Nessun contrasto con la Costituzione, la CEDU e la normativa euro-unitaria

Il sistema delle misure di prevenzione personali e patrimoniali è conforme ai principi costituzionali, alla Convenzione EDU e alla legislazione comunitaria.

Nell’affermare tale principio di diritto, la Suprema Corte sentenza n. 20239/19, depositata il 10 maggio ha tracciato un quadro giurisprudenziale e normativo, interno e di derivazione sovrannazionale, di compatibilità del sistema delle misure di prevenzione, chiudendo le porte all’introduzione di un nuovo strumento di revisione, invocato dal ricorrente, che si poggiava sull’art. 4 del Protocollo 7 della Cedu che conferisce al condannato in ogni tempo il diritto alla revisione della sentenza di condanna che risulta inficiata, anche a seguito delle nuove emergenze, da un vizio grave della procedura. La tesi difensiva. Per il ricorrente – sottoposto alla misura di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno e alla confisca della ditta individuale – non occorreva, a differenza del dato normativo interno, allegare prove nuove o sopravvenute rispetto al decreto del quale era stata richiesta la revoca in quanto, diversamente dalla revisione penale ex art. 630 c.p.p. teso a emendare l’errore sul fatto su cui si fonda la sentenza di condanna , lo strumento dell’art. 4 del Protocollo 7 della Cedu è legato all’error in procedendo che ha originato il provvedimento di prevenzione e che prescinde dall’emersione di una prova nuova, ma che è teso solo alla restitutio ad integrum . Una sorta di clausola di chiusura dell’ordinamento per ripristino della legalità non solo formale ma anche sostanziale. Sistema della prevenzione privo di base legale. Il ricorrente concludeva che poiché il sistema delle misure di prevenzione è affetto da un deficit di tassatività, in violazione del principio di legalità costituzionale e convenzionale, il decreto a carico del ricorrente si pone in contrasto con gli artt. 25 Cost. e 7 CEDU in assenza di una chiara base legale e in mancanza di un giudizio di attuale pericolosità in considerazione della sentenza assolutoria per il delitto di associazione a delinquere di cui all’art. 416- bis c.p. in violazione dei principi del giusto processo e della presunzione di innocenza . Costituzionalità delle misure di prevenzione. La Suprema Corte ribadisce che in più occasioni la Consulta ha sempre respinto questioni attinenti alla costituzionalità intrinseca del sistema delle misure di prevenzione, in quanto queste ultime sono espressione di un bilanciamento di contrapposti interessi di matrice costituzionale da un lato il sacrificio della libertà personale e patrimoniale, dall’altro la tutela della sicurezza pubblica e della proprietà artt. 41 e 42 Cost. . Per assicurare un corretto bilanciamento – proseguono gli ermellini – si è registrato un notevole sforzo interpretativo, da parte del giudice, volto ad ancorare le misure di prevenzione a fatti certi e non sospetti”, come invece riteneva una datata giurisprudenza. Eliminare le formule indeterminate. Sulla stessa linea ermeneutica, il filo conduttore è stato sempre quello di espungere dall’ordinamento quelle formule vaghe e indeterminate a connotare la disciplina di prevenzione. Da ultimo la Corte costituzionale, sulla scia della sentenza De Tommaso della Corte EDU, ha dichiarato l’incostituzionalità delle norme che prevedevano l’applicazione delle prevenzioni personali e patrimoniali nei casi di pericolosità c.d. generica sentenza n. 24/2019 e la norma incriminatrice descritta dall’art. 75, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 159 del 2011, che sanzionava penalmente il delitto o la contravvenzione di violazione delle prescrizioni di vivere onestamente” e di rispettare le leggi” n. 25/2019 . Così come nella sentenza De Tommaso, la Corte EDU cassò il ragionamento del tribunale che aveva fondato il giudizio anche sulle tendenze criminali” del prevenuto, criterio di per sé indeterminato. La pericolosità deve essere attuale”. Tutto ciò però non significa che il sistema di prevenzione è incostituzionale, ma soltanto che deve fondarsi su un giudizio di pericolosità poggiante su elementi certi che possono anche ricavarsi anche da una sentenza di assoluzione stante l’autonomia del giudizio