappresentato e difeso dal professionista di sua fiducia e da lui scelto, con conseguente nullità assoluta degli atti e della sentenza conclusiva del giudizio ai sensi dell’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c e art. 179 c.p.p., comma 1, cfr. ex multis Cass., Sez. 6, n. 47213 del 18/11/2015, Rv. 265483 , occorre tuttavia precisare che tale principio generale vale per le istanze di rinvio che siano state ritualmente e tempestivamente depositate in cancelleria, mentre il discorso è diverso laddove siano scelte differenti modalità di inoltro. Il problema si è posto in particolare per le richieste di differimento inoltrate via telefax o, più di recente, per quelle inviate tramite posta elettronica certificata. Sul punto deve osservarsi che un indirizzo più rigoroso ha escluso l’ammissibilità dell’invio a mezzo fax dell’istanza di rinvio, in base al rilievo secondo cui l’art. 121 c.p.p., individua nel deposito in cancelleria l’unica modalità per le parti di presentazione delle memorie e delle richieste rivolte al giudice, mentre il ricorso al telefax è riservato ai funzionari di cancelleria ai sensi dell’art. 150 c.p.p. cfr. Sez. 5, n. 46954 del 14/10/2009, Rv. 245397 Sez. 6, n. 28244 del 30/01/2013, Rv. 256894 e Sez. 3, n. 7058 dell’11/02/2014, Rv. 258443 espressasi in ordine all’invio di istanze tramite posta elettronica certificata . Viceversa, un diverso e più liberale indirizzo interpretativo, recepito anche dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 40187 del 27/3/2014, Rv. 259928, ritiene che è viziata da nullità assoluta, insanabile e rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, la sentenza emessa senza che il giudice si sia pronunciato sull’istanza di rinvio per legittimo impedimento a comparire, trasmessa via fax, dovendosi riconoscere alla parte privata la possibilità di avvalersi di tale modalità di trasmissione in ragione dell’evoluzione del sistema di comunicazioni e di notifiche e della formulazione letterale dell’art. 420 ter c.p.p., comma 5, che pretende soltanto che l’impedimento sia prontamente comunicato al giudice senza dettare specifiche formalità, richiedendosi unicamente che la trasmissione sia fatta ad un numero di fax della cancelleria del giudice procedente Sez. 3, n. 10637 del 20/01/2010, Rv. 246338 e Sez. 5, n. 535 del 24/10/2016, Rv. 268943, secondo cui l’invio a mezzo telefax della richiesta di rinvio per legittimo impedimento non comporta l’onere per la parte di accertarsi del regolare arrivo del fax e del suo tempestivo inoltro al giudice procedente, essendo al fine sufficiente dimostrare che il giudice sia stato messo nella condizione di conoscere tempestivamente dell’esistenza dell’istanza . Tra queste due opzioni ermeneutiche si colloca un indirizzo intermedio, secondo cui l’invio tramite fax ma ciò vale anche per la p.e.c. dell’istanza di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento non è inammissibile o irricevibile, ma la sua mancata delibazione, quando il giudice non ne sia venuto a conoscenza, non comporta alcuna violazione del diritto di difesa e quindi alcuna nullità, in quanto la scelta di un mezzo tecnico non autorizzato per il deposito espone il difensore al rischio dell’intempestività con cui l’atto stesso può pervenire a conoscenza del destinatario, e in ogni caso la parte che si avvale di tale mezzo di trasmissione ha l’onere di accertarsi del regolare arrivo del fax o della p.e.c. e del suo tempestivo inoltro al giudice procedente Sez. 2, n. 9030 del 05/11/2013, Rv. 258526 Sez. 5, n. 7706 del 16/10/2014, Rv. 262835, Sez. 2, n. 24515 del 22/05/2015, Rv. 264361 e Sez. 3, n. 37859 del 18/6/2015, Rv. 265162 . Quest’ultima posizione è stata recentemente ripresa e sviluppata dalla sentenza della Sez. 1, n. 1904 del 16/11/2017, Rv. 272049, che, oltre a ribadire l’ammissibilità in linea generale della trasmissione a mezzo telefax di istanze della parte privata, compresa quella che segnala un legittimo impedimento del difensore per improvvise ragioni di salute, e la conseguente doverosità per il giudice che ne sia portato tempestivamente a conoscenza di valutarle, a pena di nullità assoluta per violazione del diritto di difesa, ha tuttavia precisato che, in ragione della scelta effettuata dalla parte, che comunque non rispetta la previsione dell’art. 121 c.p.p., incombe sulla parte istante il rischio della mancata tempestiva trasmissione dell’istanza al giudice competente a valutarla. È stato conseguentemente precisato che la riconosciuta possibilità di dedurre in sede d’impugnazione l’omessa valutazione della richiesta di rinvio onera la parte di verificare, mediante un sostituto processuale, un addetto allo studio, oppure un’interlocuzione telefonica con la cancelleria interessata, che l’istanza trasmessa a mezzo fax sia effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice competente a valutarla e sia stata tempestivamente resa nota. A tale impostazione, idonea a contemperare le contrapposte esigenze valorizzate dagli indirizzi interpretativi prima illustrati, il Collegio ritiene di aderire, osservando che i principi affermati dalla sentenza n. 1904 del 16/11/2017, Rv. 272049, possono senz’altro riferirsi anche ai casi in cui l’istanza sia trasmessa a mezzo p.e.c., dovendosi ritenere in tal caso la richiesta ricevibile, incombendo tuttavia sulla parte privata l’onere di assicurarsi che la stessa sia stata portata in tempo utile all’attenzione del giudice, trattandosi di una modalità di inoltro diversa da quella codicistica costituita dal deposito dell’atto in cancelleria. Se dunque anche alle parti private deve ritenersi consentito utilizzare gli strumenti di comunicazione nell’attuale disponibilità dell’Autorità giudiziaria, occorre tuttavia precisare che in tal caso è ravvisabile a carico dell’interessato un maggiore onere di diligenza nel verificare l’effettività dell’inoltro delle istanze di rinvio tramite canali diversi da quello di cui all’art. 121 c.p.p., non potendo la parte dolersi di eventuali disguidi organizzativi, rispetto ai quali non vi sia stata alcuna adeguata e tempestiva attivazione da parte dell’interessato. 