penale da quello di prevenzione . E che sia necessario accertare il requisito della ‘attualità’ della pericolosità del preposto Sez. Unite, n. 111 del 2018, Gattuso . Niente inversione dell’onere della prova per le misure patrimoniali. Passando al giudizio sulle misure patrimoniali, la Seconda sezione di legittimità ricorda che esso non si basa su un’inversione dell’onere della prova, restando a carico dell’accusa la prova della sproporzione, gravando sul preposto solo un onere si allegazione diretto a sminuire o elidere l’efficacia probatoria degli elementi indizianti offerti dall’accusa. Quindi, la legge richiede che sussistono concreti e validi indizi della provenienza illecita dei beni, anche sotto l’aspetto del reimpiego di illeciti guadagni. Soltanto in presenza di tali indizi, che il giudice è tenuto ad accertare, è consentita la confisca, sempre che l’interessato non dimostri la legittima provenienza dei beni. Compatibilità convenzionale delle misure di prevenzione Il sistema delle misure di prevenzione ha superato il vaglio della Convenzione Edu avendo in più occasioni la Corte di Strasburgo 1 con riferimento al fondamento, ribadito che le suddette misure siano volte ad impedire il compimento di atti criminali sentenza Labita, 6.4.2000 , mirando soprattutto le misure ablative a togliere forza economica alle organizzazioni criminali 2 non possono essere equiparate ad uno pena, e non soggiacciono quindi allo statuto del principio di legalità penale decisione del 15.6.1999 sul caso Prisco 3 che le stesse hanno una base legale, soggetta ad ampio margine di manovra da parte da parte del legislatore, proprio perché i guadagni smisurati che i sodalizi criminali ricavano dalle loro attività illecite danno un potere la cui esistenza mette in discussione la supremazia del diritto nello Stato pronuncia del 5.7.2001, Arcuri 4 ha ritenuto legittimo il sistema delle presunzioni sentenza Bongiorno del 6.7.2011 . e con la normativa euro-unitaria. I giudici di legittimità ricordano che anche dalla legislazione comunitaria si ricavano elementi di conferma della legittimità del sistema della prevenzione. Infatti, l’art. 2 della decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio del 24.2.2005 stabilisce che la misura di prevenzione patrimoniale possa essere sganciata da una pronuncia di condanna. Ed anche se la direttiva 2014/42/UE prevede la confisca solo a seguito di condanna, le norme della stessa costituiscono soltanto un mimimum al quale gli Stati membri devono attenersi, restando immutata la facoltà di ricorrere a procedure diverse per confiscare i beni in materia penale” quindi di stabilire casi di confisca senza condanna . Ricorso inammissibile. Applicando tali principi al caso sottoposto alla sua attenzione, la Suprema Corte ritiene che il giudice di merito ha fondato il giudizio di pericolosità su dati probatori certi, e non generici, e che comunque non fossero stati introdotti elementi nuovi e diversi per incrinare il giudizio di pericolosità divenuto irrevocabile. Il tutto ribadendo che il sistema delle misure di prevenzione personali e patrimoniali è conforme ai principi costituzionali, alla Convenzione Edu e alla legislazione comunitaria.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 marzo – 10 maggio 2019, n. 20239 Presidente Cammino – Relatore Rago Ritenuto in fatto 1. Con decreto del 28/09/2018, la Corte di Appello di Palermo confermava il decreto con il quale, in data 29/10/2013, il Tribunale della medesima città aveva dichiarato inammissibile il ricorso con il quale S.S. aveva chiesto la revoca ex tunc del decreto del Tribunale del 29/04/2003 confermato dalla Corte di Appello con decreto del 30/01/2006 divenuto irrevocabile con il quale era stata disposta a la misura di sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno, per la durata di anni tre b la confisca di una ditta individuale riconducibile ad esso ricorrente. Entrambi i giudici di merito rilevavano, infatti, che, con il ricorso non erano state allegate nè prove nuove nè sopravvenute rispetto al decreto del quale era stata chiesta la revoca. 2. Contro il suddetto decreto, il S. , a mezzo dei propri difensori, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione ed errata applicazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b artt. 629 e 630 c.p.p. e della L. n. 1423 del 1956, art. 7, in relazione all’art. 7 della Convenzione EDU e all’art. 4 del Protocollo n. 7 della Cedu . La difesa del ricorrente., ha premesso che la revoca del provvedimento ablativo era stata chiesta sul presupposto della sua inconciliabilità tecnico-giuridica con le statuizioni della sentenza assolutoria emessa nei confronti del ricorrente dal reato di partecipazione all’associazione mafiosa ndr sentenza del 30/09/2002 della Corte di Appello di Palermo , nel cui patrimonio probatorio il decreto applicativo la misura di prevenzione attingeva pedissequamente gli elementi disvelatori della supposta pericolosità sociale. La domanda di revoca veniva così avanzata ai sensi del disposto di cui all’art. 4 del Protocollo 7 della CEDU, che conferisce al condannato, in ogni tempo, il diritto alla revisione della sentenza di condanna che risultdinficiata, anche a seguito di nuove emergenze, da un vizio grave della procedura una sorta di clausola di chiusura dell’ordinamento per ripristino della legalità non solo formale ma anche sostanziale . Sulla base di tale premessa, la difesa ha sostenuto che oggetto di censura è la statuizione della Corte Territoriale laddove sostiene pag. 12 l’impossibilità di prevedere un’ipotesi di revoca della prevenzione in assenza di prove nuove, indipendentemente dall’esistenza di vizio endemico che abbia determinato l’emanazione del provvedimento ablativo in assenza della dovuta base legale A ben guardare, diversamente dall’istituto della revisione penale previsto dall’art. 630 c.p.p. notoriamente teso ad emendare l’errore sul fatto su cui si fonda la sentenza di condanna lo strumento di cui all’art. 4 del Protocollo 7 CEDU è legato all’errore della procedura che ha gemmato il provvedimento ritenuto ingiusto, e pertanto ad esso rimane estranea la condizione della novità probatoria cui invece è agganciato lo strumento della revisione. Di talché la norma convenzionale si presenta come uno strumento teso a garantire il controllo della legalità della decisione giurisdizionale. Orbene, nel caso in esame, la Corte palermitana,, nel legare l’inammissibilità della domanda di revoca alla mancanza della novità probatoria, opera un’indebita sovrapposizione tra l’istituto di cui all’art. 4 che impone la restitutio in integrum della decisione che si fonda sull’errore di diritto e lo strumento di cui all’art. 630 c.p.p. che invece tende ad emendare la decisione che si fondi sull’errore di fatto . Ed infatti, nel confermare il decreto impugnato, la Corte d’Appello di Palermo si è limitata a postulare il noto principio dell’autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale. Diversamente, il meccanismo da cui trae giustificazione la presente domanda di revoca id est art. 4 prot. Add. 7 CEDU prescinde dall’emersione di una prova nuova esso lega la propria operatività esclusivamente alla constatazione di una violazione grave della procedura che ha gemmato il provvedimento giurisdizionale ed è teso alla restitutio in integrum . Alla stregua delle suddette considerazioni, la difesa, quindi invocando sentenze della Corte Cost. n. 11/1956 177/1980 , delle SSUU n. 111/2018, Gattuso e della Cedu De Tommaso c/ Italia ha concluso sostenendo che il sistema delle misure di prevenzione è affetto da un deficit di tassatività e, quindi, in violazione del principio di legalità previsto dall’art. 25 Cost. e art. 7 Cedu. In particolare, nella fattispecie in esame, è stato oggetto di ablazione il patrimonio del S. sia in assenza di una chiara base normativa così violando il principio di legalità sia in mancanza di un giudizio di attuale pericolosità sociale data la presenza di una sentenza assolutoria così violando i principi del giusto processo e segnatamente della presunzione di innocenza . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile essendo la censura dedotta manifestamente infondata. 