2. Alla luce di tale premessa, la doglianza difensiva risulta manifestamente infondata, essendo stata l’istanza di rinvio del difensore portata a conoscenza della Corte territoriale solo dopo la definizione del processo, senza che la parte interessata abbia dato prova di essersi attivata in tempo utile al fine di assicurarsi che la richiesta inviata a mezzo p.e.c., fosse posta all’attenzione della Corte di appello, per cui non può affermarsi che il difensore abbia assolto al proprio onere di diligenza, che scaturiva dall’aver scelto per l’invio dell’istanza di differimento una modalità diversa da quella ordinaria fissata dal legislatore. 3. Il secondo motivo del ricorso di M. può essere trattato insieme ai tre motivi del ricorso di A. , in quanto tali doglianze, in termini tra loro sovrapponibili, censurano il diniego da parte della Corte territoriale della sospensione condizionale della pena nei confronti di entrambi i ricorrenti. Al riguardo, tuttavia, deve escludersi che la sentenza impugnata presenti vizi di legittimità rilevabili in questa sede, avendo i giudici di appello valorizzato in senso ostativo, come aveva già fatto il Tribunale, le caratteristiche dell’azione delittuosa, in quanto rivelatrici di una allarmante professionalità delinquenziale degli imputati, i quali, nel compiere il furto di vari monili d’oro nella gioielleria di Ar.Gi. , avevano predisposto un articolato piano delittuoso, con il coinvolgimento di più persone e con l’utilizzo di diversi accorgimenti logistici. A ciò è stato aggiunto il rilievo della negativa personalità dei ricorrenti, desunto, quanto a M. , dall’esistenza di una precedente condanna, definitiva il primo ottobre 2000, relativa sempre al reato di furto, oltre che dalla presenza di un carico pendente per i reati di cui agli artt. 110, 624 e 625 c.p. in ordine alla posizione di A. , la Corte di appello ha richiamato invece 4 carichi pendenti per reati contro il patrimonio, risalenti a epoca successiva ai fatti di causa. Tali elementi sono stati ragionevolmente posti a fondamento della mancata concessione della sospensione condizionale della pena, dovendosi al riguardo richiamare la costante e condivisa affermazione di questa Corte cfr. Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, Rv. 272087 , secondo cui, nella valutazione sulla concedibilità della sospensione condizionale della pena, il giudice di merito non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’art. 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti. Ribadito che la valutazione operata dalla Corte di appello ha riguardato sia le modalità del fatto, obbiettivamente sintomatiche di una non trascurabile propensione a delinquere, sia la personalità degli imputati, deve ritenersi in quest’ottica non illegittimo il riferimento della sentenza impugnata ai carichi pendenti, posto che, come già precisato da questa Corte cfr. Sez. 2, n. 18189 del 05/05/2010, Rv. 247469 , la prognosi non favorevole alla concessione della sospensione condizionale della pena può fondarsi anche sui precedenti di polizia, poiché nessuna disposizione ne prevede l’inutilizzabilità, ed anzi la L. n. 121 del 1981, art. 9, prevede espressamente la possibilità di accesso dell’Autorità Giudiziaria ad essi, ai fini degli accertamenti necessari per i procedimenti in corso e nei limiti stabiliti dal codice di procedura penale , mentre va osservato che lo status di incensurato, come non è dirimente ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, allo stesso modo non è l’unico elemento decisivo ai fini del giudizio prognostico imposto dall’art. 164 c.p., e ciò tanto più laddove, come avvenuto nel caso di specie, la pena irrogata sia coincidente o comunque prossima ai limiti di pena indicati dall’art. 163 c.p In definitiva, la motivazione della sentenza impugnata, in quanto aderente alle risultanze probatorie acquisite e in linea con le coordinate interpretative prima richiamate, resiste ampiamente alle censure difensive, che invero, oltre che assertive, risultano generiche, dovendosi altresì escludere che la Corte di appello si sia limitata a richiamare in maniera acritica la decisione impugnata, avendone al contrario sviluppato le argomentazioni con considerazioni pertinenti e non illogiche, con le quali i due ricorsi non si confrontano adeguatamente. 4. Stante la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, i ricorsi devono essere dichiarati quindi inammissibili, con conseguente onere per ciascun ricorrente, ex art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.