2. In punto di fatto, va premesso che la difesa del ricorrente non contesta che il ricorso diretto ad ottenere la revoca del decreto del 29/04/2003 divenuto irrevocabile non contenesse elementi di novità come sostenuto da entrambi i giudici di merito. La censura del ricorrente, invece, è di stretto diritto in quanto sostiene che quel decreto avrebbe dovuto essere revocato ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 4 del Protocollo 7 rubricato come Diritto di non essere giudicato o punito due volte e art. 7 della CEDU rubricato come Nulla poena sine lege . Infatti, ad avviso della difesa, il combinato disposto delle suddette norme conferisce al condannato, in ogni tempo, il diritto alla revisione della sentenza di condanna che risulta inficiata, anche a seguito di nuove emergenze, da un vizio grave della procedura , vizi consistenti nell’assenza di una chiara base normativa così violando il principio di legalità sia in mancanza di un giudizio di attuale pericolosità sociale data la presenza di una sentenza assolutoria così violando i principi del giusto processo e segnatamente della presunzione di innocenza . Tale conclusione sarebbe desumibile anche da sentenze della Corte Cost., delle SSUù e della Corte Edu. In altre parole, il ricorrente mette in discussione il fondamento delle misure di prevenzione in quanto ritiene che l’accertamento compiuto in sede penale nella specie assoluzione dal reato di cui all’art. 416-bis c.p. dovrebbe far stato anche nel giudizio di prevenzione che, quindi, non potrebbe avere un esito diverso da quello penale. 3. È ben noto l’annoso dibattito in ordine alla legittimità del sistema di prevenzione proprio a causa delle regole meno garantiste di quelle del processo penale. Si può, tuttavia affermare che il sistema delle misure di prevenzione., ha sempre superato il vaglio di costituzionalità ed è stato ritenuto legittimo dalla stessa CEDU. 3.1. La Corte Cost., tutte le volte che è stata investita di questioni attinenti alla costituzionalità intrinseca del sistema della prevenzione sia personale che patrimoniale , le ha sempre respinte Corte Cost. nn. 11/1956 27/1957 23/1964 368/1964 721/1988 465/1993 487/1995 335/1996 21 e 216 del 2012 e, da ultimo, Corte Cost. nn. 24 e 25/2019. Volendo sintetizzare il contenuto delle suddette pronunce, può affermarsi che la Corte ha sempre ritenuto che il sacrificio dei diritti, costituzionalmente tutelati, di proprietà e di iniziativa economica, ben può essere limitato nell’interesse delle esigenze di sicurezza e dell’utilità generale art. 41 Cost., comma 2 , nonché della funzione sociale della proprietà art. 42 Cost., comma 2 , secondo quelle finalità discrezionalmente riservate al legislatore, che, nel caso di specie, dovendosi individuare in quella di sottrarre i patrimoni accumulati illecitamente alla disponibilità dei soggetti che non possono dimostrarne la legittima provenienza, è certamente meritevole di tutela. Piuttosto, va osservato che, nel tempo, lo sforzo degli interpreti si è gradualmente concentrato nell’effettuare interpretazioni costituzionalmente orientate di quelle singole norme maggiormente sospettate di essere in contrasto con i valori costituzionali. Ci si riferisce, in particolare, a quella giurisprudenza secondo la quale il giudizio di pericolosità deve fondarsi sull’oggettiva valutazione di fatti sintomatici della condotta abituale e del tenore di vita del soggetto accertati in modo da escludere valutazioni meramente soggettive ed incontrollabili da parte dell’autorità proponente quindi, fatti certi Cass. 6613/2008 riv 239358 e non sospetti, così come, invece, riteneva una ormai datata e non più condivisibile giurisprudenza Cass. 487/1990 riv 183673. Sulla stessa linea ermeneutica si sono poste le recenti sentenze della Corte Cost. nn. 24 e 25 del 2019 che, sulla scia della sentenza della Corte Edu De Tommaso, si sono limitate a dichiarare l’incostituzionalità perché in contrasto con il principio costituzionale del carattere di tassatività e, quindi, del principio di legalità da una parte sentenza n. 24 , del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 4, comma 1, lett. c e art. 16 nella parte in cui, rispettivamente, stabiliscono che le misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria nonché le misure di prevenzione del sequestro e della confisca si applicano anche ai soggetti indicati nell’art. 1, lett. a e, dall’altra sentenza n. 25 , l’incostituzionalità dell’art. 75, comma 12 D.Lgs. cit. nella parte in cui prevedono come delitto o reato contravvenzionale l’inosservanza delle prescrizioni di vivere onestamente e di rispettare le leggi . Anche le stesse SSUU, con la sentenza n. 13426/2010 riv 246271, hanno chiarito che è consolidato l’orientamento secondo il quale, nel corso del procedimento di prevenzione, il giudice di merito è legittimato a servirsi di elementi di prova o di tipo indiziario tratti da procedimenti penali, anche se non ancora definiti con sentenza irrevocabile, e, in tale ultimo caso, anche a prescindere dalla natura delle statuizioni terminali in ordine all’accertamento della responsabilità. Sicché, pure l’assoluzione, anche se irrevocabile, dal delitto di cui all’art. 416 bis c.p., non comporta la automatica esclusione della pericolosità sociale, potendosi il relativo scrutinio fondare sia sugli stessi fatti storici in ordine ai quali è stata esclusa la configurabilità di illiceità penale, sia su altri fatti acquisiti o autonomamente desunti nel giudizio di prevenzione. Ciò che rileva, si è osservato, è che il giudizio di pericolosità sia fondato su elementi certi, dai quali possa legittimamente farsi discendere l’affermazione dell’esistenza della pericolosità, sulla base di un ragionamento immune da vizi, fermo restando che gli indizi sulla cui base formulare il giudizio di pericolosità non devono necessariamente avere i caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 192 c.p.p. ex plurimis, Sez. 1, 6 novembre 2008, n. 47764 Sez. 2, 28 maggio 2008, n. 25919 Sez. 1, 13 giugno 2007, n. 27655 Sez. 6, 30 settembre 2005, n. 39953 Sez. 31209/2015, Rv. 264321 Sez. 36258/2017 Sez. 43446/2017. Non è, d’altra parte, invocabile ai fini della soluzione auspicata dalla difesa del ricorrente la sentenza della Corte Edu De Tommaso c. Italia del 23/02/2017. Ed infatti, il caso De Tommaso era relativo ad un procedimento in cui il Tribunale aveva fondato la propria decisione senza attribuire al proposto alcun comportamento specifico o di rilevanza penale, nonché sul fatto che il predetto non aveva una occupazione stabile e lecita e che la sua vita era caratterizzata dalla stabile frequentazione di criminali locali di primo piano e dalla commissione di reati. La Corte Edu rilevò, quindi, che il Tribunale aveva basato il suo ragionamento sull’assunto dell’esistenza di tendenze criminali , criterio di per sé indeterminato che la Corte costituzionale aveva già considerato insufficiente nella sua sentenza n. 177 del 1980 per definire una categoria di soggetti cui potevano essere applicate le misura di prevenzione. Quanto, infine, alle SSUU 111/2018, Gattuso, si osserva che il quesito di diritto su cui era insorto contrasto era il seguente se, nel procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali nei confronti degli indiziati di ‘appartenerè ad una associazione di tipo mafioso, sia necessario accertare il requisito della attualità della pericolosità del proposto . Le SSUU, dopo avere illustrato le varie interpretazioni sostenute dalla giurisprudenza di legittimità, hanno optato per quella secondo la quale nel procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali agli indiziati di appartenere ad un’associazione di tipo mafioso, è necessario accertare il requisito della attualità della pericolosità del proposto. È del tutto evidente che anche la suddetta sentenza non può essere invocata dal ricorrente al fine di sostenere l’originaria e genetica illegittimità del sistema delle misure di prevenzione personali perché il principio di diritto enunciato è relativo ad una singola questione che nulla ha a che vedere con la legittimità delle misure di prevenzioni personali. Di conseguenza, anche la menzionata sentenza non può essere addotta a sostegno della tesi difensiva per la semplice ed assorbente ragione che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il mutamento o il consolidamento di una interpretazione giurisprudenziale non può mai essere invocata, come elemento sopravvenuto favorevole, al fine di ottenere la revisione del giudizio ex plurimis Cass. 19586/2010 Rv. 247513 Cass. 11076/2017 Rv. 269759 . 3.2. Relativamente al giudizio di prevenzione avente ad oggetto misure patrimoniali, va, poi, osservato che il medesimo non si basa su un’inversione dell’onere della prova la prova della sproporzione, infatti, è sempre a carico dell’accusa, gravando sul proposto, una volta che il suddetto onere sia stato assolto, solo un onere di allegazione diretto a sminuire od elidere l’efficacia probatoria degli elementi indizianti offerti dall’accusa. Il legislatore, in altri termini, ha agito con il legittimo meccanismo delle presunzioni, indicando, a titolo esemplificativo, quale possibile indizio, anche unico, della illecita provenienza dei beni, l’incompatibilità tra impiego di capitali ed ammontare dei redditi noti, elemento questo dal quale una volta che sia provato dalla pubblica accusa può ragionevolmente risalirsi a redditi ignoti, frutto, secondo il normale accadimento delle cose, di attività redditizie come sono quelle delle organizzazioni mafiose. Infatti, com’è stato ripetutamente rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte, che continua ad essere attuale anche alla luce del D.Lgs. n. 159 del 2011, in tema di misure di prevenzione di carattere patrimoniale nei confronti di appartenenti ad associazioni mafiose, ai fini dei provvedimenti di sequestro e di confisca di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ter, u.c. articolo introdotto con la L. 13 settembre 1982, n. 646, art. 14 la legge richiede che sussistano concreti e validi indizi della provenienza illecita dei beni, anche sotto l’aspetto di reimpiego di illeciti guadagni, indizi dei quali la stessa legge fa un esempio notevole sperequazione fra il tenore di vita e l’entità dei redditi apparenti o dichiarati , soltanto in presenza di tali indizi, che il giudice di merito è tenuto ad accertare, è consentita la confisca, sempre che l’interessato non dimostri la legittima provenienza dei beni, come dispone la L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 4. In tal modo non è prevista una vera e propria inversione dello onere della prova sulla legittima provenienza dei beni, inversione che, se sussistesse, non si sottrarrebbe a fondati sospetti di illegittimità costituzionale. Invero a carico dell’interessato è posto, sempre che sia accertata l’esistenza di quegli indizi, soltanto un onere di allegazione, che, in effetti, rientra nel suo stesso interesse di sminuire od elidere l’efficacia probatoria degli elementi indizianti offerti dall’accusa Cass. 1286/1986 riv. 172412, Cass. 423/1987 riv 175343 Cass.265/1990 riv 183642 Cass. 368/1996 Rv. 205029 Cass. 35628/2004 Rv. 229725 Cass. 43145/2013 riv. 257609. 3.3. Il sistema delle misure di prevenzione sia personale che patrimoniale , è stato, poi, ritenuto legittimo, ripetutamente, anche dalla Corte Edu con le sentenza 22/02/1994, Raimondo 15/06/1999, Prisco 06/04/2000, Labita 05/07/2001, Arcuri 04/09/2001 Riela 05/01/2010, Bongiorno 06/07/2011, Pozzi 17/05/2011 Capitani e Campanella. 3.3.1. Relativamente alle misure di prevenzione personale, con la sentenza Labita, la Corte EDU § 195 ha ritenuto non in contrasto con i principi della Convenzione EDU il fatto che le suddette misure nella specie, la libertà vigilata siano applicate nei confronti di individui sospettati di appartenere alla mafia anche prima della loro condanna, poiché tendono ad impedire il compimento di atti criminali. D’altronde, il proscioglimento eventualmente sopravvenuto non le priva necessariamente di ogni ragion d’essere infatti, elementi concreti raccolti durante un processo, anche se insufficienti per giungere ad una condanna, possono tuttavia giustificare dei ragionevoli timori che l’individuo in questione possa in futuro commettere dei reati penali . 3.3.2. Relativamente alla misura della confisca, i principi enucleabili dalle citate sentenze, possono essere riassunti nei termini di seguito indicati. NATURA GIURIDICA DELLE MISURA DI PREVENZIONE le misure di prevenzione previste dalla legislazione italiana non implicano un giudizio di colpevolezza, ma mirano a prevenire il compimento di atti criminali. Inoltre, la loro imposizione non dipende dalla preventiva pronuncia di una condanna per una infrazione penale. Esse non possono dunque essere paragonate ad una pena. Di conseguenza, i ricorrenti non possono affermare di essere stati perseguiti o puniti penalmente nell’ambito della procedura controversa. 37. Ne consegue che questa parte di ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’art. 35 § 3. in terminis, sentenza Capitani e Campanella che, espressamente, richiamando e confermando sul punto anche le sentenze Raimondo e Arcuri, ritenne infondata la dedotta violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7, e quindi, anche dell’art. 7, essendo norme queste valevoli solo per la condanna penale sentenza Prisco LA LEGITTIMITÀ DELLE MISURE DI PREVENZIONE la misura della confisca, rientra nel quadro di una politica criminale e nell’attuazione di tale politica, il legislatore deve godere di un ampio margine di discrezionalità per pronunciarsi sia sull’esistenza di un problema d’interesse pubblico che richiede una regolamentazione sia sulla scelta delle modalità d’applicazione di quest’ultima. la Corte osserva peraltro che il fenomeno della criminalità organizzata ha raggiunto, in Italia, delle proporzioni molto preoccupanti. I profitti smisurati che le associazioni di stampo mafioso ricavano dalle loro attività illecite conferiscono loro un potere la cui l’esistenza richiama in causa il primato del diritto nello Stato. Così, i mezzi adottati per combattere questo potere economico, particolarmente la confisca in contestazione, possono apparire come indispensabili per lottare efficacemente contro le predette associazioni in terminis, sentenza Riela che richiama e conferma, sul punto, quanto già statuito in precedenza dalle sentenze Raimondo e Arcuri IL MECCANISMO DELLE PRESUNZIONI la Corte, dopo avere preso atto che la confisca di prevenzione si basa su delle presunzioni, ha concluso per la legittimità di tale procedimento osservando che . Ogni sistema giuridico conosce delle presunzioni di fatto o di diritto. La Convenzione non vi pone evidentemente un ostacolo in via di principio . in terminis, sentenza Riela e sentenza Bongiorno § 48 INDETERMINATEZZA E SPROPORZIONE DELLA SANZIONE anche tale profilo è stato disatteso dalla Corte Edu, che ha rilevato, innanzitutto, che il principio di legalità è rispettato in quanto la confisca è prevista espressamente da una norma di legge e può essere disposto solo all’esito di una precisa ed articolata procedura sentenza Bongiorno § 41 . La Corte, poi, dopo avere constatato che la confisca controversa mira ad impedire un uso illecito e pericoloso per la società di beni la cui provenienza lecita non è stata dimostrata , ritenne che l’ingerenza che ne segue miri a raggiungere uno scopo che corrisponde all’interesse generale . In particolare, quanto alla dedotta sproporzione rispetto al legittimo scopo perseguito, la Corte osservò che la misura controversa rientra nell’ambito di una politica di prevenzione della criminalità e ritiene che, nell’attuazione di tale politica, il legislatore debba avere un ampio margine di manovra per pronunciarsi sia sull’esistenza di un problema di interesse pubblico che richiede una normativa che sulla scelta delle modalità applicative di quest’ultima. Tra l’altro, la Corte osserva che il fenomeno della criminalità organizzata ha raggiunto, in Italia, dimensioni davvero preoccupanti. I guadagni smisurati che le associazioni di stampo mafioso ricavano dalle loro attività illecite danno loro un potere la cui esistenza mette in discussione la supremazia del diritto nello Stato. Quindi, i mezzi adottati per combattere questo potere economico, ed in particolare la confisca controversa, possono risultare indispensabili per poter efficacemente combattere tali associazioni e, pertanto, proporzionati in rapporto allo scopo legittimamente perseguito, ossia impedire al proposto o all’organizzazione cui egli è sospettato di appartenere di trarre vantaggi dai beni in questione a scapito della collettività in terminis, sentenza Bongiorno, oltre che sentenze Raimondo, Riela, Capitani e Campanella. 3.3.3. La legittimità del sistema della prevenzione, oltre che conforme ai principi della Convenzione Edu come stabilito reiteratamente dalla suddetta giurisprudenza della Corte Edu è coerente anche con la legislazione comunitaria. Infatti, l’art. 2 della Decisione Quadro 2005/212/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005, avente ad oggetto la confisca di beni, strumenti e proventi di reato , dispone che 1. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie per poter procedere alla confisca totale o parziale di strumenti o proventi di reati punibili con una pena privativa della libertà superiore ad un anno o di beni il cui valore corrisponda a tali proventi il che significa che la legislazione Europea consente le misure ablative per beni provento da reato, senza, quindi, che sia necessario che il proposto abbia dovuto necessariamente subire una condanna a seguito del processo intentatogli. Va osservato, infatti, che la suddetta norma è rimasta in vigore anche a seguito dell’emanazione della direttiva 2014/42/UE che, pur prevedendo la confisca a seguito di condanna art. 4 , da una parte, ex art. 14, comma 1, non ha abrogato il cit. art. 2 al contrario dell’art. 3 e, dall’altra, ex art. 1 rubricato come Oggetto della direttiva , ha chiarito che 1. La presente direttiva stabilisce norme minime relative al congelamento di beni, in vista di un’eventuale conseguente confisca, e alla confisca di beni in materia penale. 2. La presente direttiva non pregiudica le procedure che gli Stati membri possono utilizzare per confiscare i beni in questione il che è come dire che, siccome le norme contenute nella direttiva costituiscono un minimum al quale gli Stati membri devono attenersi, i suddetti Stati e, quindi, l’Italia hanno la facoltà di ricorrere a procedure diverse per confiscare i beni in materia penale nel senso che possono stabilire la confisca anche se, a monte, non vi sia alcuna condanna penale, come, appunto, è previsto nel nostrano sistema delle misure di prevenzione. 4. Tornando, ora, al caso di specie, va osservato che il decreto del Tribunale 29/04/2003 e quello confermativo della Corte di Appello 30/01/2006 ,, si attennero rigorosamente ai suddetti principi di diritto come risulta dalla motivazione del decreto impugnato in cui la Corte di Appello dopo avere ritrascritto pag. 5-11 la motivazione addotta dalla Corte di Appello con il decreto 30/01/2006 osservava pag. 11-12 che i giudici della prevenzione avevano pienamente argomentato intorno alla pregnanza degli elementi di accusa nel giudizio di prevenzione, trattandosi di elementi comunque significativi di una vicinanza del S. al sodalizio, del suo atteggiamento di complessiva condivisione della metodologia mafiosa e della sua disponibilità a fornire contributi concreti, funzionali al rafforzamento e al raggiungimento degli scopi propri del sodalizio . Pertanto, il giudizio di pericolosità non fu fondato su dati probatori generici ma fu desunto da elementi di fatto, ossia -da circostanze obiettivamente identificabili e controllabili, con esclusione di elementi privi di riscontri concreti, quali meri sospetti, illazioni e congetture quindi, sia la misura della prevenzione personale che quella della confisca furono correttamente applicate in terminis, Cass. 349 del 15/06/2017, dep. 2018 § 3 ss della parte motiva Cass. n. 9517 del 07/02/2018, Baricevic § 2.3. della parte motiva . Di conseguenza, il ricorso va ritenuto inammissibile sotto i seguenti molteplici profili a perché nel giudizio del quale si chiede la revoca furono applicati quei principi di diritto che hanno resistito sempre alle censure di incostituzionalità, b perché come ha rilevato la Corte di Appello nel decreto impugnato pag. 12 nell’attuale giudizio di revoca la difesa non ha introdotto elementi diversi e nuovi che possano incrinare in radice il giudizio di pericolosità oramai divenuto irrevocabile questo fondamentale punto della motivazione del decreto impugnato non è stato oggetto di alcuna censura da parte della difesa nel presente giudizio c perché il sistema delle misure di prevenzione al netto di alcune norme relative alla pericolosità generica che sono state espunte dalle pronunce di incostituzionalità della Corte Costituzionale, e che, quindi, nulla hanno a che vedere con quelle sulla pericolosità qualificata sulla base delle quali furono applicate al ricorrente le misure di prevenzione personali e patrimoniali è sempre stato ritenuto legittimo sia dalla Corte Costituzionale che dalla stessa Corte EDU. 5. In conclusione, la censura dedotta va disattesa alla stregua del seguente principio di diritto Il sistema delle misure di prevenzione personali e patrimoniali , è conforme ai principi costituzionali, alla Convenzione Edu e alla legislazione comunitaria . Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.